“Caro Diario” il manifesto autoriale di Nanni Moretti

Il 12 ottobre, in un breve istante di pausa da un 2020 a porte chiuse, è tornato nelle sale cinematografiche Caro Diario di Nanni Moretti, in una nuova versione restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna. Il film, premiato per la regia al Festival di Cannes del 1994, è stato accompagnato nelle “prime” nuove proiezioni dallo stesso Moretti, che ha fatto dono agli spettatori di dettagli e aneddoti riguardanti la produzione e la concezione della pellicola, divenuta ormai una pietra miliare della cinematografia italiana e non solo.

Come nasce Caro Diario

La genesi di Caro Diario è quella di un cortometraggio, basato esclusivamente sul primo dei tre episodi che faranno poi parte della pellicola. Questo vede Nanni Moretti, regista e protagonista, in giro per Roma ad agosto, in sella alla sua, ormai iconica, Vespa 125 blu con indosso il caschetto bianco, futuro simbolo della Sacher Film. Il regista ha confessato che riguardando il girato di quel cortometraggio si innamorò “della leggerezza e dell’irresponsabilità” che esso comunicava e da quella leggerezza non volle più separarsi.

In Caro Diario percepiamo l’idea di frammentazione, propria delle pagine di un diario, ed una forte connotazione autobiografica. Ciò che ci viene mostrato non è una storia di finzione, ma istantanee della vita dell’autore, che pedissequamente segue il consiglio che una volta gli fu dato da un vecchio allenatore di pallanuoto: “Nun te ‘nventà niente”.

La bellezza popolare di Roma

Il primo episodio, come anticipato in precedenza, ci mostra Nanni Moretti girare per Roma, in Vespa, senza meta. Un’erranza, tema caro al cinema Moderno, reinterpretata con un accento ludico. Il suo vagabondare lo conduce attraverso i quartieri più noti della Città Eterna, quali la Garbatella, il preferito del regista, la ingiustamente criticata Spinaceto o Casal Palocco, zona residenziale nonché luogo di fuga, incomprensibile per l’autore, di molti romani negli anni’60, “quando Roma era ancora bellissima”.

Il cinema per Nanni Moretti

Durante questa erranza si fa largo un elemento forte del Postmodernismo italiano, a cui appartiene Nanni Moretti: il Metalinguaggio, ovvero il cinema che parla del cinema. Il regista, con l’ironia pungente che lo contraddistingue, commenta così la programmazione estiva delle sale italiane: “D’estate a Roma i cinema sono tutti chiusi. Oppure ci sono film pseudo-pornografici, film dell’orrore o film italiani”. Un’affermazione forte contro tutti quei film italiani basati unicamente su drammi personali banali, accompagnata da una parodia creata ad hoc dal regista. La critica non termina qui, ma volge il suo sguardo anche verso film dell’orrore quali Henry, pioggia di sangue, la cui violenza gore è vista come cinematograficamente inguardabile. Caro Diario si presenta quindi come una dichiarazione della poetica registica di Nanni Moretti e del suo modo di fare cinema.

Un ulteriore caratteristica dell’autorialità che vediamo su schermo ed uno dei tratti distintivi del Moretti protagonista dell’opera, è sicuramente lo sguardo in macchina. Un gesto del genere era assolutamente rifiutato nel cinema classico, considerato come errore tanto della prova attoriale quanto di quella registica. Nanni Moretti ne fa invece una sua sorta di firma, un elemento distintivo dei suoi personaggi che quasi desiderano tirare in scena lo spettatore, chiedendone una partecipazione attiva.

Flashdance il film che mi ha cambiato la vita

In realtà il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene… Flashdance si chiamava, quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era un film solo sul ballo. Saper ballare! E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però è tutto un’altra cosa…

Con la manifesta dichiarazione di voler ballare, Moretti ci riproietta immediatamente nell’atmosfera di leggerezza che contraddistingue la pellicola ed unisce cultura bassa e cultura alta, autorialità e pop, nell’istante in cui dichiara che Flashdance è il film che gli ha cambiato la vita. Vediamo il regista tentare comicamente di inserirsi in una festa a tema sudamericano e successivamente incrociare l’attrice, nonché suo idolo, Jennifer Beals, in una delle scene più divertenti e buffe del film.

Questa serie di scene ci da il pretesto per parlare e sottolineare un altro straordinario aspetto della pellicola: l’incredibile colonna sonora. Quest’ultima è estremamente variegata e manifesta il desiderio di Moretti di inserire all’interno delle sue opere i propri brani preferiti, spesso appartenenti ai generi più disparati. Impossibile quindi non essere rapiti da brani esotici quali Batonga di Angélique Kidjo e Didi di Khaled, o non percepire la passione incandescente trasmessa da
I’m your man di Leonard Cohen.

Il clima del film tuttavia cambia improvvisamente sul finire del primo episodio, con un relativo cambio di colonna sonora. Entrano in gioco le meravigliose composizioni originali di Nicola Piovani, premio Oscar nel 1999 per le musiche de La Vita è Bella di Roberto Benigni.

