Eco-ansia: la paura (reale) della generazione Z

Forse, sentendo la parola “eco-ansia”, qualcuno avrà storto il naso, pensando che le nuove generazioni non riescono a fare altro che inventarsi nuove patologie, definite con termini curiosi. In questa affermazione c’è qualcosa di vero: l’eco-ansia è un fenomeno piuttosto recente, che colpisce in particolar modo i giovani (la generazione Z, in primis: i più piccoli insomma).

Tuttavia, c’è anche una falsità: l’eco-ansia, infatti, non è attualmente riconosciuta come una patologia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Peraltro, scovare dei terapeuti specialisti di questo disturbo è ancora una rarità, perché molti psicologi e psichiatri tendono a minimizzare il problema o a ricondurlo ad altri problemi personali.

Un’ansia…ben motivata

L’eco-ansia, spesso denominata anche depressione da crisi climatica, è “una paura cronica della rovina ambientale”, secondo la definizione data nel 2017 dall’American Psychological Association (APA). I soggetti che ne soffrono, i cosiddetti eco-ansiosi (o depressi climatici) sono persone sensibili alle questioni ambientali, che sono spaventate di fronte all’irrimediabilità dei danni che stiamo causando al nostro pianeta giorno dopo giorno.

Questo tipo di ansia genera, come le altre, preoccupazione costante, stress, angoscia, fino ad arrivare a dei veri e propri attacchi di panico. Vi è però una sostanziale differenza rispetto ad altri disturbi di questo tipo: l’eco-ansia è basata su una paura reale. Le persone che ne soffrono non ingigantiscono i problemi, bensì li vedono con chiarezza. A differenza di molte persone, che ancora li negano.

Il dottor Paolo Girardi, il quale ha ricoperto il ruolo di ordinario di psichiatria all’Università La Sapienza di Roma, ed è inoltre direttore di psichiatria presso l’azienda ospedaliera Sant’Andrea, spiega che l’ansia è normalmente una paura senza oggetto. Lo stato di costante tensione generato dall’eco-ansia, invece, ha un oggetto ben preciso, una minaccia reale e imminente: quella della catastrofe climatica causata dalle azioni antropiche.

La paura dei più giovani: avremo un futuro?

Come si è già accennato, l’eco-ansia affligge soprattutto gli esponenti della generazione Z, ovvero coloro che sono nati tra la fine del secolo scorso e il 2010. Il motivo è molto semplice: sono queste le persone che vedono il proprio futuro messo a rischio dai cambiamenti climatici. È lo stesso prof. Girardi a confermare che le persone che rischiano maggiormente di soffrire di questo disturbo hanno tra i dieci e i trent’anni. Afferma inoltre che, per i giovani, parlare di un futuro ormai alterato dal mutamento climatico è come parlare di possibilità lavorative sfumate.

Quando ero giovane, ero sicuro che avrei trovato un lavoro, adesso invece non c’è questa sicurezza, e questo cosa comporta? Ovviamente un aumento di preoccupazione, ovvero di ansia.

Esagerati o realisti?

L’ansia aumenta perché ci si sente impotenti. Vivendo in una società basata sul consumo smodato e irrefrenabile, sull’acquisto compulsivo e sullo spreco di risorse, è normale sentirsi colpevoli, perché per lungo tempo si è stati complici di questo sistema, ma anche frustrati, perché non si riesce a fare abbastanza. Non sembra possibile cambiare, da soli, la società intera.

Inoltre, mutare le proprie abitudini è già difficile in partenza, figuriamoci quando si è incompresi. Perché i giovani che soffrono di eco-ansia sono tacciati di esagerazione in ogni momento. Ribadiamo che il cambiamento climatico, però, ha conseguenze reali: distruzione di habitat, specie che si estinguono, fenomeni atmosferici più intensi del normale, scioglimento dei ghiacciai perenni, desertificazione…

Per non parlare degli impatti ancora più diretti sull’uomo, come le malattie legate all’inquinamento, le microplastiche contenute nei cibi di cui ci nutriamo, e così via. La consapevolezza che tutto ciò sta avvenendo in tempi rapidissimi e con conseguenze spesso irreversibili colpisce la salute mentale dei giovani, specialmente dei più istruiti.

Le classi sociali più elevate, che sono anche quelle con un maggior livello di istruzione, sono coloro che soffrono maggiormente di depressione da crisi climatica, proprio perché, avendo studiato di più, hanno una consapevolezza più consolidata dei cambiamenti in atto.

Greta Thunberg

Pur senza avere la presunzione di effettuare delle diagnosi, è chiaro che Greta Thunberg ha sempre espresso con chiarezza la propria paura per l’impatto del cambiamento climatico. L’oramai diciottenne svedese ha più volte manifestato la sensazione di terrore per la sua impotenza (e dire che ha fatto tanto!) di fronte a una Terra che brucia, mentre i suoi abitanti sembrano ignorare il problema.

Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote, e io sono tra i più fortunati. Le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica? Come osate?

