Il Tigrai al collasso e l’invasione delle locuste: l’Etiopia oggi

Il Tigrai è la regione settentrionale dell’Etiopia, il secondo paese più popoloso del continente africano. La zona ospita i tigrini, una delle tante etnie che appartengono alla popolazione etiope: pur rappresentando meno del 10% della popolazione totale, sono loro a dominare la scena politica del paese da oltre trent’anni.

Nel 2018 è stato eletto alla presidenza Abiy Ahmed, di etnia oromo (la maggioranza del paese) ed ha inaugurato il suo mandato escludendo i tigrini dal potere. Di fatto però questo non ha cambiato granché nella regione e l’agenda politica è rimasta invariata: a settembre 2020 il Tigrai ha organizzato le votazioni, in pieno disaccordo con il governo centrale.

Questo ha causato l’inizio di rappresaglie da parte di Abiy, con conseguenze che vanno avanti tutt’ora. Stando alle sue ultime dichiarazioni, datate 17 novembre 2020, sembrerebbe che le operazioni siano entrate nella fase finale.  Le truppe governative infatti sono entrate nella capitale della regione, Mekelle, città di oltre 500mila persone. Non è certo se l’eventuale caduta della città possa coincidere con la fine del conflitto, il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) si è dimostrato molto restio alla resa e pronto a nuovi reclutamenti.

Cartina dell’Etiopia, la parte rossa in alto è la regione del Tigrai

All’agenzia Reuters il presidente della regione Debretsion Gebremichael non parla di resa, sostenendo invece come la guerra continui “su ogni fronte”. Il governo etiope ha duramente smentito: Abiy ha sottolineato come nelle offensive non siano stati colpiti civili e che al momento l’unico fronte aperto è quello relativo alla caccia ai leader del Tplf.

Il Fronte popolare di liberazione del Tigrai conosce perfettamente la regione, montuosa e disseminata di grotte. Caratteristiche che rendono difficile  l’ avanzamento di un esercito vero e proprio: il territorio perfetto per una guerriglia, di cui è difficile preannunciarne una fine. I soldati a disposizione per il Tplf sono 250mila, oltre ad un imprecisato numero di volontari.

Assenza (o quasi) di informazioni certe

Sappiamo che ci sono stati bombardamenti, ma non quali fossero gli obiettivi né se siano stati colpiti”: queste le dichiarazioni di W. Davison, esperto di Etiopia all’International Crisis Group. Nessuno al momento ha apertamente parlato di guerra, il governo federale tuttavia continua a rivolgersi al Tplf definendoli terroristi e parla di “operazioni di polizia”. Davison ritiene inoltre che non sia sbagliata la lettura del governo: si è di fronte ad un’organizzazione violenta che è disposta a tutto pur di restare al potere, incluso il ricorso al terrorismo.

Uno dei problemi è dato anche dall’assenza di informazioni affidabili, sia da un fronte che dall’altro. Quando presenti, si contraddicono a vicenda. I numeri relativi ai civili in fuga sono ingenti e destinati ad aumentare sempre più: attualmente sono circa 50mila i tigrini che sono fuggiti in Sudan.

Le informazioni non arrivano a causa del blocco delle linee telefoniche e di internet, decisione imposta dal governo centrale per tutto il territorio. L’unica voce che resta attiva è quella delle organizzazioni umanitarie. Molte denunciano il fatto che Addis Abeba non permetta  loro l’ingresso nella regione del Tigrai, dove già prima dello scoppio del conflitto oltre un milione di persone viveva grazie agli aiuti umanitari.

Il 9 novembre, decine (o centinaia, le fonti ancora una volta non sono chiare) di civili sono stati uccisi da un attacco del Tplf, stando alle ricostruzioni dei sopravvissuti. Dura la presa di posizione di Deprose Muchena, Direttore regionale di Amnesty International:

“I comandanti e i funzionari del Tplf devono dire chiaramente ai loro miliziani che gli attacchi contro i civili sono assolutamente proibiti e che costituiscono dei crimini di guerra”.

Il Tplf nega però ogni responsabilità.

Il 2 dicembre si è giunti ad un accordo tra il governo federale etiope e le Nazioni Unite per l’apertura di un corridoio umanitario nel Tigrai. Il patto stipulato permetterà alle organizzazioni umanitarie di accedere all’area senza impedimenti e portare dunque acqua, cibo e medicinali. Le Nazioni Unite riportano dati sconcertanti; sarebbero circa due milioni le persone nel Tigrai che necessitano di assistenza, il doppio rispetto all’inizio del conflitto.

Guerra nella guerra: la lotta alle locuste

L’instabilità politica della regione causa gravi ripercussioni anche per quanto riguarda la lotta contro le locuste. Questi insetti sono numerosissimi e causano danni enormi ad agricoltura e allevamento. Nel 2019 i rapporti della FAO (Food and Agricolture Organization) hanno stimato circa 350mila tonnellate di cereali persi e la distruzione di oltre 1 milione di ettari di pascolo.

Il 2020 sarà peggiore anche a causa di una stagione più piovosa del normale, fatto che ha permesso un grande tasso di riproduzione per questi insetti.

Alle questioni naturali si aggiunge la mano umana: con l’aggravarsi degli scontri nella regione del Tigrai, gli sforzi fatti in precedenza si sono interrotti bruscamente. Nessuna operazione aerea è più stata fatta e si è verificato un blocco totale della distribuzione dei pesticidi. Gran parte del lavoro era fatto manualmente, con poco impiego tecnologico, ma al momento gran parte di quegli stessi giovani si trovano reclutati per la guerra.

Fonti:

Jacob Kushner, Migliaia di civili in fuga dalla guerra nel Tigrai, Internazionale 1385, pp. 28 -29.

Tom Gardner, La guerra ostacola la lotta alle locuste, Internazionale 1386, pp. 24.

www.africarivista.it

www.avvenire.it

www.aljazeera.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.