Non si può capire Hong Kong oggi se dimentichiamo il suo passato

Assistendo agli scontri tra manifestanti anti Cina e polizia a Hong Kong sorgono moltissime domande. Perché in una città cinese si manifesta, fino a morire, per non essere sottoposti al giogo di Pechino? Da dove ha origine questo particolare status di semi-indipendenza che i cittadini di quest’isola non vogliono assolutamente perdere? E ancora, che cosa lega in maniera indissolubile l’avvenire commerciale della futura prima potenza economica mondiale con il suo passato ottocentesco?

Hong Kong è, data la sua posizione geografica strategica, uno dei più importanti porti cinesi, da cui transitano ogni giorno milioni di persone e di merci. Oggi la città conta più di otto milioni di abitanti e vanta un PIL pro capite di circa 37.000 dollari, ha una propria valuta, il dollaro di Hong Kong, differente dal renminbi cinese, e gode dello status di regione amministrativa speciale della Cina, da cui è dipendente e da cui cerca di liberarsi sempre più.

Questa città entra nei radar europei nell’Ottocento, in particolare a causa della prima guerra dell’oppio, scoppiata nel 1839 tra l’Impero Britannico e l’Impero Cinese della dinastia Qing. Durante gli scontri, Hong Kong viene occupata nel 1941 dai britannici, ma è solo un anno dopo, con il Trattato di Nanchino, che l’isola viene formalmente ceduta in modo perpetuo alla corona britannica, che vi si insedia fondando la capitale Victoria City. Da questo momento storico in poi l’espansionismo inglese nella regione continua ad aumentare, anche attraverso le vittorie conseguite nella seconda guerra dell’oppio. La colonia si sviluppa enormemente, spronata dalla potenza industriale e commerciale inglese, tanto che la popolazione aumenta fino a superare il milione di abitanti nei primi anni del Novecento. Il territorio di Hong Kong diventa inoltre un porto franco, cioè una zona non soggetta a tassazione, cosicché i commerci aumentano, rendendo la città un polo commerciale di primo piano nella regione, di pari passo con lo sviluppo economico e commerciale degli Stati Uniti sull’altra sponda dell’Oceano Pacifico.

Con la Seconda guerra mondiale e la conseguente invasione giapponese nel 1941, per pochi anni, fino al 1945, la sovranità dell’intera area passa sotto il controllo dell’Impero Nipponico, per poi tornare sotto il controllo inglese fino al 1997. In questi anni Hong Kong si trasforma in una potenza industriale, anche perché durante la rivoluzione cinese vi si rifugiano moltissimi esuli e aziende cinesi, che portano di conseguenza capitali e ricchezze. Questa piccola regione immersa nel continente asiatico continua a crescere e svilupparsi, a differenza della Cina, con cui confina e con cui condivide una storia millenaria, facendo proprio il diritto inglese. Già dagli anni Settanta la questione di Hong Kong viene affrontata dal governo inglese che, in vista della scadenza degli accordi politici intrattenuti con la Cina sin dalle guerre dell’oppio e per garantire favorevoli accordi commerciali tra le due potenze, decide di restituire il territorio alla Repubblica Popolare Cinese. Dal luglio del 1997 il territorio di Hong Kong passa ufficialmente alla dipendenza cinese, che però da parte sua si impegna a lasciare invariato il sistema economico e sociale della ex-colonia, non introducendo il sistema socialista almeno per i successivi cinquant’anni.

Proprio a causa della sua particolare storia, diversa da quella di tutte le altre città cinesi, eccezion fatta per Macao che similmente è stata una colonia portoghese, Hong Kong si è sviluppata nel continente asiatico, ma con una mentalità sociale e commerciale fortemente influenzata dalla cultura europea e dal capitalismo commerciale. In questo territorio, che non vuole perdere la sua forte autonomia e la sua estraneità giuridica rispetto alla Cina, tanto che una delle cause degli scontri tra lealisti cinesi e manifestanti indipendentisti riguarda proprio la negazione dell’estradizione in Cina, le radici europee restano forti e ben evidenti. L’esperienza di Hong Kong appare, infatti, come un ossimoro rispetto al mondo e alla cultura che circonda questa regione: confinante con la più grande potenza economica di stampo socialista e monopartitica, in cui le libertà politiche e i diritti fondamentali dei cittadini sono messi a dura prova, l’ex-colonia britannica lotta per mantenere la sua tradizione commerciale, che l’ha resa una delle città più densamente popolate del mondo. Hong Kong viene inoltre indicata da anni dall’Index of Economic Freedom come l’economia capitalista più libera al mondo, forte della sua Legge Fondamentale, una sorta di costituzione che ne garantisce l’ampia autonomia nei confronti della potenza cinese.

La storia che siamo abituati a studiare e ricordare è, essenzialmente, eurocentrica, e tutto ciò che riguarda il resto del mondo entra nel nostro programma di studi solamente se diventa parte della storia di nazioni europee in espansione coloniale, culturale o commerciale. Oltretutto, in questi ultimi anni un pericoloso sentimento anti-storico sembra essere prevalente, tanto che la storia viene considerata come un inutile sapere di valore solamente accademico, non riconoscendo che per poter capire e affrontare gli avvenimenti attuali occorre avere una profonda conoscenza del passato, e non solamente di quello del mondo occidentale, ma di tutti i luoghi e popoli con cui entriamo in contatto. Al posto di ridurre le ore di storia nelle scuole e togliere le prove di storia dagli esami, occorre aumentare il tempo dedicato a conoscere la nostra storia, per agire oggi in modo consapevole.

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