Donne, Africa e futuro: alcune delle donne africane che hanno spianato la strada verso il cambiamento

Nella sede romana dell’agenzia di stampa DIRE si sono riunite una quindicina di donne di colore, tutte con avvolto intorno alla testa un turbante colorato, che ridono e parlano un po’ in francese e un po’ in italiano. Sono le donne dell’Associazione italiana delle donne panafricane nella diaspora, che si sono riunite in un sabato di primavera per raccontare al pubblico le esperienze di donne straordinarie che sono destinate a lasciare il segno nel destino del continente africano e non solo. L’associazione nasce circa 20 anni fa per dare voce proprio a quei racconti di vita che arrivano da paesi lontani, non solo per la distanza, e nascosti perché meno raccontati, all’insegna della multietnicità e della solidarietà.

I foulard che le donne panafricane portano sul capo rappresentano i colori del Mozambico, il rosso ed il verde principalmente, al fine di esprimere la loro vicinanza e il loro dolore alla popolazione. Il Mozambico infatti, insieme a Malawi e Zimbabwe, è stato colpito lo scorso marzo da un ciclone, la cui portata catastrofica ha causato una strage, solo in Mozambico le vittime sono state oltre 400 e 2 milioni di persone sono stati per giorni senza acqua potabile ed elettricità.

Le donne dell’Africa portatrici di cambiamenti

“L’Africa non è una sola” così esordisce Mispa Manuella Penda, Presidentessa dell’Associazione, che invita la platea a conoscere le diverse facce dell’Africa, che danno vita ad un caleidoscopio di storie a colori. L’obiettivo del lavoro dell’Associazione, aggiunge, è quello di promuovere in Italia il ruolo della donna africana e offrirne un’immagine priva dello stigma del razzismo, donandole vera dignità. Per “l’onore della donna nera” specifica.

Nelle istituzioni italiane

Importante è il loro impegno per creare una collaborazione con le istituzioni italiane affinché vengano promossi progetti di integrazione e tolleranza per la difesa dei diritti di tutte le minoranze africane. Lo scopo è costruire ponti, anziché erigere muri.

Una dei simboli di questa sensibilizzazione è Cecile Kyenge, politica italiana di origine congolese, che è stata ministro proprio per l’integrazione durante il Governo Letta, nonché il primo ministro di colore.

 

La sua decisione di dedicarsi alla politica è stata mossa dall’obiettivo di portare un concreta aria di cambiamento e di sensibilizzazione che, secondo la Kyenge, deve iniziare dall’interno delle istituzioni. Purtroppo del suo mandato si ricordano soprattutto le cattiverie gratuite e le pesanti offese razziste da lei subite sui social media e di cui alcuni oppositori politici sono stati incitatori. Nello scorso gennaio il Senatore leghista Calderoli, allora Vice Presidente del Senato della Repubblica, è stato condannato in primo grado a 18 mesi per essersi così espresso durante la Festa della Lega nel luglio 2013 dinnanzi a 1500 persone:

“Amo gli animali, orsi e lupi, com’è noto. Ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango”.

Nel maggio 2017 un altro esponente della Lega, l’europarlamentare Borghezio, è stato condannato per diffamazione aggravata per commenti discriminatori di stampo razzista durante una trasmissione radio.

Nel marzo scorso in Commissione antimafia è passata la proposta della Lega di salvare dalla lista dei cosiddetti “impresentabili”, cioè coloro che non possono essere eletti, chi ha subito condanne proprio per reati di diffamazione dal contenuto razzista e discriminatorio. In altre parole, esponenti politici come Borghezio e Calderoli potranno ripresentarsi alle prossime elezioni e ricoprire cariche di rappresentanza, qualora rieletti, nonostante le condanne alle spalle per insulti razzisti.

Nella propria comunità locale

La donna africana viene descritta come una donna attiva e che ricopre un ruolo importante nella sua comunità, che si riflette nel microcosmo della famiglia. Essa, infatti, è la prima mediatrice culturale in quanto madre ed educatrice. Vengono riproposte le parole di Malcom X, che un giorno ha detto:

“Educare un uomo è educare un individuo, educare una donna vuol dire educare una nazione.”

