McLean, Virginia, December 1978

Dentro gli scricchiolii si fanno più intensi e concentrici. Bob è appena saltato attraverso la finestra e ha raggiunto la stanza al secondo piano. È uno studio, manca il letto. Dietro di lui Ian atterra rumorosamente sugli scarponi. Bob si gira verso il compagno e indica la porta che dà sul resto della villa.

La temperatura è una cosa che un pompiere sente soprattutto sugli occhi. Nell’anticamera il fumo è caldo e denso, ma non come potrebbe esserlo se arrivasse dal piano di sotto. L’incendio è partito dal piano superiore, casistica 7b. Il respiro profondo e distaccato dentro la maschera antigas aiuta Bob a restare lucido e operativo. Gli basta uno sguardo per concludere che quella aperta dev’essere la porta del bagno, quella chiusa l’obiettivo. Ma è un ragionamento che regge fino a un certo punto, e Bob indica a Ian di controllare la porta aperta mentre lui si muove nell’altra direzione.

Più avanza e più i rumori minacciano cedimenti dall’alto. La porta è chiusa dall’interno. Bingo. Bob fa segno a Ian da lontano. Uno. Due. Il terzo colpo d’ascia è quello buono, sono dentro la cameretta. La visibilità è migliore, ma comunque scarsa. Sul letto di fianco alla finestra ci sono due sagome scure rannicchiate nel fumo. Bob si avvicina al primo soggetto, lo afferra e lo passa a Ian. Prende il secondo e si avvicina alla finestra. Niente da fare. Fa segno di tornare indietro, quando qualcosa al piano di sopra crolla.

Di nuovo nell’anticamera. L’incendio è sceso di un piano, la strada verso lo studio è sbarrata dalle fiamme. Ian guarda Bob, che con un colpo di schiena fa passare il soggetto dal fianco destro a quello sinistro e con la mano libera indica la scala che porta di sotto. Ian fa la stessa cosa e gli va dietro.

In fondo alla scala i muscoli intorno agli occhi si rilassano appena. Attraversano il salone d’ingresso, Bob davanti e Ian dietro. La mano di Bob abbassa la maniglia, il colpo a vuoto indica che la serratura non è scattata. Le chiavi. Le dannate chiavi. Intorno agli stipiti della porta: niente. Sul mobile sotto alla cappelliera: neppure. Sopra le loro teste qualcos’altro cede e fa tremare la casa. Dalle scale sbuffa una nuvola di lapilli. I soggetti vengono sistemati per terra, la schiena contro la parete nord e le mani sulla testa. Ian prende il piede di porco e lo infila vicino alla maniglia. Colpi, scatti, strattoni. Il legno si sbriciola ma la punta di metallo fatica a trovare lo spazio tra lo stipite e la porta. Ian dà un’ultima spinta decisa, poi guarda Bob e serra entrambe le mani intorno al metallo, preparandosi al colpo nella manovra congiunta. Bob ha assunto una posizione da battitore, gli occhi piantati sul piede di porco conficcato nella fessura e il busto che ha quasi completato la torsione. La testa del martello da fabbro gli scompare dietro la nuca per ricomparire vicino all’orecchio sinistro.

FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

“Cazzo”, dice Ian. 

Il fischio è stato ovattato ma riconoscibile. Il martello si abbassa e sbatte mollemente sul fianco dello scarpone di Bob.

“Tempo scaduto ragazzi!”, urla una voce da fuori. “A che punto eravate?”

“Stavamo per forzare la porta d’ingresso”, risponde Bob.

Ian stacca le mani dall’ascia, si toglie la maschera e si asciuga la fronte.  “Cazzo”, ripete, lo sguardo rivolto ai soggetti rannicchiati a terra.

Poi il rumore delle chiavi nella toppa esterna, il piede di porco che cade con un rimbalzo metallico. Una ventata d’aria fredda ed etilica s’infila nell’ingresso.

“C’eravate quasi”, dice il capo istruttore. “Le chiavi erano nella toppa, quella in alto”.

Bob alza la testa per guardare la porta, un mazzetto di chiavi riflette il pallido sole di dicembre.

“Ian, cambia la testa ai manichini. Quelle zucche sono andate”, dice Bob mentre riabbassa la testa. Ian si sta già caricando i soggetti in spalla.

“Ok, si preparano Dave e Chris”, urla il capo istruttore in direzione dell’automezzo. “Partenza dalla veranda sul retro in 60 secondi!”

 

 

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