Il ritorno a Pasolini

Non so perché, non ero mai stato nel posto dove è stato ammazzato Pasolini

Le note del piano di Piovani si fanno struggenti e malinconiche. L’erranza diviene di colpo un pellegrinaggio verso Ostia, ripreso mediante un piano sequenza alle spalle di Nanni Moretti in cui l’accompagnamento musicale risulta decisivo e detta il tono della scena che diviene una sorta di lunghissima Soggettiva Indiretta Libera. Ecco che si compie, stilisticamente e materialmente, il ritorno a Pasolini, che culmina con l’arrivo nello squallido luogo della sua morte, dimenticato dalla società proprio come l’autore stesso, il cui monumento alla memoria giace abbandonato tra l’erba incolta. Anche questa inquadratura inevitabilmente ci porta alla memoria il complesso legame con le rovine del passato presente in film di Pasolini come Mamma Roma, simbolo della perdita del legame tra uomo e realtà. Tuttavia del regista-poeta e della sua forte ideologia non rimane memoria.

Le isole

Si apre qui, il secondo episodio del film, quello dedicato al viaggio nelle Isole Eolie. Moretti si dirige verso Lipari, per raggiungere il suo caro amico Gerardo che lì si è ritirato undici anni prima e che da allora sta studiando solo ed esclusivamente l’ Ulisse di James Joyce. Durante il primo di una serie di viaggi in nave, apprendiamo che il regista è alla ricerca di calma e concentrazione per la scrittura di un prossimo film e notiamo uno degli oggetti simbolo di Nanni Moretti: i ritagli di giornale. Questi ultimi sono fonte di ispirazione e protagonisti nel processo creativo dell’autore; in Aprile, film del 1998 successivo a Caro Diario, assumeranno inoltre una forte connotazione politica e diverranno parte di una delle scene più belle del regista.

In un bar di questa prima isola assistiamo ad un’altra divertente scena buffa. Moretti sta ordinando una spremuta d’arancia e un panino quando la sua attenzione è rapita dalla TV del locale che trasmette il film Anna di Mario Alberto Lattuada del 1951. In particolar modo a colpirlo è la scena in cui la bellissima Silvana Mangano, icona del cinema degli anni Cinquanta, danza sulle note di Mambo; il regista non resiste e ancora una volta cede al richiamo del ballo, iniziando così ad imitare i passi dell’attrice. Questa scena è chiaramente un gioco di citazionismo, tanto caro al Postmodernismo, e parodia che fungono da piacevole contorno ad un discorso intermediale.

Salina, la dittatura dei figli unici

Lipari tuttavia non è più quella di una volta. Il turismo l’ha resa eccessivamente caotica e chiassosa per potersi concentrare, così Moretti in compagnia di Gerardo, salpa alla volta di Salina. Il secondo viaggio in nave è molto importante soprattutto per Gerardo che, dopo aver ammesso di non aver più guardato la televisione per scelta da trent’anni, viene attratto, come dal canto di una sirena, da un televisore su cui va in onda Beautiful. Questo dettaglio caratterizzerà il personaggio durante tutto il giro delle isole.

A Salina i due protagonisti sono ospiti presso diverse coppie, tutti amici di Gerardo e tutti con un solo figlio. Solo uno. Salina è un’isola preda della dittatura dei figli unici. Questo pretesto assurdo, quasi surreale, dà vita ad una delle scene più belle del film. Moretti osserva decine di adulti ostaggi di telefonate infinite con i bambini che hanno preso possesso dell’altro capo del telefono ed, invece di passare la telefonata ai genitori, interrogano il malcapitato con domande sui versi degli animali. Una sequenza che inevitabilmente risveglia un sentimento di nostalgia dell’infanzia nello spettatore e nel protagonista. Il regista infatti si abbandona ai ricordi e  trovando un pallone abbandonato inizia a correre e giocare su un campo di terra battuta, accompagnato, ancora una volta magistralmente, dalla musica di Piovani.

Essere genitori

È interessante inoltre notare come Moretti descriva, in questa parte del viaggio, le paranoie e le psicosi delle coppie che lo ospitano. Tutte troppo apprensive, fissate in maniera malsana con i propri figli, che hanno reso protagonisti indiscussi delle proprie vite. Tra il tenero e il grottesco ci vengono mostrati tanti stereotipi di madri e padri, legati alla concezione italiana di famiglia e dei suoi valori. Tuttavia fa sorridere pensare che queste paranoie genitoriali, qui mostrate con fare parodistico, saranno poi proiettate sullo stesso Nanni Moretti in Aprile, quando questi sarà in attesa del suo primo figlio.

L’ascesa verso Stromboli

Abbandonata anche Salina si fa rotta verso Stromboli. Qui “la presenza minacciosa del vulcano” influenza l’umore degli abitanti, che si presentano più ostili rispetto a quelli delle altre isole. Eppure una persona si mette immediatamente a disposizione della coppia di protagonisti, il sindaco di Stromboli, un personaggio dalla forte impronta comica che trascina Nanni e Gerardo in giro per il centro abitato. Quest’ultimo è costantemente in attesa dell’agronomo giapponese responsabile dei 28000 ettari che circondano Tokyo, una piccola perla parodistica di Aspettando Godot, ed assilla i due amici con idee e progetti assurdi per l’isola.

