Un’operetta morale al mese: gennaio è “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere”

Gennaio: il momento della “rinascita” per eccellenza. Il mese delle grandi aspettative, nel quale ci si butta il passato alle spalle e si respira un’aria ricolma di speranza per il nuovo anno. Il 2021, in particolare, deve soffrire di una certa ansia da prestazione, considerando il notevole peso delle speranze che questa volta grava sulle sue spalle. E quale mese più azzeccato, allora, per ripercorrere le aspettative che due popolani serbavano per il futuro alla vigilia del 1832? L’operetta che ci accompagnerà in questo particolarissimo gennaio è proprio Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

Che cos’è un’operetta morale?

Le Operette morali sono ventiquattro brevi dialoghi e novelle moraleggianti che ospitano creature immaginarie come gnomi e folletti, personaggi illustri come Tasso o Copernico, oppure allegorie naturali come la Morte, la Luna e il Sole. La sorprendente modernità di questo capolavoro firmato Giacomo Leopardi risiede nella scelta dei temi e nel tono satirico con i quali sono trattati: il rapporto dell’uomo con il mondo, le sue relazioni con gli altri individui, la degradazione dell’epoca moderna e l’infelicità.

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere è la ventitreesima operetta della raccolta, il cui contenuto sembra un po’ beffarsi di noi, uomini contemporanei che oggi serbiamo così tanta speranza nel nuovo anno. E come biasimarci, dopo tutta la sofferenza accumulata durante il 2020.

Un passante, alla vigilia dell’anno 1832, incrocia per caso un venditore di almanacchi (i moderni calendari) a un angolo di strada di quella che potrebbe essere la Firenze (o la Roma) di Leopardi. I due, inaspettatamente, cominciano a conversare di vita e di futuro. Il passante – un moderno disilluso che si diverte a demolire l’ingenuità di un vero illuso come il venditore – domanda al suo nuovo interlocutore quali siano le sue aspettative per l’anno venturo, se sarà esso felice oppure funesto. Il venditore è naturalmente ottimista: si attende giornate ricolme di positività, persino migliori di quelle precedenti.

Il passante, acquisita una certa confidenza, chiede al venditore se sarebbe disposto a rivivere da capo la vita, ricominciando dalla nascita. L’uomo annuisce senza titubanza alcuna, per la nostalgia di un’epoca d’oro – l’infanzia – ormai tramontata. Tuttavia, alla domanda di rifare, letteralmente, la stessa vita che ha vissuto, con tutti i piaceri e i dolori provati nel corso degli anni, la risposta volge al negativo. Il venditore, se potesse rinascere, vorrebbe vivere una vita il cui futuro è ignoto, senza sapere anticipatamente che cosa gli accadrà. Infatti, soltanto quando ci si pone con speranza nei confronti di un futuro che non si conosce, è possibile tollerare la vita.

Le risposte fornite dal venditore confermano la teoria di Leopardi secondo cui qualsiasi esistenza umana conta un numero di momenti dolorosi nettamente superiore a quelli piacevoli: se la vita di ciascun individuo fosse davvero felice, chiunque sceglierebbe di riviverla senza pensarci due volte. E invece chi di noi, se potesse, ripercorrerebbe la propria, tale e quale? La vita dell’uomo, dunque, tende all’infelicità. Tuttavia, il dialogo in questione si conclude con un barlume di speranza.

Passante: “Coll’anno nuovo, il caso comincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”

Venditore: “Speriamo”

Non è dato sapere se questo “speriamo” sia effettivamente una forma di pietà estrema nei confronti dell’essere umano, oppure l’ennesima dimostrazione della distanza che separa Leopardi dai propri contemporanei, incapaci di comprendere la verità e inclini alla sciocca illusione. Ciò che è certo, però, è la tendenza dell’uomo a sperare (e talvolta credere con fermezza) che il futuro sia più lieto del tempo passato e di quello presente. D’altronde, non è esattamente ciò che facciamo ad ogni countdown di fine anno? Alla mezzanotte del nuovo anno stappiamo, entusiasti, la bottiglia di spumante, illusi che basti un semplice brindisi per cancellare ciò che è stato appena un attimo prima. Come se la mattina seguente potessimo svegliarci e all’improvviso vestire i panni di una persona completamente nuova. Ma non è mai così.

La speranza per un 2021 migliore

Leopardi aveva capito che l’uomo è buono soltanto ad illudersi, specialmente quando si tratta di futuro. Ed è curioso quanto questo sia effettivamente attuale, se applicato in particolare alla fine del 2020. Noi, uomini non ancora reduci dalla peggiore crisi mondiale dal secondo dopoguerra, speriamo costantemente nel futuro. Speriamo di incontrare per caso un conoscente al bar, e avere come unica preoccupazione quella di offrirgli un caffè, senza chiederci se sia infetto o se recentemente abbia fatto un tampone. Speriamo di poter vedere un film al cinema, condividendo i popcorn con il nostro accompagnatore (mangiare dallo stesso sacchetto, che imprudenza!). Speriamo di pranzare dalla nonna la domenica nonostante non abiti nel nostro stesso comune, di innamorarci della ragazza incontrata per caso al parco, di chiacchierare con gli amici davanti ad un calice di vino (anche dopo le 18:00). Speriamo nel ritorno del contatto umano. Delle strette di mano, delle carezze, dei baci.

Insomma, confidare nel vaccino anti Covid-19 per debellare questo virus una volta per tutte, è l’unico pensiero a cui potersi aggrappare per sopportare l’attuale stato delle cose. La speranza è la linfa vitale dell’uomo, lo diceva anche Leopardi. Speriamo, però, che non si tratti soltanto di mera speranza.

FONTI

Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Laura Melosi, Bur, 2008.

CREDIT

Copertina

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