Уходи: I lavoratori bielorussi gridano “Lukashenko dimettiti”

Da inizio agosto, la Bielorussia è scossa dalle proteste della società civile. Giovani, donne e uomini sono scesi nelle piazze delle città bielorusse per criticare l’operato di Lukashenko. È dal 1994 infatti che la Bielorussia si ritrova avvolta in una spiacevole bolla: Aleksandr Lukashenko e la sua vetusta politica sovietica. Egli rappresenta quello che in russo chiamano “apparatcik” ovvero un funzionario di partito; una carriera spesa tra esercito, sovchoz e il Soviet bielorusso.

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Sembrerebbe dunque strano se la società civile, specialmente quella giovane e globalizzata, accettasse senza discutere questo stato di cose. La Bielorussia si trova infatti in un momento clou della sua (breve) storia: deve decidere con chi stare. Tuttavia, prima di far questo deve risolvere per conto proprio, come ha detto il portavoce del Cremlino Peskov, gli evidenti problemi interni. In ogni caso, sarà proprio la Russia, con cui la Bielorussia è legata da vincoli geopolitici, economici, culturali e storici ad avere un ruolo determinante nella faccenda, a dispetto delle dichiarazioni di Peskov.

Russia e Bielorussia sono legate come la Germania Est lo era alla Russia sovietica, grazie ai bassi prezzi del petrolio russo. Questa vicinanza però, oltre a mantenere a galla l’economia bielorussa, porta con sé lo spauracchio dell’annessione. Proprio come la domanda più cercata sul web cinese: “qual è la differenza tra Russia e Bielorussia”, pare che anche Putin si sia posto questo quesito. Non bisogna certo aspettarsi un’invasione stile Crimea, ma un progressivo assorbimento della Bielorussia nella Federazione non è da escludere completamente. Nel frattempo, mentre a Minsk si radunano migliaia e migliaia di persone, Lukashenko e Putin si sono ritrovati a fronteggiare una situazione molto delicata.

Le elezioni farsa

Dopo una prima ondata di proteste e comizi dell’opposizione biancorossa capeggiata da Svetlana Tichanovskaja, è arrivato il giorno delle elezioni. I candidati erano ovviamente Lukashenko, Tichanovskaja e alcune figure minori di scarso peso politico. L’altro candidato di spessore, l’uomo di affari Viktor Barbariko, era stato già escluso dalla lista a causa di irregolarità nella dichiarazione dei redditi. È stato poi arrestato per motivi poco chiari, ed è ora considerato un prigioniero politico. Barbariko si va ad aggiungere alla lista dei prigionieri politici in Bielorussia, tra cui appare anche il marito della stessa Tichanovskaja. Proprio Siarhei Tichanovskij, blogger politico, era un altro dei candidati alla presidenza, ma è stato arrestato, sempre in circostanza poco trasparenti, durante un comizio nella città di Hrodna.

Il nove agosto la strada verso la rielezione di Lukashenko era quindi libera, se non per la presenza appunto di Svetlana Tichanovskaja e i suoi supporters. È stato proprio a quel punto che Lukashenko, temendo un vero confronto, ha giocato la carta finale: i brogli elettorali. Andando oltre le dichiarazioni ufficiali dell’OSCE e di altre organizzazione indipendenti, il giornale russo-lettone «Meduza» si è spinto ad intervistare dei volontari presso i seggi elettorali. Alcuni di costoro hanno rivelato dettagli compromettenti di manipolazioni delle schede elettorali, doppie votazioni e intimidazioni verso i volontari onesti. Pare che i responsabili dei seggi pro Lukashenko siano arrivati anche ad utilizzare la pandemia come scusa per allontanare gli osservatori internazionali.

All’annuncio dei risultati ufficiali, la reazione dell’Unione Europea è stata netta: rinnovo delle sanzioni e rifiuto di riconoscere le elezioni. Opposta ovviamente la reazione di Putin che ha subito chiamato Lukashenko per congratularsi della ennesima rielezione. La candidata dell’opposizione invece è fuggita in Lituania, ricongiungendosi coi suoi figli, per timore di venire arrestata.