L’effetto di parodia si fa poi sempre più forte fino a raggiungere il suo exploit nella scalata del vulcano. Qui Rossellini girò, per l’appunto, Stromboli con Ingrid Bergman, film dai toni decisamente drammatici. Emblematica la scena in cui la protagonista tenta la fuga scalando il vulcano che inizia ad eruttare; una scena tragica che riflette sul legame tra uomo e natura . Proprio questa scena è oggetto della parodia. Moretti e Gerardo, salgono sul vulcano e nel silenzio iniziano un discorso profondo riguardo il legame precedentemente citato. Fin quando Gerardo nota dei turisti americani. Poiché in America “sono avanti con le puntate”, l’amico convince Nanni a raggiungerli per farsi dare delle anticipazioni riguardo gli eventi di Beautiful. Nanni inizia così a fare avanti e indietro dal picco del vulcano, gridando a squarciagola i dubbi intrecci amorosi della Soap. La drammaticità Rosselliniana è quindi rovesciata mediante una parodia brillante e fortemente Postmoderna.

L’isola tra le isole: Alicudi

Dopo un breve salto a Panarea, l’isola del cattivo gusto, ci ritroviamo ad Alicudi, l’isola più selvaggia, la più isolata, l’unica che sembra davvero permettere la ricerca della concentrazione tanto agognata da Moretti. Tra questi sentieri rocciosi però Gerardo non può resistere, perché qui non c’è corrente. E niente corrente, vuol dire niente televisione. La sua dipendenza è ormai incontrollabile. Millanta legami tra Una rotonda sul mare e il verso “Quam Iuvat” di Tibullo. Crea un dubbio paragone tra Chi l’ha visto? ed il viaggio di Telemaco alla ricerca di Ulisse. Infine scrive una lettera discutibile al Papa contro la scomunica delle telenovelas. Ancora una volta troviamo un unione, in questo caso alquanto satirica, tra cultura alta e bassa. Il personaggio di Gerardo diviene sempre più parodia dell’intellettuale di sinistra e degli effetti negativi della televisione generalista.

I medici

Il terzo ed ultimo episodio è il più fortemente autobiografico. Nanni Moretti ci racconta la sua odissea tra uno studio medico e l’altro, a caccia di risposte e di una cura per un fastidioso prurito che lo tormenta da mesi. Moretti si rivolgerà praticamente a chiunque, ambulatori, dottori acclamati, dermatologi specializzati. Farà ricorso persino alle cure tradizionali cinesi senza mai trovare una soluzione al suo problema. Fin quando dopo una TAC gli viene diagnosticato un sarcoma al polmone, un cancro inoperabile.
Sembrerebbe l’epilogo più tragico, ma per fortuna il dottore che aveva fatto la diagnosi si sbagliava e il male si rivela essere un linfoma di Hodgkin, operabile e non letale.

Nella sua semplicità questo episodio si rivela essere il più personale e pone come suo fulcro la centralità del corpo. Fin dall’inizio lo spettatore è informato che ciò che sta per vedere sono le ultime sedute di chemioterapia del regista e ciò rafforza l’empatia tra le parti. Il peregrinare di Moretti tra i vari medici e le miriadi di medicinali totalmente inutili che gli vengono prescritti, rendono la storia del protagonista simile a quella di tante persone comuni. Viene evidenziato come i medici “sanno parlare ma non sanno ascoltare”.

La teoria del “pedinamento”

Il riferimento in questa parte della storia non può che essere a Cesare Zavattini e alla sua teoria del “pedinamento”. Questa teoria si basa sul seguire un personaggio passo dopo passo nella sua quotidianità, per comprenderne pienamente le ragioni intrinseche. Una teoria legata nel Neorealismo alle classi più povere, che avrebbe condotto queste ultime verso una condizione migliore; la ricerca di un legame forte tra cinema e società.

L’essenza dell’autorialità

La chiusura dell’episodio è caratterizzata dalla sublimazione dell’autorialità di Moretti. Seduto in un bar, accerchiato da montagne di medicine e prescrizioni, il regista scrive le ultime pagine del diario e rivela cosa ha capito da questa esperienza. Di prima mattina, fa molto bene bere un bicchiere d’acqua. Il film finisce proprio così, il regista  beve il suo bicchiere d’acqua, in sottofondo Inevitabilmente di Fiorella Mannoia, uno sguardo in macchina. Titoli di coda.

La bellezza di Caro Diario è racchiusa, come affermato dallo stesso regista, nel tono scelto per il film. La leggerezza e l’autorialità sono la chiave di un’opera che è divenuta, per ovvie ragioni, culto. Il cinema italiano deve tanto a Nanni Moretti e deve tanto a Caro Diario, un manifesto moderno di cosa vuol dire fare un film d’autore.

Fonti
Ciclo Caro Nanni
Costa Antonio, Il Cinema Italiano, Il Mulino, 2013

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