Perché siamo sempre e perennemente “Iperconnessi”?

Ogni trasformazione, ogni evoluzione comporta delle conseguenze importanti. L’impatto che oggigiorno il digitale ha sulla vita quotidiana ha stravolto tutto, completamente: dai modi di pensare ai modi di comunicare. O forse, in assenza di un’adeguata educazione civica digitale, sarebbe più corretto definirli modi di non comunicare? Sta di fatto che siamo sempre Iperconnessi: e di questo ne ha parlato molto bene Vasco Brondi.

Il cantante è meglio conosciuto attraverso il nome del suo progetto, ovvero Le luci della centrale elettrica. La canzone Iperconnessi proviene da Terra (2017), primo album pubblicato sotto la nuova etichetta Cara Catastrofe Label. Terra è un disco che fin dal titolo rimanda a “un’invocazione di naviganti quando la vedono e il nome di un pianeta“. È un disco pieno di sonorità etniche, esito di un periodo di viaggi e di ascolto di musica africana e dell’Est. Una sorta di ritorno alle origini, alle origini dell’umanità terrestre.

Quindi non stupisce assolutamente che questo brano, Iperconnessi appunto, parli delle modifiche apportate all’esistenza dall‘essere nell’era del digitale. Perché un cambiamento, e anche molto consistente, c’è stato. Certamente il male non è nello strumento, bensì in chi ne fa uso. Ma in questo caso, il male è davvero negli utenti? O forse sta semplicemente nell’abuso?

Vanno bene i progressi, ma tu come ti senti?

Copertina dell’album Terra, ritraente un’installazione di Ugo Rondinone nel deserto del Nevada

Sarebbe fin troppo facile limitarsi a demonizzare internet, o più specificatamente i social network. In realtà non è il progresso il reale problema: ogni evoluzione tecnologica di grande portata ha sempre sollevato indignazioni, quindi niente di nuovo. Quello che si dovrebbe fare è scendere più in profondità e cercare di raggiungere una comprensione approfondita di un fenomeno tanto complesso.

Il punto reale della questione lo espone bene lo stesso Brondi, in un’intervista per «La Repubblica»:

Tra un po’ di anni forse andare su Internet sarà come fumare: aprirai Google e dopo mezz’ora ci sarà un avviso che ti avvertirà delle conseguenze del restare connesso, per farti riflettere se sei dentro la compulsione o stai facendo qualcosa che ti serve davvero: “Nuoce alla salute mentale e relazionale”. Se cominciano a esserci persone che sviluppano patologie gravi bisogna cominciare anche ad avvisarle dei rischi.

Sembra quasi inevitabile, per qualcuno che rifletta molto sull’argomento come ha fatto Brondi, a questo punto, immaginarsi una realtà utopistica nella quale le cose siano diverse da così. Ed è a questo che è dovuto il rimando nel testo della canzone, all’universo mitico per eccellenza: quello del primo dei poemi omerici, l’Iliade e il suo “cantami, o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta”.

Cantami o Diva l’ira della rete,
imprevedibile come le onde
cantami della fame di attenzione, delle sete di ogni idea che si diffonde,
cantami o Diva dello sciame digitale,
l’ironia sta diventando una piaga sociale
cantami dell’immagine ideale,
da qualche parte c’è ancora sporchissimo il reale
tu cantami della proprietà privata interiore,
del rumore di fondo della società dell’opinione
cantami del diritto alla segretezza, la distanza, la timidezza
cantami dei posti dove il Wi-Fi non arriverà mai
mai e poi mai mai e poi mai

Le tematiche affrontate sono tante: l’ironia, vista come “piaga sociale”, e l’ira della rete, che si riversa indomabile come onde marine, sono un chiaro riferimento all’odio che spesso e volentieri viene propagato in pochi secondi e solo tramite un click. Si pensa quasi che ciò che viene mandato in rete non sia reale, non essendo effettivamente tangibile in senso strettamente materiale: questo comporta una deresponsabilizzazione importante.

Si parla di fame di attenzione, della generazione di dopamina che avviene grazie a ogni interazione positiva che si riceve, ogni like e ogni messaggio. Ebbene sì, è stato provato scientificamente. Ecco a cosa è dovuta la nascita della dipendenza dai social: non è fantascienza, è stimolazione dei neurotrasmettitori.

E ancora si parla di proprietà privata interiore, di segretezza, di come esista ancora una parte non pubblicata, non visibile di ogni individuo che usa(/abusa de)i social. Si chiede se una realtà, “sporchissima” in contrasto alla perfezione patinata di quello che si è abituati a vedere su internet, esista ancora.

E poi il testo della canzone si chiude con la ripetizione insistente di tre sole parole:

Moltitudine o solitudine?

O entrambe?

A tutto ciò non c’è una reale risposta, un programma che ogni individuo che voglia approcciarsi al mondo del web debba seguire. Non esiste un vademecum dell’utente. Sta tutto all’intelligenza e al raziocinio di ognuno. E, chiaramente, come è assolutamente prevedibile, non si è sempre in grado di attuare le giuste decisioni, di controllarsi, di utilizzare questo strumento intriso di infinite possibilità nel modo più corretto. Perché è proprio questa la sua maledizione/benedizione: le possibilità sono così tante ed esse danno il potere di fare così tante cose.

Il digitale è una grande invenzione. Lo è davvero. Forse, bisognerebbe solo fare un po’ più di attenzione al lato umano. Perché no, ciò a cui si è soliti dedicare così tante ore quotidianamente non è reale.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.