La Strage di piazza Fontana e il Sessantotto tradito

La Strage di piazza Fontana (di cui si parla anche in <<Elzevirus>>) si inserisce di diritto tra le questioni più terribili e controverse della storia della Repubblica Italiana. L’attentato terroristico alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, avvenuto a Milano il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana, causò infatti ben diciassette vittime e circa un centinaio di feriti. Nello stesso giorno venne rinvenuto un secondo ordigno, sempre a Milano, mentre altre tre bombe esplosero a Roma, senza tuttavia causare morti.

Oggi, a cinquant’anni dai fatti, permane il mistero sui veri responsabili dell’attentato. Le ipotesi ovviamente non mancarono: quella maggiormente accreditata indicò come principali responsabili alcuni rappresentanti di Ordine Nuovo, un’organizzazione politica extra-parlamentare di estrema destra, ma i processi (sia quello del 1987 che quello del 2005) si conclusero di fatto con l’assoluzione degli imputati, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda, per insufficienza o contraddittorietà delle prove. La loro colpevolezza, insieme alla responsabilità di Ordine Nuovo, venne riconosciuta nel secondo processo, ma i due non erano più perseguibili essendo stati assolti in via definitiva nel 1987. La sentenza sconvolse l’ordine pubblico e si fece sempre più forte l’idea che negli attentati fosse coinvolta addirittura parte dello Stato stesso: nella relazione della Commissione Stragi vennero infatti in seguito indicati direttamente “accordi collusivi con apparati istituzionali”, in particolare con una parte dei servizi segreti.

La strage di piazza Fontana pose drammaticamente fine, di fatto, alla contestazione del Sessantotto in Italia. Gli anni Sessanta rappresentarono, come il decennio precedente, un periodo economico piuttosto favorevole, caratterizzandosi inoltre da una serie di profonde trasformazioni sociali. Ai mutamenti economici si accompagnarono anche importanti cambiamenti dal punto di vista politico: per la prima volta dal trionfo della Democrazia Cristiana nelle elezioni del 1948 venne infatti concesso l’ingresso nell’area di governo anche alle forze di sinistra, prima fortemente osteggiate soprattutto a causa dell’influenza statunitense. Ancora nel pieno della guerra fredda, gli Stati Uniti erano infatti terrorizzati dal possibile avvento delle forze comuniste al governo nei Paesi sotto la loro area di competenza.

Sul finire degli anni Sessanta venne sempre più radicalizzandosi lo scontro sociale: anche in Italia, come in molte altre nazioni occidentali, giunse dagli stessi Stati Uniti l’onda della contestazione giovanile del Sessantotto, che nel nostro Paese assunse una forte connotazione in senso marxista e rivoluzionario in opposizione alla cultura borghese: proprio questa connotazione fu decisiva nel saldare alla contestazione studentesca anche la contestazione operaia. Si aprì dunque un’intensa stagione di lotte operaie, culminate nel cosiddetto “autunno caldo”, corrispondente agli ultimi mesi del 1969. I sindacati assunsero un peso sempre maggiore, mentre la classe dirigente, nonostante il varo di alcune fondamentali riforme quali l’introduzione dello Statuto dei lavoratori, l’istituzione delle regioni e la legge sul divorzio, si rivelò sostanzialmente impreparata ad accogliere le forti istanze di rinnovamento presentate su più fronti.

Il decennio si chiuse con l’avvento del terrorismo politico, iniziato proprio con la Strage di piazza Fontana. La sinistra accusò le forze di estrema destra di aver deviato le indagini verso un’improbabile pista anarchica, ma soprattutto di aver tentato di attuare una “strategia della tensione” volta a minare le fondamenta dello Stato democratico e a favorire piuttosto una svolta autoritaria. Svolta che alla fine non avvenne, nonostante gli anni Settanta e i primi anni Ottanta furono segnati, oltre che da una forte crisi economica, da una serie di violente azioni terroristiche, portate avanti tanto dalle forze di destra – il cosiddetto “terrorismo nero”, caratterizzato dal fatto di colpire in maniera indiscriminata –, quanto dalle forze di sinistra – il terrorismo attuato dalle Brigate Rosse, che aveva come obiettivi principali le personalità considerate collaboratrici del sistema capitalistico-borghese. Le Brigate Rosse si resero protagoniste in particolare nel 1978 del rapimento, e in seguito dell’assassinio, di Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana, impedendo la realizzazione del famoso “compromesso storico” tra Moro e Berlinguer, leader delle forze di sinistra.

La Strage di piazza Fontana, aprendo di fatto gli anni di piombo, segnò dunque una brusca cesura nei confronti delle istanze di rinnovamento sociale, molte delle quali ancora non cessano di essere portate avanti, seppure tra le grandi difficoltà. Un’occasione di cambiamento che il nostro Paese non ha potuto e non ha saputo cogliere, in cui la strada della violenza immediata è prevalsa, come troppo spesso accade, su quella tortuosa ma certamente più prolifica del rinnovamento. La strage, come si è detto, rimane ad oggi impunita, nonostante due processi, numerose testimonianze e una serie di ipotesi confermate a posteriori. Un’onta ancora indelebile dopo cinquant’anni, che lo Stato non può pensare semplicemente di lavare via, ma che può certamente ancora costituire un monito paradigmatico.

FONTI

G. Sabbatucci, V. Viadotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari, 2008

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