Sotto le fronde dei giganti: “Il sussurro del mondo” di Richard Powers

Il sussurro del mondo di Richard Powers, vincitore del premio Pulitzer 2019 per la narrativa, non è un semplice romanzo ambientalista bensì un’opera narrativa imponente e solida come un’antica sequoia, che spazia fra tematiche e storie radicalmente diverse tra di loro coniugando riferimenti culturali apparentemente lontani – le Metamorfosi di Ovidio e le intelligenze artificiali, per menzionarne due dei molti – e intrecciando le vite dei personaggi intorno al fil rouge degli alberi.

Noi non costruiamo la realtà. La eludiamo e basta. Fino a questo momento. Saccheggiando capitale naturale e nascondendo i costi. Ma tra poco ci presenteranno il conto, e non riusciremo a pagarlo.

Il titolo inglese del romanzo, The Overstory, contiene già la chiave di lettura che Powers intende offrire ai lettori: il termine si riferisce infatti alla parte più alta delle fronde di una foresta, ma può essere etimologicamente interpretabile come una sovrastruttura narrativa che contiene e raccoglie sotto un unico segno componenti diverse. La sezione iniziale, “Radici”, sembra quasi una raccolta di storie brevi, di istantanee di vite apparentemente diverse tra di loro. Tra i nove protagonisti si trovano un artista, Nicholas, che riceve in eredità delle fotografie, scattate lungo un intero secolo, dello stesso albero; una scienziata con problemi di udito, Patricia, la quale invece scopre che gli alberi hanno un modo per comunicare e proteggersi a vicenda; un aviatore, Douglas, che si salva da morte certa durante la guerra del Vietnam grazie ai rami di un baniano. Powers ha indubbiamente dimestichezza con gli stilemi del romanzo americano, quali la componente generazionale e il profondo attaccamento al territorio, ma dimostra anche di saper andare oltre ai cliché del genere inserendo un’apprezzabile quantità di diversità alla pletora dei personaggi presentati, con esperienze di immigrazione e disabilità.

È tuttavia con la sezione successiva, “Tronco”, che la narrazione esplode e si rivela in tutta la sua grandezza. Le storie presentate iniziano a intrecciarsi sempre di più, i personaggi interagiscono tra di loro e si ritrovano inseriti in un contesto dal respiro ben più ampio di quello della contemporaneità. Le 658 pagine di quest’opera sono infatti costellate di riferimenti alla longevità degli alberi e al contrasto con l’immanenza della vita umana: la narrazione non può che fare da eco a questo concetto, concentrandosi di volta in volta su dettagli minuscoli come foglie ma facenti parte di un disegno più grande della somma delle parti.

C’erano sei trilioni di alberi nel mondo, quando gli uomini hanno fatto capolino la prima volta. Metà è rimasta. Un’altra metà scomparirà nel giro di un centinaio d’anni.

Il sussurro del mondo è inserito da molti critici, e a buona ragione, nell’ambito della climate fiction, ossia di quel settore della letteratura che adotta la forma del romanzo per sensibilizzare alla tematica climatica ed ecologica. Il messaggio politico e sociale che muove questo romanzo è quello della resistenza nei confronti di un’umanità sempre più spietata, che negli occhi di Powers è afflitta da manie di onnipotenza che la portano a rovesciare le gerarchie naturali e distruggere alberi, foreste, interi ecosistemi in nome del profitto economico. Tuttavia, questa definizione risulta a un certo punto limitante: “Il sussurro del mondo” parte dalla causa ambientalista per offrire una prospettiva del tutto diversa da cui guardare la realtà.

Nella teoria portata avanti da Patricia durante la sua tormentata vita accademica (ipotesi peraltro vagliata di recente dalla comunità scientifica) gli alberi sono in grado di comunicare tra di loro tramite una rete di segnali chimici, così da segnalare la presenza di agenti tossici e potersi proteggere in anticipo davanti a un pericolo incombente. Nessun albero esiste come singolo scollegato dai suoi simili, nessuna foresta è un’isola e nessuna pianta protegge esclusivamente i propri interessi privati a scapito dell’intero ecosistema. L’intera opera, d’altronde, si basa su un parallelismo proprio tra uomini e alberi, due categorie di abitanti del pianeta Terra il cui ciclo vitale si svolge su tempi e spazi molto differenti ma che, sostanzialmente, possono e devono coesistere.

Questa è la matrice sociale de Il sussurro del mondo, profondamente votata alla cooperazione, alla resistenza, al rispetto di sé e degli altri esseri viventi. Il prezzo da pagare è il momentaneo accantonamento dell’antropocentrismo contemporaneo, il senso di vertigine che si prova davanti a un’altissima sequoia o un cielo stellato, l’umiltà derivata dalla consapevolezza che la vita umana, messa in prospettiva, non è che un granello di sabbia nella clessidra del pianeta.

Dal più profondo materialismo, dall’accettazione della decadenza e della morte, possono gettarsi i semi di un nuovo tipo di spiritualità, che in realtà trova le proprie radici nella prima divinità mai adorata dal genere umano: la Natura.


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