Come nasce una metropoli: Lambrate, da comune a quartiere

Come si crea una metropoli? Una delle più elementari nozioni di geografia antropica ci insegna che, per creare una grande città, è necessario che questa abbia un centro storico, più o meno esteso. A questo centro si dovranno aggregare delle periferie, che potrebbero sorgere autonomamente, come naturale espansione del centro stesso, oppure potrebbero essere dei centri che vengono inglobati e annessi al centro storico. La nascita del capoluogo meneghino non fa eccezione a questa regola: ad un centro storico si sono aggiunti, col passare dei secoli, numerose ‘appendici’ che l’hanno resa una delle città italiane con la maggiore estensione e la maggiore popolosità. Ma cosa succede quando, ad aggregarsi, sono dei veri e propri comuni, con una storia, una tradizione e un bagaglio paesaggistico di tutto rispetto? E’ il caso di Lambrate, oggi popoloso quartiere alla periferia est di Milano, ma comune libero fino al 1923.

La storia di questo quartiere è tanto interessante quanto particolare: Il nome di Lambrate deriva dal fiume dal quale l’insediamento è tuttora toccato, il Lambro, il cui significato in greco è “pescoso” o “limpido”. È impossibile stabilire la data precisa di fondazione del vicus, ma le prime attestazioni temporali certe sono di epoca romana: il territorio fu conquistato nel 222 a.C., in seguito ad un aspro assedio di Mediolanum, dai consoli romani Gneo Cornelio Scipione Calvo e Marco Claudio Marcello. La conquista fu contrastata dalla discesa di Annibale, al quale la popolazione locale si alleò, e solo nei primi anni del II secolo a.C. gli Insubri e i Boi si assoggettarono alla dominazione romana.

Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia, citò più volte una mansio ad Lambrum, cioè una stazione di rifornimento, per pellegrini e militari. Con molta probabilità, inoltre, Lambrate fu un porto fluviale per la vicina e più potente Mediolanum. Con il loro arrivo, i Romani sfruttarono la zona ricca di rogge per l’agricoltura e costruirono un sistema di navigazione fluviale intorno al fiume Po, ancora in vigore durante il medioevo.

Milano, che nel corso del tempo continuava a crescere in importanza e prestigio, aveva un’estensione ancora troppo esigua: le mura, rappresentate dai bastioni spagnoli, la chiudevano in una cintura oltre la quale si estendevano i cosiddetti Corpi Santi, una sorta di anello costituito perlopiù di campagna, che furono annessi alla città nel 1873. Anche la popolazione cresceva con una velocità sorprendente: dai 16 mila abitanti registrati sul finire del Settecento, si arriverà ai circa 45 mila a cavallo dell’Unità d’Italia.

Tutti questi erano passaggi importanti, ma di certo non bastavano: Milano presentava ancora una delle superfici più ridotte delle provincie italiane. Secondo un censimento del 1921, la superficie su cui si estendeva la città era di appena 76,29 kmq, minore anche di città come Ferrara (405,25) e Taranto (411,80), per non parlare dell’esiguità rispetto a Roma (2074,62). Inoltre, come se non bastasse, quelli che erano i servizi civici e nodi di maggiore interesse erano ubicati nelle cittadine appena fuori: la ferrovia e gli impianti sportivi si trovavano a Lambrate, il collettore della fognatura nel Vigentino; a Trenno era stato costruito il celebre ippodromo; a Musocco il cimitero; a Baggio l’aerodromo; a Dergano l’ospedale dei contagiosi.

Fu così che l’allora sindaco, il ginecologo Luigi Mangiagalli, si fece portavoce di questa esigenza della parte più ricca e nobile di Milano, ottenendo anche il benestare di Benito Mussolini, che aveva da poco insediato il suo primo governo. In una lettera datata 7 luglio 1923, il capo del governo esprimeva così il proprio sostegno:

Caro ed illustre Sindaco…ho la sensazione che Milano abbia il respiro della sua fatale espansione mozzato dalla fungaia di piccoli comunelli che sorgono alla sua periferia (Greco, Lambrate, Dergano, Gorla, Turro, Musocco, Affosi, Chiaravalle). Se Vostra Signoria crede di provocare un provvedimento di annessione che io stimo utile e forse necessario, io sono disposto a farlo approvare. Qualche intesa dovrebbe intervenire con i sindaci dei comuni. Io credo che la cosa piacerebbe anche a loro o prima o dopo.

Poco importava se la ‘fungaia di piccoli comunelli’ fosse più o meno d’accordo con tale decisione. E non ci si preoccupò neanche di interrogare i singoli consigli comunali, come avrebbe voluto la legge. Con i decreti reali del 2 e del 30 settembre 1923 si decise circa l’annessione e i sindaci degli stessi furono convocati in prefettura per renderli edotti di tale decisione.

Terminava così, con una rapidità estrema, la storia di un comune che aveva dato a Milano una delle sue prime stazioni, inaugurata nel 1864, che la collegavano a Brescia. Un comune che conservava (e conserva tuttora) una cappella di culto pagano, successivamente trasformato in oratorio cristiano, presso la quale  Manzoni ha ambientato la preghiera di Renzo che fugge verso Trezzo sull’Adda. Iniziava invece la storia di un quartiere operaio, che ha visto nascere aziende come la Innocenti, dalla quale veniva prodotta la storica Lambretta, e la Faema, azienda per la produzione di macchine per il caffè espresso. Un quartiere che vedeva nascere, nel 1932, una struttura per raccogliere i Martinitt, gli orfani della città di Milano, che erano ben lontani dagli occhi del centro della città.

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