Istruzione e lavoro: quali prospettive oggi?

Cosa vuoi fare da grande? Cosa farai dopo il liceo? Quali sono le tue prospettive? Questi sono alcuni dei numerosi punti interrogativi dei giovani, di fronte all’incupirsi del panorama lavorativo italiano, oggi apparentemente più drammatico e incerto. L’Italia, infatti, nella corsa al primato e al desiderio di porsi come paese innovativo e all’avanguardia, risulta oggi piuttosto arretrata rispetto agli altri stati europei. E il settore che al momento sembra soffrirne di più è proprio quello scolastico e lavorativo: non dovrebbero sorprenderci i dati, pubblicati dall’Eurostat riguardo il numero di laureati in Italia, nettamente inferiore agli altri paesi europei.

Le statistiche, infatti, celebrano il raggiungimento del target del 40% di laureati in Europa nel 2018, un numero pari al doppio rispetto al 23,6% del 2002. Una crescita significativa che, però, non si distribuisce equamente all’interno del nostro continente. Al primo posto, annuncia l’Eurostat, i Paesi nordici, con un giovane su due laureato; segue l’Irlanda con il 56,3%, l’Olanda con il 49,4%, fino alla Germania con un 34,9%. In fondo alla classica compare, senza alcuna sorpresa, proprio l’Italia che, nel 2018, ha raggiunto un target di laureati pari al 27,8%, superiore solo alla Romania che conclude la statistica con un 13,1%. Sempre lo stato italiano slitta in vetta alla classifica per il numero di abbandoni degli studi: il 14,5% di studenti, infatti, rinuncia agli studi dopo la conclusione della scuola secondaria.

Quali i punti deboli?

Una percentuale così negativa nel numero di laureati e così alta negli abbandoni, ci porta a chiederci quali sono i punti deboli del settore scolastico e lavorativo in Italia, che invece di incentivare il proseguimento degli studi e l’entrata nel mondo del lavoro, porta i giovani d’oggi ad emigrare fuori dal proprio paese verso stati più innovativi e con una prospettiva futura più “entusiasmante”.

La struttura scolastica

Innanzitutto, la struttura scolastica, che prevede cinque anni di elementari e poi tre anni “inutili” di scuola media, volti solamente ad accennare una qualche conoscenza superficiale che, forse, verrà approfondita negli ultimi cinque anni di scuola superiore, responsabilizzati dal compito incerto di colmare le lacune della media. I test internazionali ce lo confermano: i bambini al quarto anno di elementare risultano sopra la media rispetto agli altri paesi, secondo il rapporto IEA del 2011, mentre quelli fatti ai ragazzi alla fine della scuola dell’obbligo si mostrano, nella statistica OCSE, molto al di sotto. Ciò sottolinea come la necessità primaria sia quella di una nuova ristrutturazione della formazione scolastica, costituita da obiettivi e necessità ben definiti, che possano garantire al ragazzo un percorso di studi chiaro ed efficiente.

Gli istituti professionali

Segue la questione degli istituti professionali italiani: laddove, all’estero, la formazione professionale ha una sua dignità e un riconoscimento pari a quello dell’università, in Italia questo tipo di istruzione è lasciato ai margini della società e solo lo 0,3% dei giovani intraprende tale percorso. Chiara Palandri, insegnante presso l’Accademia di Belle Arti a Milano e restauratrice alla Biblioteca Nazionale di Oslo, afferma: 

La Novergia ad esempio valorizza coloro che vogliano intraprendere un percorso professionale: ad Oslo hanno aperto istituti, la cui dignità è pari a quella delle università, in qualsiasi settore, dalla falegnameria all’elettronica. Questi percorsi vengono pubblicamente riconosciuti e le persone entrano nel mondo del lavoro con possibilità pari a quelle degli studenti universitari. Inoltre, un diplomato presso un istituito professionale ha la possibilità di intraprendere il percorso universitario allo stesso modo di uno studente di scuola liceale. Le scuole sono strutturate in modo tale da seguire le esigenze di tutti e non solo dei migliori, senza la necessità di giudicare e valutare e mettere gli studenti in competizione.

Intervista a Valerio Muci e Tommaso Fantoni

In ultima analisi, allo scopo di dare un panorama a 360° della situazione lavorativa italiana e delle sue eventuali prospettive, abbiamo intervistato due ragazzi laureati nel settore chimico: Valerio Muci e Tommaso Fantoni.

Quali sono le prospettive di lavoro?

Valerio: Oggi le prospettive di lavoro sono maggiori in termini numerici. L’occupazione ricopre molti settori rispetto ad una volta, come quello tecnologico-digitale. Vedo un futuro produttivo, forse non prospero, in quanto i cambiamenti avvengono oggi con una rapidità maggiore rispetto a prima. Le condizioni sono più difficili: un tempo erano le aziende a cercarti, oggi sei tu che devi metterti in gioco.

