Ha fatto rapidamente il giro del web la notizia del Campus Bio-Medico di Roma che sostanzialmente impone ai suoi medici l’obiezione di coscienza. Tra questi, anche gli specializzandi in Ginecologia e ostetricia, che in questo modo non verrebbero adeguatamente formati a tutte le pratiche di questa specialità medica.
Il problema però non riguarda solo ospedali universitari privati. Piuttosto, è la punta dell’iceberg di una carenza generale.
Prima la Fede
La notizia è vera. Nella Carta delle finalità, cioè un documento che riporta i principi cui il Campus si ispira, vi sono tre articoli piuttosto espliciti:
“Art. 7 – L’Università intende operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l’autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità.
Art. 10 – Il personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università […] considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in base alla legge naturale; per tale motivo si avvarranno del diritto di obiezione di coscienza previsto dall’art. 9 della legge 22 maggio n. 194. Si ritiene inoltre inaccettabile l’uso della diagnostica prenatale con fini di interruzione della gravidanza ed ogni pratica, ricerca o sperimentazione che implichi la produzione, manipolazione o distruzione di embrioni.
Art. 11 – Il personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università riconoscono che la procreazione umana dipende da leggi iscritte dal Creatore nell’essere stesso dell’uomo e della donna, ed è sempre degna della più alta considerazione. […] Tutti considerano, pertanto, inaccettabili interventi quali la sterilizzazione diretta e la fecondazione artificiale.”
Tra Privato e Stato
Non si parla di obiezione di coscienza in termini di obbligo, ma piuttosto la si dà come posizione ovvia e imprescindibile. Tutto ciò che riguarda interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), eutanasia, prevenzione e fecondazione assistita risulta, così, semplicemente estromesso dalla pratica di questa struttura. Inoltre, si lascia intendere che tale posizione debba essere propria a priori di chiunque abbia a che fare con il Campus: il personale tutto, gli studenti e persino i suoi frequentatori. Vero è che stiamo parlando di una struttura privata, dunque libera sia di scegliere quali interventi praticare, sia di essere scelta o meno dai pazienti stessi. Tuttavia, anche la sanità privata è intrecciata col pubblico.
Innanzitutto, i laureati in Medicina e Chirurgia partecipano ad un concorso nazionale pubblico per entrare in una Scuola di specializzazione, di un ospedale pubblico o privato che sia. Il medico specializzando è un lavoratore in formazione: riceve uno stipendio mensile dallo Stato e inizia a praticare, ma deve acquisire durante quegli anni competenze e abilità specialistiche. Le Scuole di specializzazione, infine, per essere accreditate e quindi formare specialisti devono seguire precise direttive statali.
La risposta delle associazioni
Proprio questo accreditamento è quanto contestato all’Università Campus Bio-Medico da vari enti e personalità del mondo medico-sanitario. Amica (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto), Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) hanno inviato un appello ai Ministeri della Salute e dell’Università e della Ricerca.
Si chiede, in particolare, di:
- vigilare sull’attuazione della legge 194/1978, che non ammette imposizioni dell’obiezione di coscienza;
- vigilare sul rispetto della stessa legge, secondo la quale Università, Regioni e Aziende Ospedaliere devono impegnarsi a promuovere la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario sui “problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”;
- verificare la completezza del programma di studio della Scuola di Specializzazione in Ostetricia e Ginecologia dell’università romana.
All’appello si associa anche l’associazione Chi si cura di te?, ricordando che:
“l’obiezione di coscienza decade nel momento in cui questo intervento [l’Ivg, ndr] sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. È evidente, quindi, che qualsiasi ginecologo formato attraverso una borsa finanziata dal Ssn [Servizio sanitario nazionale, ndr] debba essere in grado di saper eseguire una Ivg.”
Dal canto suo, l’Università Campus Bio-Medico risponde precisando che il proprio percorso di formazione non presenta carenze né inadempimenti alle norme vigenti.
“Gli specializzandi frequentano a rotazione una rete formativa costituita anche da importanti ospedali pubblici, con la possibilità di seguire tutte le attività lì svolte.”
Insomma, purché resti fuori dal Campus.
Punta dell’Iceberg
Il caso è anche occasione di riportare l’attenzione su una carenza formativa che in realtà accomuna le scuole di specialità pubbliche e private, almeno nella Capitale. Secondo un’indagine svolta da Amica nel 2016, infatti, l’89% degli specializzandi dei tre atenei statali di Roma riteneva inadeguata la formazione in tema di Ivg, e oltre il 60% aveva una conoscenza insufficiente o errata della legge 194. Inoltre, il 46% degli intervistati si dichiarava obiettore di coscienza.
Questi dati non sono rassicuranti. Da un lato fa riflettere che persino da obiettori di coscienza ci si renda conto delle carenze nella formazione specialistica. Dall’altro viene da chiedersi potrebbe essere diverso questo dato sugli obiettori (quasi la metà degli specializzandi!), se la formazione e l’informazione risultano così carenti.