Le proteste continuano

La fuga della Tichanovskaja non ha fermato le proteste che proprio ieri sono entrate nel secondo mese e non paiono affievolirsi. Emblematico è stato il gesto dei lavoratori di una fabbrica di trattori che, dopo il discorso di Lukashenko, hanno cantato in coro “Uchodi” che significa “Dimettiti”.

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È di questi giorni inoltre la notizia dell’arresto di Maria Kolesnikova mentre manifestava al confine con l’Ucraina. Le immagini mostrano uomini incappucciati mentre la caricano su un’auto non identificabile. Sembra che abbia opposto resistenza all’arresto, strappando il passaporto per evitare la deportazione. Tuttavia, è riuscita a comunicare dalla prigione tramite una nota del Comitato Investigativo Bielorusso riportata dall’agenzia di stampa russa Interfax. Un altro arresto che ha fatto rumore è stato quello di Maxim Znak, parte del Consiglio di Coordinamento e legale di Viktor Barbariko. Anche egli pare sia stato rapito con gli stessi metodi della collega Kolesnikova.

Questi arresti-rapimenti, insieme all’autoesilio della Tichanovskaja, lasciano sul suolo bielorusso l’ultimo membro del Consiglio di Coordinamento, l’organo di opposizione al presidente. Si tratta di Svetlana Alexievich, scrittrice premio Nobel, da sempre critica del regime di Lukashenko. Anch’essa ha però espresso timori riguardo un possibile arresto: uomini mascherati sono appostati al di fuori del suo appartamento e continua a ricevere chiamate minatorie.

Basta Lukashenko: perché?

La domanda che potrebbe sorgere è: perché proprio ora? I motivi sono tanti, alcuni storici ed altri più recenti. Innanzitutto, la gestione della pandemia, dove il governo è stato completamente inerte. Lukashenko è infatti un novello gilet arancione, negazionista della pandemia, e a guardare bene assomiglia terribilmente al fascinoso Pappalardo.

L’eterno presidente non ha fatto proprio nulla per limitare i danni ma si è impegnato molto nella direzione contraria. Il nove maggio non ha potuto infatti rinunciare alla parata per il Giorno della Vittoria, quando pure la Russia aveva annunciato che sarebbe stata annullata. Ha inoltre tenuto aperti gli stadi di calcio, rifiutandosi di fermare il campionato, e consigliato di bere vodka, la (preferibile) alternativa bielorussa alle iniezioni di disinfettante.

Ma le ragioni del malcontento vanno più a fondo e riguardano la condizione dell’intera Bielorussia, che si ritrova ad essere uno degli Stati più poveri d’Europa. L’eredità sovietica fa sì che tutte le imprese siano nazionalizzate e che quindi la corruzione dilaghi come ai tempi di Gorbaciov. Le poche aziende private (Belgazprombank) invece sono in mano degli oligarchi russi, non migliori della corruzione sovietica.

Inoltre, la posizione geopolitica della Bielorussia non è esattamente felice. I legami stretti con la Russia mettono fortemente a rischio la sovranità nazionale, specialmente qualora Lukashenko dovesse ricorrere al supporto militare di Mosca. Allo stesso tempo, i rapporti con la Cina non sono così forti da mettere al riparo la Bielorussia da una potenziale annessione russa. Il problema è che la Bielorussia ha bisogno di Cina, Russia o altri alleati, mentre gli altri Stati non hanno bisogno della Bielorussia, priva di risorse e valore geopolitico.

Si tratta dunque di una congiuntura di elementi sfavorevoli che mette la Bielorussia in una posizione rischiosa, anche qualora l’opposizione dovesse avere la meglio. Lukashenko ha dunque stancato molti bielorussi, arriverà il turno di Putin?

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