Sei sicuro di non essere razzista?

Quanto è facile scivolare in atteggiamenti orientati dal razzismo? Le persone convinte di ripudiarlo sono davvero immuni alla sua influenza?

In psicologia sociale per stereotipo s’intende una struttura cognitiva che contiene le nostre aspettative e credenze relative al modo in cui si comporta un determinato gruppo sociale. Tra le studiose più autorevoli in merito spicca Patricia Devine, che si è chiesta quanto una valutazione del comportamento di una persona possa essere influenzata dall’attivazione di stereotipi di cui non si è consapevoli; per rispondere al quesito ha elaborato degli esperimenti, divenuti molto celebri, nei quali ha indagato l’effetto degli stereotipi sugli afroamericani, nella popolazione nordamericana.

Ai partecipanti alla ricerca è stato chiesto di formarsi un’impressione su una persona (non identificata in nessun modo), sulla base della mera descrizione scritta di una serie di azioni, interpretabili in modi diversi, tali per cui la persona poteva essere valutata in modo più o meno ostile. Prima della descrizione scritta, ai partecipanti veniva presentata una lista di 100 parole in modo subliminale (cioè avvertibile dall’occhio, ma non coscientemente): ogni parola veniva presentata su schermo per 80 millesimi di secondo, ragion per cui l’unica cosa che i partecipanti percepivano erano dei fasci di luce.

La metà dei partecipanti era esposta ad una lista contenente circa l’80% di parole connesse allo stereotipo, per l’americano medio, di afro-americano (parole come: pigro, pallacanestro, disoccupato…), ma non direttamente collegate all’aggressività, una caratteristica che invece rientra nello stereotipo dell’afro-americano costituendone un tratto centrale per la popolazione americana bianca. L’altra metà dei partecipanti invece veniva esposta a fasci di luce che a livello subliminale contenevano solo un 20% di parole riconducibili allo stereotipo. Come aveva previsto l’autrice, le persone esposte subliminalmente a parole che per l’80% rimandavano a stereotipi sugli afro-americani, avevano interpretato le successive descrizioni di comportamenti di una persona non identificata come tendenzialmente aggressive, mentre altrettanto non avevano fatto gli altri.

Da questo e successivi studi la Devine ha concluso che gli stereotipi, compresi quindi quelli più o meno razzisti, si attivano automaticamente e senza che la persona che li ha se ne renda conto. Ma, soprattutto, l’attivazione automatica degli stereotipi riguarda tutti, anche coloro che si professano in buona fede estranei ad atteggiamenti di razzismo.

Oltre agli studi della Devine, anche successive ricerche di Bargh e collegi hanno confermato le stesse conclusioni, evidenziando empiricamente  come pure il comportamento è influenzato dall’attivazione  automatica degli stereotipi; addirittura questi stessi ricercatori hanno dimostrato che ad attivare lo stereotipo negativo sugli afro-americani è sufficiente la presentazione subliminale di una fotografia del volto di una persona afroamericana e che tale attivazione può condurre le persone a comportarsi in modo più ostile. In un esperimento, in cui hanno coinvolto tutti nordamericani bianchi, gli autori hanno chiesto di svolgere un compito davvero noioso, cioè dire di ogni sequenza di cerchi che compariva su schermo se il numero totale fosse pari o dispari; a un certo punto hanno mostrato subliminalmente a una parte dei partecipanti una fotografia di una persona afroamericana e all’altra metà una persona di origine europea, quindi hanno annunciato che a causa di un guasto si doveva ricominciare daccapo. Le persone a cui era stata mostrata la foto di un afroamericano hanno avuto mediamente reazioni molto più ostili.

Al di là delle implicazioni politiche ed etiche che scaturiscono da queste ricerche, va detto che questa attivazione automatica riguarda tutti i tipi di stereotipi, quali quelli di genere, sui giovani, sugli anziani…

Queste scoperte rivelano una grossa questione morale: quanto una persona può essere accusata di condotte volontarie discutibili nei confronti dell’altro, se determinate idee la spingono inconsapevolmente verso certi comportamenti?

Patricia Devine nelle sue ricerche ha sostenuto, come accennato sopra, che tutti – dagli anziani conservatori alle giovani femministe – sono esposti all’attivazione del medesimo stereotipo veicolato dalla propria cultura, di fronte a comportamenti ambigui da parte di persone che lo attivano.

Tuttavia, esperimenti successivi della stessa autrice sembrano dimostrare che, a posteriori, le persone sono in grado di controllare e moderare le conseguenze comportamentali dello stereotipo.

Ciò però sarebbe possibile solo a certe condizioni: innanzitutto la persona deve acquisire consapevolezza che lo stereotipo si sta attivando, in secondo luogo è fondamentale che abbia una quantità sufficiente di risorse cognitive (e quindi di energia e di attenzione) per farlo, infine, ovviamente, deve avere sufficiente motivazione a voler evitare di dare la risposta collegata allo stereotipo. Questa motivazione potrebbe non essere necessariamente il considerarsi privo di pregiudizi, ma semplicemente la sconvenienza di mostrare in determinate circostanze il proprio atteggiamento, l’invito esplicito a non ragionare in modo stereotipato, una condizione di interdipendenza con la persona bersaglio dei propri pregiudizi. A tutt’oggi i ricercatori si dividono tra posizioni più o meno pessimistiche circa l’effettiva capacità di riconoscere e indebolire le reazioni pregiudiziali agli stimoli a cui le persone sono esposte, e su quanto essa possa effettivamente variare da individuo a individuo.


FONTI

Bargh J.A., Chen M.; Burrows L.,(1996), Automaticity of social behavior: Direct effects of trait construct and stereotype attivation on Action, in “Journal of Personality and social Psychology”, 71, pp.230-44

Devine P.G. (1989), Stereotypes and prejudice: their automatic and controlled components, in “Journal of Personality and Social Psychology”, 56, pp. 5-18

Mannetti L. (2014), Psicologia Sociale, Citta di Castello (Pg), Carocci

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