Politica del c****: Armamenti italiani all’Egitto e il caso Regeni

Da Giulio Regeni a Patrick Zaky, sono moltissime le vittime del regime dittatoriale in Egitto. Eppure, l’Italia continua a vendere armamenti a questo Paese. Ecco una panoramica sulla situazione.

Ultimamente, l’Egitto è al centro dell’informazione italiana e non. Insieme alla Turchia infatti è una delle potenze “emergenti” , ma in realtà già emerse, che dirigono spregiudicatamente i giochi geopolitici del Mediterraneo. Turchia ed Egitto sono due potenze simili ma profondamente diverse. La prima è guidata da Erdogan, strettamente alleato ai Fratelli Musulmani, che in Siria supporta l’opposizione ad Al-Asad ed in Libia è a fianco di Al-Sarraj.  La seconda, invece, guidata da Al-Sisi, è fortemente avversa alle organizzazioni islamiste ed è schierata a favore di Haftar in Libia e Al-Asad in Siria. Entrambe le potenze giocano ad un gioco pericoloso che le allontana dagli storici alleati e impedisce nuove solide alleanze.

L’Egitto è una potenza peculiare, una delle poche in Nord Africa e Medio Oriente a intrattenere relazioni con Israele. È forte anche l’opposizione ai gruppi islamisti e ovviamente ai terroristi di matrice islamica, a differenza di quanto accade in altri Paesi del Golfo. In Egitto inoltre poco meno del 10% della popolazione è di religione ortodossa copta, una chiesa cristiana antichissima. Tuttavia, questo non toglie che sia governata manu militari da un vero e proprio dittatore: Abdel Fattah al-Sisi. Questo significa privazione della libertà di espressione, incarcerazioni immotivate, torture, violazioni dei diritti umani e tutto ciò che caratterizza un governo dittatoriale.

Chi è Al-Sisi e perché si trova al potere

Al-Sisi è un militare di carriera dal 1977, un personaggio irrilevante fin quando, nel 2012, il presidente Morsi decise di nominarlo a capo delle Forze Armate del Paese. Era l’anno successivo alla rivoluzione di piazza Tahrir e alla cacciata del dittatore Hosni Mubarak. Proprio in quell’anno si erano infatti tenute le elezioni che avevano visto trionfare, nel contesto della “Primavera Araba”, il candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi.

Mohamed Morsi

A ribaltare il primo governo democraticamente eletto d’Egitto (seppur fortemente impopolare) è stato proprio lo stesso al-Sisi con un ultimatum. Apparendo in televisione il primo luglio impose a Morsi di fare “la volontà del popolo egiziano”. Due giorni dopo Morsi venne spodestato dall’esercito e venne stabilito il governo ad interim del presidente della Corte Costituzionale Adli Mansur. Alla deposizione di Morsi nel luglio 2013, seguirono le elezioni nel giugno 2014, vinte dalla coalizione di al-Sisi con il 96% dei voti. In realtà, l’idea di deporre il presidente non fu di al-Sisi, il quale cavalcò una preesistente protesta popolare chiamata Tamàrrud. La presidenza di Morsi infatti, fortemente accentratrice e tendente all’islamizzazione della vita pubblica, non piaceva a gran parte del popolo egiziano. Proprio per questo molti politici, giornali e opinionisti si sono guardati dal parlare di colpo di stato.

L’ “insoddisfazione” del popolo egiziano tuttavia non può giustificare l’intero operato di al-Sisi che ormai esercita il potere da ben sei anni. Come poi spiegheremo meglio, l’operato di al-Sisi è presto mutato in un progetto autocratico e dittatoriale volto alla soppressione dei diritti, all’utilizzo della violenza e agli arresti di massa. Inoltre, molte organizzazioni internazionali hanno dichiarato le elezioni presidenziali del 2018 una farsa ridicola. La percentuale del 97% infatti non può nemmeno essere giustificata dalla “onda di entusiasmo popolare” che potrebbe, forse, spiegare il risultato del 2014.

Giulio Regeni: cosa sappiamo?

È ormai tristemente celebre la figura di Giulio Regeni, ricercatore italiano che è stato trovato ucciso, con segni di tortura, su una superstrada che dal Cairo va a Giza il 3 febbraio del 2016. Si trovava in Egitto come ricercatore per un dottorato all’Università di Cambridge, voleva raccogliere quante più informazioni possibili sui sindacati indipendenti in Egitto. Si sospetta che proprio questa sua ricerca l’abbia condotto alla morte, forse per la delazione del capo degli ambulanti del Cairo Muhammad Abdallah, che appare in un video mentre cerca di ricattare Giulio.

La ricerca della verità su questo caso ha incontrato diversi ostacoli come il ritiro dell’ambasciatore Massari e la cessazione dell’attività diplomatica a causa della mancata collaborazione da parte egiziana e i continui depistaggi. L’ambasciatore è poi ritornato un anno e mezzo dopo per decisione del governo Gentiloni che giustificava la scelta con una maggiore collaborazione delle autorità locali. In realtà, nessun passo avanti è stato fatto dall’Egitto e tutti gli sviluppi sono avvenuti grazie a scoperte “fortuite”. Una di queste è quella del supertestimone, un poliziotto keniota che a maggio del 2019, a Nairobi, ha origliato una confessione eccezionale. Costui avrebbe sentito il maggiore dei servizi segreti interni egiziani, Sharif Magdy Abdel Aal, vantarsi del trattamento riservato al ricercatore italiano.

