Cosa significa parlare di teatro danza? Premettendo che la risposta, se non alquanto complessa nella sua univocità, è sicuramente discutibile, si può tentare un ragionamento studiando la dinamica vita di Pina Bausch, coreografa inventrice del genere, e ammirando le sue pièce. Il teatro danza, o Tanztheater, è un genere ibrido e ontologicamente indefinibile. Sicuramente si tratta di un connubio tra due forme di espressione e comunicazione: la danza e le tecniche teatrali. Tuttavia, la fusione non consiste in uno “spettacolo danzato”, né in una “coreografia di danza con l’aggiunta di elementi teatrali”. L’obiettivo è quello di creare un’armonia completa tra tutti gli elementi che compongono lo spazio scenico. La partitura di gesti si unisce alla libertà della creazione individuale, il movimento corporeo si fonde a elementi scenografici e di regia. Ora, a dieci anni dalla morte, si può decisamente attribuire a Pina il ruolo di progenitore della performance artistica contemporanea.
Per affrontare l’argomento, è utile gettare un breve sguardo alla biografia di Pina Bausch. A seguito del conseguimento del diploma a Essen e di un periodo di studi negli USA, fu il ritorno in Germania a rappresentare la svolta della sua carriera. In particolare, nel 1973 la coreografa divenne direttrice di una compagnia di ballo, da lei stessa ribattezzata Wuppertaler Tanztheater. A partire da questo “battesimo artistico”, la storia della danza aprì ufficialmente le porte al teatro danza, considerato una forma espressiva stupefacente e rivoluzionaria. Così, negli anni successivi, Pina Bausch produsse numerose pièce che ottennero successi e riconoscimenti internazionali. Tra essi spiccano, ancora oggi, Ifigenia in Tauride (1974), Le sacre du printemps (1975) e Café Muller (1978), il suo capolavoro.
Pina si definiva “compositrice di danza”. L’espressione è alquanto stridente, tuttavia efficace. Proprio come uno spartito musicale, la pièce di danza doveva essere “composta”. L’idea era quella di incastonare differenti elementi al fine di realizzare una messa in scena coerente e coesa. In primo piano era posto il corpo dei ballerini. Pina si oppose alle antiche ideologie che facevano coincidere la danza con le rigide norme del “balletto classico”. Il suo obiettivo era radicalmente opposto: desiderava porre al centro la finalità e l’espressività del gesto. In sostanza, rifiutava il gesto tecnicamente impeccabile se privo di contenuto emotivo. Così, elementi tecnici della danza classica vengono ripresi e trasformati, caricati di un significato altro. Ad esempio, la tradizionale “diagonale” della danza classica si può trasformare in una semplice camminata, le “prese” in corpi disperati che si abbracciano. I danzattori, perciò, percorrono lo spazio consapevolmente e mostrano un’estrema padronanza del linguaggio della danza.
Pina Bausch collaborava molto intimamente con i suoi danzattori. Non imponeva una coreografia ma lanciava e accoglieva suggestioni. L’improvvisazione e la ricerca erano al centro del suo lavoro e probabilmente costituì una delle più rilevanti novità del lavoro di Pina. Rilevante era la libertà concessa a ciascun ballerino: sulla base di semplici suggerimenti di Pina, i danzattori elaboravano sequenze individuali. L’obiettivo era la ricerca di sentimenti autentici e gesti carichi di energia profonda. Numerose sono le testimonianze di ballerini e collaboratori. Tra esse quella di Pippo Delbono, un regista che lavorò con Pina.
Nelle improvvisazioni Pina lancia temi ai danzatori e attende risposte. Propone frasi e immagini, a volte senza logica apparente. Esempi: pregare con le mucche; colore, colore, colore e sotto qualcosa di triste; il paese dove crescono i limoni. Si reagisce con un discorso o la breve messinscena di una situazione o una danza. […] Lei raccoglie materiali dagli interpreti per poi plasmarli con un senso compositivo fatto di musica, ritmo, atmosfere. Ogni elemento della vita può entrare in un suo spettacolo.
In effetti, le pièce di Pina Bausch rappresentano la quotidianità dell’esistente. Tutto può essere oggetto d’arte. Pina rifiuta la concezione classista dello spettacolo e accoglie impulsi più svariati. Una carezza, uno schiaffo, tutto è degno di entrare sul palcoscenico. Le scenografie evocano ambienti quotidiani: un café, la sabbia del deserto, una foresta. I costumi si discostano da quelli della danza classica, possono essere semplici teli o vesti quotidiane. La stessa Pina Bausch, in un’intervista afferma:
La fantastica possibilità che abbiamo in scena è che ci è permesso di fare azioni che nella vita normale non si possono e non si devono fare. Con questo cerco di capire da dove vengono certe emozioni. Le contraddizioni sono importanti. Tutto deve essere osservato, non si può escludere nulla. Solo così possiamo intuire in che tempo viviamo.
La parola d’ordine sembra “emozione“. In effetti, solo visionando un estratto da una pièce di Pina, si percepisce la pesantezza emotiva della messa in scena: Non si può rimanere indifferenti di fronte alla solitudine estrema e profonda, di Café Muller. Non si può ignorare la disperazione e la passione di un abbraccio, violentemente negato. Café Muller ad esempio, il suo capolavoro, è un continuo fluire di emozioni, uno spazio aperto al dialogo e all’interpretazione.
Pina Bausch fu creatrice di un linguaggio senza le parole. Gli spettacoli, nonostante non siano muti, allontanano i tradizionali scambi di battute del teatro. Fondamentale è la colonna sonora, talvolta accompagnata da suoni circostanziali e poco definiti. A partire da Café Muller ad esempio, Pina introduce la voce: pianti, risate, urla, rumori rompono i silenzi. L’obiettivo è quello di comunicare l’incomunicabile, veicolare messaggi non trasmissibili dal verbo; il Tanztheater è il perfetto equilibrio tra il silenzio e la sua negazione. Approcciarsi a uno spettacolo di Pina Bausch significa essere disposti a compiere un’esperienza. Ogni pièce di Pina è un ascolto a cuore aperto. Infatti, come la Maestra insegna:
Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza.
FONTI
Un commento su “Pina Bausch e il Tanztheater, il linguaggio senza parole”