Lo specchio nell’arte tra verità e menzogna

Chi vede correttamente la figura umana? Lo specchio, il fotografo o il pittore?

 -Pablo Picasso

 

Broken Mirror, Michelangelo Pistoletto, 1978

Lo specchio è una superficie riflettente. Mostra esattamente quello che vede, senza filtri. «Non sbaglia perché non pensa» dice Paul Coelho. Eppure lo specchio si crogiola nel dualismo della sua natura, veritiera e menzognera. Che cosa vediamo quando guardiamo attraverso lo specchio? Lewis Carroll immagina una realtà onirica, surreale, mentre Michelangelo Pistoletto ci vede la cruda rappresentazione della società. La sua frase «What we see in the mirror cannot be falsified», è emblematica. Ciò che vediamo nello specchio non può essere falsificato. Si traduce quindi in un’immagine della società frammentata, spezzata, come la superficie del suo Broken Mirror (1978).

 Lo specchio come verità

Venere allo specchio, Diego Velázquez, 1648

È lo specchio delle brame di Grimilde. Ha uno sguardo spietato e una funzione interattiva, dialogica, comunicativa. Assorbe le nostre voglie narcisistiche, esprime il culto dell’ autocontemplazione. Per questo Hieronymus Bosch, sulla sua Tavola dei Sette Peccati Capitali, lo colloca nella sfera della Superbia.  Al tempo stesso, però ci mostra ciò che non riusciremmo a vedere da soli. Ci aiuta a riconoscerci attraverso l’immagine. È ciò che accade al bambino di un anno e mezzo, che per la prima volta capisce chi sta guardando allo specchio. Inizialmente è per lui un gioco in cui non riesce a distinguere il volto riflesso, poi, sopraggiunge la fase di spaesamento, di paura dell’estraneo, del diverso e infine la limpida e serena comunicazione con il sé.

È da quel momento che lo specchio diviene un confidente in cui riversare il proprio compiacimento narcisistico. Uno strumento della vanitas, che si traduce nella sua componente femminile con il culto di Venere. La dea della bellezza è pertanto riferimento iconico di molti dipinti tra Cinquecento e Settecento, di cui si possono individuarne tre esemplari, accomunati dal titolo Venere allo specchio. Sono quelli di Tiziano Vecellio (1555), Peter Paul Rubens (1615), Diego Velázquez (1648).

Effetto Venere

Barbra Streisand by Steve Schapiro

In questi dipinti è possibile riflettere su un effetto percettivo particolare. Un gioco illusionistico, un fenomeno di psicologia della percezione. Ma di cosa si tratta esattamente? In ogni ritratto, Venere tiene davanti a sé uno specchio inclinato e orientato verso lo sguardo dello spettatore. Secondo le leggi dell’ottica, non riuscirebbe quindi a contemplare la propria immagine, ma piuttosto quella del suo osservatore oltre la tela dipinta. Venere guarda noi. Noi guardiamo Venere riflessa nello specchio. Questo diventa emblema di una funzione dialogica tra soggetto dipinto e spettatore, quindi più nel profondo tra autore e spettatore.

La funzione dello specchio va oltre la strumentalizzazione da toeletta femminile e diventa mediatore comunicativo. Tale asserzione è dimostrata dal dipinto di Velázquez, in cui la modella, ritratta di spalle di fronte a una superficie riflettente, guarda chiaramente lo spettatore attraverso lo specchio. È un gioco di sguardi cosciente e malizioso, che supera la semplice contemplazione autoreferenziale. Lo dimostra anche lo scatto in bianco e nero di Steve Schapiro. Qui, una giovane Barbra Streisand nella vasca da bagno, lancia uno sguardo indiretto al suo spettatore voyeuristico. Questo assurge pienamente alla sua funzione transitiva, ma rimane sempre nella sfera della verità.

Lo specchio come menzogna

Le relazioni pericolose, René Magritte, 1930

Cosa accade invece se traduciamo l’ingenua funzione riflettente dello specchio in una gabbia ossessiva di perfezione estetica femminile? Lo specchio può assumere anche una funzione deformante. Un’immagine alterata dalle aspettative di coloro che ci circondano, dal sistema culturale che ci avvolge e ci soffoca, da impulsi inconsci esteriorizzati. È puro servilismo allo specchio, sevizia del corpo come contraltare del compiacimento. Esaltazione della vanità attraverso lo sfruttamento della debolezza. In questo caso lo specchio diventa mediatore tra visibile e non visibile. Tra ciò che vogliamo mostrare e quello che preferiamo nascondere. Ed è ciò su cui si concentra René Magritte nel suo dipinto Relazioni Pericolose (1930).

Triplice Autoritratto, Norman Rockwell

Magritte è il mago dell’alterazione surreale. I suoi specchi ribaltano le considerazioni fin ora affrontate per la loro natura ambigua. A partire dall’autoritratto. In Riproduzione Vietata (Ritratto di Edward James, 1937), lo specchio deforma la percezione logica della realtà. Esso non può mostrare la verità, così come non lo può fare la pittura. Non può essere semplice registrazione passiva degli eventi, ma deve essere azione, che scava nelle trame inconsce nel pensiero dandone una forma.

Nella considerazione dell’immagine oltre l’immagine, un ruolo di spicco spetta a Norman Rockwell. L’illustratore americano gioca con l’autoironia del riflesso allo specchio nell’opera Triplice Autoritratto. L’artista si mostra di spalle. Una tela di fronte a lui lo ritrae per come vorrebbe essere, lo specchio dietro la tela mostra invece il suo vero volto. Uno specchio. Mediazione tra ciò che è davanti ai nostri occhi e non vediamo e ciò a cui aspiriamo e cerchiamo ossessivamente di vedere.

 

 


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