Allo stesso tempo, però, molto spesso la donna africana rimane vittima di quella stessa sua comunità nella quale è inserita: ne è un esempio la pratica delle mutilazioni genitali femminili, purtroppo ancora diffusa nei paesi africani, soprattutto nelle aree rurali, nonostante sia illegale per legge in molti stati. Su questo tema prende la parola la Dott.ssa Susanne Diku, medico chirurgo specializzata in ginecologia e Ostetricia e presidentessa di origine congolese di Tam Tam d’Afrique Onlus. Da anni si batte per i diritti delle donne congolesi che hanno subito violenza nella Repubblica Democratica del Congo.

“L’Africa è un continente ferito e le ferite sono anche sul corpo delle donne”.

La Dottoressa menziona con ammirazione Rebecca Masika Katsuva, deceduta nel 2016, la quale è stata vittima degli stupri di guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Rebecca è famosa per aver creato un villaggio che dà accoglienza alle donne che come lei sono rimaste vittime di quegli orrori, rifugi dove spogliarsi di dosso del dolore, della vergogna e ricominciare a vivere in un luogo protetto.

Proprio come l’Africa, terra piena di ricchezza, anche le donne africane sono delle donne ricche di coraggio, resilienti, che si fanno protagoniste del cambiamento attraverso una vita di lavoro e impegno che ha un impatto sull’intera comunità, chiedendo parità e più giustizia sociale.

Impossibile non menzionare, quando si parla di donne africane, le donne vittime della tratta di esseri umani, una delle forme più antiche di schiavismo. Le ha ricordate anche il Presidente Mattarella durante la celebrazione dello scorso 8 marzo per la giornata internazionale della donna. Migliaia sono le donne africane che arrivano in Italia e in Europa, ove entrano nella rete della prostituzione per mano della criminalità organizzata. Senza dimenticarci di quante centinaia di donne sono tutt’ora rinchiuse nei centri di detenzione in Libia, dove subiscono le peggiori torture e violenze.

Durante l’incontro vengono ricordate proprio quelle donne coraggiose che sono riuscite ad uscire dal circolo della violenza e della prostituzione, scrivendone addirittura un libro per dare voce e sostegno.

Il coraggio della libertà di Blessing parla proprio di una donna che riesce ad uscire dall’inferno della tratta di cui è vittima. Blessing è infatti una giovane nigeriana, laureata in informatica, che cerca di costruirsi il suo futuro lavorativo a Benin City. Qui incontra una donna pia che le propone di andare a lavorare per il fratello che gestisce dei negozi di informatica in Europa. Una volta arrivata in Italia scopre però che in realtà non vi è nessun negozio di informatica. Per lei c’è solo la strada, e si rende conto di essere stata venduta per il mercato del sesso a pagamento, come migliaia di altre donne nigeriane. Dopo violenze e soprusi si ribella, fugge e denuncia. Viene portata in una casa rifugio a Caserta, dove cerca di ricostruire se stessa e la sua vita, spendendosi perché altre donne nigeriane trovino la forza e il coraggio di spezzare le catene di questa schiavitù.

Così come il libro Le ragazze di Benin City : dalla Nigeria ai marciapiedi di tutta Italia, che narra la storia di una ragazza di vent’anni che con l’inganno di un lavoro come commessa in Italia si ritrova invece a lavorare sulla strada, prima di riuscire a liberarsene e aiutare altre donne a farlo.

Infine, nel 2011 il premio Nobel per la pace è stato conferito proprio a due donne africane, liberiane: Ellen Johnson-Sirleaf, presidentessa della Liberia, rispettata ed ammirata per la sua forte leadership femminile e Leymah Gbowee, avvocatessa e attivista che ha contribuito a porre fine alla guerra civile liberiana. Esse hanno lavorato insieme per portare la pace in una Liberia devastata dal conflitto interno, pretendendo una partecipazione attiva delle donne. Queste due donne sono state porta voci della loro identità nazionale, senza la quale non ci può essere una cultura, a sua volta indispensabile per sviluppo e cambiamento.

L’incontro finisce tra risate, interazione e un ricco buffet a base di cibo etnico panafricano, che conclude in bellezza questo veloce viaggio in Africa in mezzo alle sue coraggiose donne.


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