Tommaso: Le prospettive di lavoro sono cambiate rispetto agli anni precedenti, perché ci sono settori che continuano a crescere e settori che rimangono in stallo. Le prospettive dipendono generalmente dall’ambito che vuoi intraprendere e in cui scegli di specializzarti. Un settore come quello scientifico è in continua crescita, chi lo sceglie può trovare più facilmente lavoro rispetto a chi intraprende un percorso umanistico, ad esempio. Ci sono magari nuovi posti di lavoro, è vero, ma allo stesso tempo la nuova era tecnologica e digitale toglie impieghi.

La situazione in Italia?

Valerio: Il mercato del lavoro è arrivato a un punto di stallo, la qualità del lavoro è peggiorata. In futuro ci saranno dei miglioramenti e le condizioni non potranno che essere più proficue e idonee, a mio parere. Io sono convinto che tutti i paesi abbiano dei momenti di stallo, come, secondo me, accadrà in Inghilterra dopo la Brexit.

Tommaso: Siamo in una situazione di stop. Il problema, secondo me, sta a monte: prima ancora del lavoro, il problema principale riguarda la formazione scolastica. Motivo per cui tutti scappano dall’Italia, perché non vengono utilizzati i fondi per coltivare lo studio, l’università. Si vede non appena andiamo fuori; se fai un’esperienza di studio all’estero, vedi come le strutture e i servizi per gli studenti e lavoratori siano molto più efficienti. È da lì che si formano i futuri lavoratori.

E riguardo al suo settore?

Valerio: Con la mia laurea in ingegneria chimica posso trovare abbastanza facilmente un impiego che si avvicini o coincida con le mie esigenze ed obiettivi, in quanto è una facoltà che non tutti hanno voglia di fare, è sempre più richiesta e il numero di laureati è basso.

Tommaso: Il mio settore è proficuo. La laurea in chimica è in un campo che sta continuando a svilupparsi. Inoltre, è una laurea abbastanza specifica, per cui non concorrono molte persone. È un campo molto vasto: la chimica si trova in tutto ciò che ci circonda, trovare un lavoro nell’ambito della chimica permette di trovare un lavoro in qualsiasi campo.

Come considera le condizioni del lavoratore?

Valerio: Non posso negare che in Italia il lavoratore tenda ad essere sottovalutato e quindi sottopagato rispetto ad altri paesi: a Milano gli stipendi sono uguali al resto dell’Italia, eppure a Milano con lo stesso stipendio non puoi vivere, i costi sono troppo alti. Nel Nord Europa non accade. Il vero problema quindi non sono tanto le prospettive, quanto la qualità di tali prospettive. Anche in Francia, ad esempio, che non ha una situazione così diversa rispetto all’Italia, ma dove la qualità del lavoro è migliore, sei maggiormente tutelato, hanno un welfare che funziona.

Tommaso: In Italia, lavori il doppio e vieni pagato la metà, all’estero è il contrario. Questo è anche un motivo per cui i lavoratori italiani sono spesso richiesti all’estero: hanno una preparazione e un’idea di lavoro che è molto più efficiente.

 Cosa ritiene sia da migliorare?

Valerio: Migliorerei l’istruzione pubblica, che pone le basi per il futuro. Ed è la prima cosa su cui tagliano insieme alla sanità. Non è giusto.

Tommaso: Innanzitutto l’istruzione pubblica. Poi cercherei di dare maggiore freschezza nel lavoro: ci sono persone che lavorano 50 anni prima di arrivare alla pensione. Questo toglie anche posti di lavoro per i giovani, futuro del nostro paese. E di conseguenza aumenta il tasso di disoccupazione, che in Italia è elevato. E aumenterei lo spazio destinato alla ricerca e allo sviluppo, che in Italia non ha grande valore.

Quale è la speranza?

Dall’analisi del sistema scolastico e delle prospettive di lavoro che esso concede, è chiaro che vi sia bisogno di un cambiamento. Al confronto con gli altri paesi europei, l’Italia pone l’accento sulle competenze, le esperienze e sulla competizione, lasciando in secondo piano le esigenze e il valore dei giovani, futuri lavoratori in un mondo che, al momento, non garantisce dignità alla persona e non punta all’innovazione. Valorizzare i singoli, aprire opportunità pari agli studenti tradizionali e anche a quelli degli istituti professionali, creare un percorso di studi che guidi lo studente nella scelta del suo futuro: queste le tante “sfide” che lo Stato Italiano deve prendersi a carico. E il punto di partenza è la consapevolezza: la coscienza che è proprio l’istruzione il motore del cambiamento e dell’innovazione.

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