Come si entra nel mito? La perfetta trasgressione di Alexander McQueen

Che cosa rende tale un mito? Perché in un mondo che vede scorrere centinaia di personaggi solo alcuni restano?
Nel mondo della moda, dove l’estro creativo è all’ordine del giorno, ci sono tanti personaggi validi ma solo pochi sono diventati “mostri sacri”, capisaldi indiscussi di questo mondo fluido ed estremamente variabile.
Tra di loro c’è una figura estremamente affascinante e ammaliante nella sua ambiguità, un personaggio talmente perverso e provocatorio da raccogliere attorno a sé quasi un culto: stiamo parlando di Alexander McQueen.

Perverso. Controverso. Ambiguo. Alexander McQueen crea sin da giovanissimo un mito che aleggerà attorno alla sua figura fino alla sua morte, apice di questa favola noir. Infatti morirà suicida l’11 Febbraio del 2010.
Non c’è nulla di improvvisato nella sua vita e non ci sarà nulla di improvvisato nella sua morte. Dopo svariati anni di depressione, Lee McQueen sceglie di suicidarsi a pochi giorni dalla morte della madre

..la morte della mamma gli aveva dato la libertà di poterlo fare senza spezzarle il cuore. Si è ucciso la notte prima del funerale.

Sin da bambino Alexander si dimostra un bambino “diverso” dagli altri, forse perché estremamente precoce o solo perché dotato di una sensibilità fuori dal comune.
A soli 6 anni si rende conto di essere omosessuale. Dieci anni dopo capisce che gli studi che sta facendo non sono la sua strada, li abbandona per dedicarsi alla sua passione: la sartoria.
Intuizioni impulsive di un ragazzino? No. Alexander McQueen era già pienamente consapevole di se stesso e della sua personalità quando molti suoi coetanei pensavano ancora che le scelte importanti della vita fossero quale gioco fare oppure quale ragazza invitare ad uscire.
Tutta la vita di McQueen sarà segnata da questi gesti apparentemente folli, ma che si riveleranno sempre azzeccati perché avranno conseguenze importanti.

A 20 anni parte per Milano. Non conosce la lingua, non sa cosa farà ma ha un sogno: vuole lavorare per Romeo Gigli. Ci riuscirà. Sarà presso la casa di moda italiana che comincerà la sua carriera effettiva nel mondo della moda, anche se non può ancora del tutto esprimere quei caratteri che saranno poi i tratti peculiari del suo stile.
Quando si dice che nella sua vita nulla è improvvisato si intende che sebbene Alexander McQueen sia passato alla storia per i suoi “colpi di testa” e per le trovate irriverenti, dietro la sua creatività e la sua estrosità c’è sempre una grande competenza tecnica. McQueen era sempre estremamente meticoloso nel suo lavoro, mirava alla perfezione e lavorava sino allo sfinimento pur di ottenerla.
È questo che lo spinge, dopo l’esperienza da Gigli, a completare i suoi studi presso la Saint Martin’s School of Art di Londra: ha imparato tanto con l’esperienza sul campo, ma per lui non è ancora abbastanza.

Conclusi gli studi Alexander è pronto per creare il suo marchio, è il 1992.
McQueen è estremamente giovane ma avrà l’appoggio di un personaggio molto influente, forse la persona più influente nella moda britannica: stiamo parlando di Isabella Blow. Fu lei infatti a comprare l’intera collezione e a dare avvio alla sua ascesa all’Olimpo della moda. I due saranno legati da un’amicizia profonda che lascerà un segno indelebile nelle loro vite. Famose le parole di McQueen per la morte di lei (Isabella si è suicidata nel 2007).

Non vi sarà un’altra Isabella, mai più. Era più di una sorella. La nostra intesa veniva alimentata da una malinconia a volte connessa alla superficialità del nostro ambiente. Lei aveva la pelle fragile, io invece ho la pelle dura


Una pelle dura che è più una maschera che una realtà.
McQueen ha creato un personaggio per coprire le ferite che lo accompagnavano sin da piccolo. Dietro la maschera di artista maledetto c’era il ragazzino molestato dal marito della sorella, un uomo ferito in cerca di affetti sinceri, il capo che chiede ai suoi dipendenti di lavorare fino allo stremo come lui, ma forse solo per non sentirsi solo.

Quello che però resterà per sempre nella memoria della moda sono le sfilate di Alexander McQuee. Veri e propri show sempre innovativi e sempre estremamente provocatori.
Ricordiamo solo le più famose.
La collezione s/s 1996 porta in passerella i Bumster Trousers: pantaloni con aperture sul fondo-schiena. La sfilata è dominata da pizzi e asimmetrie e le modelle portano delle corna, il tutto crea un’atmosfera estremamente satanica.
Due anni dopo sempre per la collezione s/s sarà un temporale a tutti gli effetti il protagonista della passerella, pioggia che fa aderire al corpo gli abiti di tessuti trasparenti e lattice: un inno alla nudità è al sex appeal.
Non meno iconico il lavoro come direttore creativo di Givenchy, che sicuramente vede McQueen contenere il suo estro ma ciò non gli impedisce di trasformare, nel corso della sfilata per la s/s 1999, la modella Shalom Harlow in una “tela umana”.
Alla sfilata f/w 2003 si collega il tunnel investito da raffiche di vento, che vede sempre modelle in abiti futuristici di pelle.
Nel 2005 Alexander McQueen gioca con le sue modelle, che sono tante pedine di una scacchiera umana: le modelle, divise in due gruppi, indossavano capi in contrasto e si sfidavano in un disegno dall’armonia perfetta.
Infine il 2010, ultimo anno dello stilista, vede comparire sulla passerella le Armadillo Shoes, ed è subito polemica. Sono scarpe estremamente scenografiche ma molto difficili da portare, fatto che ha riacceso la discussione su quale dovrebbe essere l’altezza dei tacchi per salvaguardare il benessere di chi li indossa.
Alexander McQueen ci dice addio con l’ennesima polemica, l’ultima (se escludiamo la sua morte) di tante provocazioni che ne hanno caratterizzato la vita.

Forse è questo l’ingrediente segreto dell’ enfant terrible della moda, la ricetta per entrare nel mito: la perfezione delle forme sempre però indissolubilmente intrecciata con quella vena provocatoria e trasgressiva che rende eterno un mito.


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