Purtroppo, non c’è nulla di certo in questo caso, come dimostrano i buchi nelle registrazioni delle telecamere dei luoghi dove Regeni si recava. La finta collaborazione delle autorità egiziane si è arrestata non appena è sorta l’ipotesi, tutta italiana ovviamente, del coinvolgimento di agenti segreti egiziani. Nel frattempo la Camera dei Deputati ha sospeso ogni relazione con l’Egitto ma rimane in loco l’ambasciatore Cantini. Dal 30 aprile 2019 esiste inoltre una commissione d’inchiesta parlamentare guidata da Erasmo Palazzotto.

Proprio pochi giorni fa è arrivato dall’Egitto, usando le parole del Presidente della Camera Fico, “un cazzotto in faccia all’Italia”. Infatti l’Egitto, invece di fornire risposte, ha chiesto agli inquirenti italiani di fornire maggiori informazioni sulla presenza di Regeni in Egitto. Al che, i genitori di Regeni hanno chiesto nuovamente il ritiro dell’ambasciatore, cosa che il Ministro degli Esteri Di Maio non sembra intenzionato a fare. Del resto, come vedremo, l’Italia deve curare interessi economici sostanziosi in Egitto.

Giovani rivoluzionari

Non c’è solo Giulio Regeni tra le vittime del regime di al-Sisi ma molti altri giovani insofferenti a un regime autocratico e liberticida. Ognuno di essi ha deciso di sfidare il regime per ragioni diverse che però hanno un fondo comune: esporre i problemi di un Egitto che è democratico solo nominalmente. Senza dimenticare la storia di Patrick Zaki, ecco alcune storie di giovani perseguitati dal regime di al-Sisi.

Tra questi c’è Sarah Hegazy che è morta suicida poche settimane fa in Canada, Paese in cui si trovava dal 2018 come rifugiata politica. Nell’ottobre 2017 infatti si era macchiata di un crimine imperdonabile: esporre una bandiera arcobaleno a un concerto di un cantante apertamente omosessuale. Questa azione eversiva l’aveva portata davanti a un giudice con l’accusa di “promuovere la devianza e la dissolutezza sessuale”. Solo dopo tre mesi di detenzione le fu concesso di lasciare il carcere su cauzione. La giovane attivista si è tolta la vita a causa dell’intollerabile stress post-traumatico dovuto all’esperienza terribile delle carceri egiziane e delle violenze subite.

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Di inizio maggio 2020 è invece la notizia della morte di Shady Habash, regista ventiduenne. Era detenuto dal 2018 nel carcere per prigionieri politici a Tora, in seguito alla realizzazione di un video musicale per l’artista Ramy Essam, esiliato in Svezia. In quel video, Ramy criticava aspramente al-Sisi, nominandolo indirettamente col soprannome ironico, datogli dagli egiziani, “dattero”. Shady non aveva ricevuto nessuna condanna ma era detenuto in custodia cautelare da due anni e tre mesi (il massimo legale è due anni). Stando alle fonti ufficiali, la sua morte sarebbe dovuta all’ingerimento di alcool scambiato per acqua oppure alcool mischiato con acqua per ottenere un effetto di liquore. Oltre a scadere nel ridicolo, la dichiarazione è stata smentita dal ritrovamento di due interi flaconi di alcool, come emerso dalle confessioni dei compagni di cella.

La vendita di armamenti all’Egitto continua

Ciò che ha fatto più scalpore ovviamente è stata la decisione del governo di continuare con la vendita di armamenti verso l’Egitto, nonostante gli evidenti soprusi che continuamente vengono a galla. I giornali parlano principalmente della vendita di due fregate Fremm che varrebbero all’incirca 1.2 miliardi di dollari. Ma in realtà la commessa di armamenti all’Egitto è molto più sostanziosa e prevede anche aerei militari e satelliti il cui valore totale si aggirerebbe tra i nove e gli undici miliardi di euro.

Inutile dire che questa vendita non s’avrebbe da fare, non perché illegale (l’Egitto rispetta i parametri della legge 185/1990) e nemmeno perché immorale (lo è, ma non importa a nessuno) quanto perché contraria alla politica estera italiana. Infatti, vendere armamenti all’Egitto, l’unico stato con cui ci sono delle serie turbolenze diplomatiche, non sembra certo la scelta più azzeccata. Può anche darsi che si tratti del contrario e che sia una scelta ragionata; questa opzione sembra però piuttosto improbabile.

Chi si stupisce di questa commessa invece non ha letto laRELAZIONE SULLE OPERAZIONI AUTORIZZATE E SVOLTE PER IL CONTROLLO DELL’ESPORTAZIONE, IMPORTAZIONE E TRANSITO DEI MATERIALI DI ARMAMENTO”. Si tratta di un documento annuale di circa novecento pagine previsto dall’articolo 5 della legge 185/1990 che rende conto dell’import/export di armamenti italiano. Nella relazione del 2019, arrivata con più di un mese di ritardo, risultano al primo posto tra i compratori dei nostri armamenti Egitto (871mln) e Turkmenistan (446mln), due note amorevoli democrazie. Se dell’Egitto abbiamo già parlato, il Turkmenistan è definito la Corea del Nord dell’Asia Centrale e questo dovrebbe bastare.

Insomma, se non ci fosse l’embargo ONU in Nord Corea, l’Italia venderebbe le sua armi anche lì. Del resto, tra i Paesi a cui abbiamo venduto grandi quantità di armamenti negli ultimi anni risultano Kuwait, Qatar, Pakistan e Turchia, oltre alle nazioni europee. Tuttavia, rispetto ai governi Renzi e Gentiloni la vendita di armi si è ridotta drasticamente passando dai 14 mld del 2016 ai 4 mld del 2018 e 2019.

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