Questo è un estratto del suo discorso svoltosi al Climate Action Summit del 2019, presso il Palazzo di Vetro di New York. Con le sue parole, Greta ha espresso tutto il proprio disprezzo nei confronti dei “potenti del mondo”, che si preoccupano dei propri fini e non del futuro della Terra e dei suoi abitanti. Possiamo forse darle torto?

Greta non è la prima!

Severn Cullis-Suzuki nel 2006

Un’altra attivista, certo meno nota, è Severn Cullis-Suzuki, ambientalista candese. Oggi ha quarantun anni, ma divenne famosa per un discorso che tenne quando ne aveva soltanto dodici, al Vertice della Terra dell’ONU, motivo per cui è conosciuta come “la bambina che zittì il mondo per sei minuti”. Non a caso, per molti è stata una sorta di anticipatrice di Greta Thunberg. Quello che dovrebbe farci preoccupare, forse, è che non è stata ascoltata, altrimenti non ci sarebbe stato nemmeno bisogno del movimento Fridays For Future.

Lei e alcuni amici avevano fondato l’ECO (Environmental Children’s Organization), organizzazione dedita alla sensibilizzazione tra i giovanissimi rispetto ai temi ambientali. Grazie a una raccolta fondi, riuscirono in seguito a presentarsi al Summit della Terra, che nel 1992 si teneva a Rio de Janeiro. Qui riportiamo solo una parte del suo commovente discorso, nel quale Severn dimostrò una grande sensibilità (ambientale e non solo), per certi versi ante litteram.

Perdere il futuro non è come perdere un’elezione, o qualche punto sul mercato azionario. Sono qui per parlare in nome di tutte le generazioni future. Sono qui per parlare in nome dei bambini affamati i cui pianti rimangono inascoltati. Sono qui per parlare in nome degli innumerevoli animali che muoiono in tutto il pianeta perché non sanno più dove andare. […] I genitori dovrebbero poter confortare i propri figli dicendo loro: “Andrà tutto bene, non è la fine del mondo e stiamo facendo tutto il possibile”. Ma non credo che possiate più dirci questo. Ci siamo, sulla vostra lista di priorità?

Non così diverso rispetto alle parole usate da Greta, vero? Forse la principale differenza è il tono più aspro e duro della giovane svedese – una rabbia legittima, dato che dopo quasi trent’anni la situazione è sostanzialmente immutata. Troviamo diversi elementi comuni: il futuro incerto, l’indifferenza dei potenti, la giovane età di colei che parla, l’elevato livello di istruzione, pure il fatto di appartenere entrambe al sesso femminile. Purtroppo, questa sembra essere anche la ricetta dell’eco-ansia. Secondo alcuni studi, questo disturbo sembra infatti affliggere maggiormente le donne, tendenzialmente più preoccupate per la crisi climatica.

Esiste una soluzione?

Se, leggendo, vi siete rivisti nella descrizione dell’eco-ansioso, non disperate. L’ansia è una reazione naturale di fronte a un pericolo. Quindi, per prima cosa, sappiate che siete normali. Paragonando i depressi climatici a delle sentinelle di allarme, la psicoterapeuta Charline Schmerber, esperta di eco-ansia, afferma: “Costoro sono capaci di vedere che il mondo non gira bene. Sono persone sane in un mondo che ignora di essere folle”.

Come combattere, dunque, quest’ansia? In primis agendo. Incanalare l’energia data da uno stato di costante trepidazione e utilizzarla per scopi benefici sembra la soluzione migliore. Charline Schmerber suggerisce ai propri pazienti di concentrarsi sul presente e sul medio termine, per ritrovare il controllo della propria vita e del proprio destino.

Molti invitano gli eco-ansiosi a unirsi a una ONG, fare un lavoro di sensibilizzazione, lavorare per costruire delle alternative concrete. Queste ultime sono il vero rimedio contro la paura. Diversi giovani che soffrono di questo disturbo hanno dichiarato che partecipare a delle manifestazioni di protesta in favore dell’ambiente ha contribuito ad alleviare la loro angoscia.

Questo sia perché in tal modo ci si sente finalmente utili, sia perché ci si può confrontare con persone che comprendono pienamente le ragioni dell’eco-ansia. Un altro suggerimento è quello di parlarne con i propri cari; le relazioni interpersonali sono infatti fondamentali per alleviare lo stress. Inoltre, verbalizzare le proprie emozioni aiuta ad affrontare il problema con maggiore lucidità.

L’influencer Alice Pomiato, che sul suo profilo Instagram @aliceful racconta di stili di vita sostenibili, parlando di questo disturbo, consiglia anche di passare tanto tempo nella natura, per ricordarci quanto siamo connessi ad essa; e di essere grati, perché chi può parlare di questo problema non è direttamente coinvolto nelle catastrofi naturali. Questi gruppi umani, spesso, sono troppo impegnati a combattere ogni giorno per la sopravvivenza della propria civiltà per poter condurre queste battaglie. Combattiamo noi per loro – e per il nostro futuro.

 

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