“La libertà” di Gaber contro l’oppressione

Vorrei essere libero, libero come un uomo”.

Così inizia La libertà, celeberrimo pezzo in cui Giorgio Gaber spiega ai suoi ascoltatori quale sia, per lui, il significato di questa parola tanto amata quanto inflazionata. Lo fa in modo del tutto naturale, con delle immagini semplici ma mai banali, che non possono essere comprese che superficialmente da un ascoltatore distratto.

Si tratta, in effetti, di una parola “trasformista”, che può assumere diversi significati a seconda del contesto in cui viene pronunciata e a seconda della bocca che la pronuncia.

Potremmo addirittura ipotizzare che nel mondo esistano tanti significati di “libertà” quante persone.

“La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione”.

Quando nasce La libertà?

Era il 1972 quando, nel clima ancora infuocato dalle ferventi lotte sociali degli anni appena passati, La libertà venne pubblicata per la prima volta nell’album Dialogo tra un impegnato e un non so, che prende il nome dal titolo dell’omonimo spettacolo teatrale tenuto a Genova dal Signor G nel novembre dello stesso anno.

Ci troviamo in un momento storico che ha fatto della rottura col passato il suo punto cardine, un momento durante il quale la voglia di proiettarsi in un futuro migliore, che garantisse più ampi diritti e una maggiore uguaglianza sociale, muoveva gli animi di migliaia di persone.

Eppure, è lecito fare un salto temporale a ritroso di circa trent’anni quando la stessa libertà, reclamata a gran voce dai manifestanti del sessantotto e da Gaber stesso nella sua canzone, stava lentamente risollevando il capo dopo anni di oppressioni da parte di un regime totalitario che faceva di violenza e repressione i suoi cavalli di battaglia.

“(Libero) come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia”.

La democrazia è partecipazione

Gaber parla di democrazia e di partecipazione, un binomio inscindibile poiché la democrazia può esistere e prosperare solo nella condizione in cui le parti che la compongono cooperino per il bene comune.

Tutto ciò è reso impossibile da un regime totalitario all’interno del quale, invece, una sola parte prevale sulle altre con il fine di perseguire obiettivi più o meno personali senza garantire, però, il benessere della collettività.

Gaber ci ha lasciato in eredità questo suo pezzo assieme ad altri fortemente ironici e critici verso alcune tipologie sociali, come Il conformista, per spostare l’attenzione sul modo di vivere in società che riteneva corretto.

E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire. Forse da buon opportunista si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso” (da “Il conformista”).

Si tratta, per lo più, di consigli sempre attuali che anche un ascoltatore dei giorni nostri può decidere di rendere propri per fare attivamente la propria parte in modo che le violenze e le usurpazioni commesse in passato non vengano mai più perpetrate.

 

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