L’Ilva: dai Riva ad ArcelorMittal, la storia di un colosso

È una storia di odio e amore quella da raccontare oggi. È la storia di una città e di un’industria che convivono fin dal 1960. Tutto cominciò a Taranto, quando nel quartiere Tamburi venne fondata l’Italsider, la più grande acciaieria del sud Italia. A seguito di una crisi del mercato, la famiglia Riva rilevò l’azienda nel 1995 e la rinominò Ilva. Questo era il nome latino dell’Isola d’Elba, da dove in passato era preso il ferro per alimentare gli altiforni in Italia. La storia dell’Ilva cominciò come quella di un’azienda di proprietà pubblica ma, proprio la privatizzazione avvenuta per mano dei Riva, diede il via a una serie di scandali. Infatti, pare che in questa occasione lo stabilimento sia stato svenduto per 4000 miliardi a fronte di una valutazione di 2500.

Nonostante ciò, i Riva ebbero una grande responsabilità: quella di riportare in funzione l’acciaieria a pieno regime. In un momento storico in cui le riforme agrarie avevano fallito e l’immigrazione verso il Nord continuava imperterrita, l’Ilva rappresentò uno spiraglio di salvezza. La stessa città si evolse urbanisticamente in modo da ospitare al meglio il complesso. In quei tempi lontani l’idea che l’impianto avrebbe radicalmente modificato l’ambiente e quel “mare nostrum” che circonda Taranto, non sfiorava la città. Allora come ora, la richiesta era una sola: “Vogliamo lavorare“.

Nei successivi anni molti accorgimenti ambientali vennero ignorati, e questo diede il via ad inchieste giudiziarie nel 2012. Ma la situazione era già compromessa. Da un lato c’erano le morti sul lavoro e la richiesta di maggiore sicurezza. Ventidue morti durante i turni lavorativi non potevano essere ignorate. D’altra parte il problema ambientale iniziò ad assumere un certo peso. Oltre trecento i decessi dal 1998 al 2010 dovuti all’inquinamento. Tra i malati c’erano bambini, spesso venuti al Mondo deformi o morti poco la nascita. Ma anche operai e cittadini, soprattutto fra coloro che abitavano nei quartieri vicini all’Ilva. Malattie come tumori allo stomaco, ai polmoni o all’apparato urinario erano all’ordine del giorno negli ospedali tarantini.

L’Ilva

Così, iniziò un nuovo capitolo per l’industria. Il colosso mondiale dell’acciaio avrebbe dovuto rilanciare l’azienda. La condizione vincolante del contratto parlava di uno scudo penale. Nello specifico, i nuovi proprietari non avrebbero avuto responsabilità per le azioni precedenti. ArcelorMittal doveva mettere in atto un piano ambientale, senza preoccuparsi delle possibili implicazioni penali. Le premesse erano delle migliori e per un po’ il problema Ilva passò in secondo piano.

Fino a quando, nel 2018, Luigi di Maio, in qualità di ministro per lo sviluppo economico avviò un’indagine sulla legittimità del bando. Di Maio definì la gara “viziata” ma non ci furono gli estremi per annullarla. L’allora Ministro dichiarò “Se oggi, dopo 2 anni e 8 mesi, esistessero aziende che volessero partecipare alla gara, noi potremmo revocare questa procedura per motivi di opportunità. Oggi non abbiamo aziende che vogliono partecipare, ma se esistesse anche solo un’azienda ci sarebbe motivo per revocare la gara.” In questo contesto si iniziò a parlare di una possibile abrogazione dello scudo penale e di papabili processi contro i capi, presenti e passati, dell’azienda. ArcelorMittal non prese bene la notizia.

Così, arriviamo ai giorni odierni. ArcelorMittal vuole lasciare l’Ilva. La motivazione ufficiale si trova nella rimozione dello scudo fiscale. A causa di questa decisione ArcelorMittal potrebbe essere accusata di gravi reati ambientali. In realtà, esiste la volontà di venir meno a un investimento non rivelatosi particolarmente proficuo. Tale opinione è rafforzata dal mancato pagamento di alcune rate di affitto e dei contributi fantasma per la messa in sicurezza dello stabilimento. Ancora una volta, le conseguenze più gravi ricadranno sulla popolazione. È innegabile che l’Ilva abbia cambiato la città. Ma tra chi vorrebbe chiudesse per sempre e chi non vuole perdere il lavoro, rimane schiacciata quella parte che, dopo anni di bugie e promesse non mantenute, sogna un piano ambientale e un rinnovo radicale dell’azienda.

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