Le divinità glaciali della mitologia norrena

Il ghiaccio non ha futuro. Tutto quello che ha è il passato racchiuso dentro di se. Il ghiaccio può preservare le cose in questo modo – estremamente pulite, distinte e vivide come se fossero ancora vive. Questa è l’essenza del ghiaccio.

Haruki Murakami

ghiaccio
Jesseca Trainham, Hel Shrine

L’inverno sta arrivando. Lo si sente sulla pelle, nelle ossa, nella fitta cappa di nebbia che scende sulle strade e offusca la vista. Ci si aspetta solo qualche fiocco di neve, il ghiaccio mattutino sulle macchine, per potersene lamentare o per goderne della poeticità che solo un’atmosfera glaciale può offrire. E allora si guarda lontano, tra le pagine della mitologia norrena, là in quel Nord che sembra eternamente immolato al bianco.

Tra le infinite illustrazioni che il repertorio artistico offre sull’argomento, l’attenzione ricade su Niflheimr, la terra delle nebbie e del ghiaccio e no, non è la Brianza. Lì risiede in una metaforica prigione di ghiaccio Hel o Hella, figlia di Loki, dio dell’inganno e della gigantessa Angrbooa. È la divinità dei morti e governa un regno strutturato su più livelli, affini ai gironi danteschi.

Federico Bebber

È in quella terra dimenticata dai vivi e non ancora abbracciata dai morti che aleggia Hel, bandita da Odino come frutto della colpa di Loki di aver avuto figli. Ha un volto e un corpo femminili, ma non può dirsi umana. È una creatura frutto delle tenebre e che in quello spazio oscuro dovrà permanere per l’eternità. Lei, sola, con un corpo per metà di carne viva e per l’altra già in putrefazione, accompagnata solo dai suoi fratelli, un serpente e un lupo.

L’artista italiano Federico Bebber riesce a dare un volto alla natura binomia di Hel. Non riferendosi esplicitamente alla divinità nordica, ne omaggia tuttavia la particolarità creepy, attraverso i suoi ritratti fotografici femminili in bianco e nero. Le donne immortalate lasciano trasparire solo parte del loro volto, perché la restante è circondata da un effetto fumoso, creato con il digitale.

Sembra quindi che queste figure evanescenti condividano la condanna di Hel, i cui frammenti di esistenza si perdono in un etere infernale di ghiaccio. Così Bebber accoglie i suoi volti, dilaniati da un urlo senza suono, che lo spettatore cerca di sentire, ma che non riesce a catturare. Volti fortemente passionali, avvolti dal turbine delle loro stesse emozioni, ma insaziabili ed eternamente insoddisfatti. Come Hel, le donne di Bebber sono bloccate in un limbo, in una prigione emotiva in cui sono state confinate per l’eternità.

Luca Cauchi, Ymir

Ma l’arte non racconta solo la storia di Hel, della sua natura incantata e del suo isolamento, così affine a quello della Regina Delle Nevi raccontato da Hans Christian Handersen. Racconta anche di quella terra desolata, il Niflheimr, che non si concretizza nel Regno dei Morti, situato invece nelle profondità sotterranee. Rappresenta piuttosto un limbo per le anime incomplete, i malati, gli anziani, i traditori, i criminali e tutti coloro che non possono accedere al Vahlalla, il paradiso asgardiano, perché non hanno avuto una gloriosa morte in battaglia.

Così come nell’universo dantesco, sono anime aleggianti, racchiuse nel luogo che è stato predestinato per loro. Al tempo stesso bisogna immaginare anche Niflheimr come una dimora, evanescente, fumosa, così simile a una nuvola, tenuta insieme dai vapori che la abitano.

E in quell’universo fantasma vivono anche gli Hrímþursar, giganti di brina discendenti dal primo gigante di ghiaccio, Ymir.

Carlene Smith, Nebbia

Si tratta di un’essenza primordiale, ancestrale, da cui ebbe origine il mondo e con esso, Odino, la personificazione della sacralità della mitologia norrena. Un corpo ermafrodita, di ghiaccio, mastodontico, la cui caduta, con la frammentazione dell’essere, condusse a una nuova rinascita. E così lo ritrae Luca Cauchi, come un gigante da videogioco, in una cupa atmosfera da sterminatore di guerrieri.

La stessa rappresentazione iconica che calza perfettamente a Ull, dio dell’inverno, figlio della dea Sif e figliastro di Thor, perché non si conosce l’identità del padre. Rappresentato come un uomo muscoloso, con armatura, arco e frecce, appassionato di caccia e sci, Ull si crogiola nel freddo, probabilmente a causa della sua vera origine, da un gigante di ghiaccio.

Il tipico ritratto vichingo chiude circolarmente una breve panoramica sulle divinità norrene.
Dalla drammaticità della dualità femminile all’ambiguità delle creature di un limbo onirico e glaciale. Un’atmosfera spettrale da fiabe notturne che accoglie la sua rappresentazione artistica millenaria.  


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