I dilemmi dell’ambientalismo in Groenlandia

Il 6 aprile 2021 si sono tenute le elezioni parlamentari in Groenlandia, vinte con il 37% dei voti dal partito indipendentista di sinistra, Comunità del Popolo, in lingua locale Inuit Ataqatigiit. Viene da chiedersi come sia possibile che la politica di una piccola nazione semi-indipendente, che conta circa 55.000 abitanti, possa essere raccontata dai media di tutto il mondo. Lungi dall’essere davanti all’ennesimo scontro politico cui siamo abituati, infatti, i cittadini dell’isola più grande del mondo hanno dovuto scegliere il loro modello di sviluppo, abbracciando, almeno a un primo sguardo, la scelta più ambientalista.

Elezioni 2021: un voto storico per il futuro dell’ambientalismo in Groenlandia

Il leader di Comunità del Popolo, Muté Egede, è di etnia inuit e a soli trentaquattro anni si appresta a diventare primo ministro, sostituendo il precedente governo guidato dal partito socialdemocratico Siumut.

La spaccatura principale tra le due forze politiche su cui sono state giocate le elezioni riguarda l’estrazione di uranio e terre rare nel Sud della Groenlandia, principalmente nel sito di Kuannersuit. Qui, già dal 2007, la compagnia australiana Greenland Minerals, posseduta per l’11% da Shenghe Resources, azienda di stato cinese attiva nel settore energetico, ha portato avanti studi ed estrazioni, per sfruttare quello che viene considerato uno dei più grandi giacimenti di uranio e minerali rari al mondo.

In un’area di circa 2 milioni di km2 verrebbero estratti minerali indispensabili alle tecnologie moderne, materiali per cellulari, impianti eolici e, naturalmente, per il nucleare. Lo sfruttamento di questi preziosi e rari siti minerari, però, comporta anche gravissimi rischi ambientali, essendo molti di questi elementi radioattivi e altamente inquinanti, tanto che molti Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, hanno deciso di rinunciare a tali giacimenti preferendo scavi meno pericolosi, al contrario di Pechino che cerca di impossessarsi di tali risorse in tutto al globo, come avvenuto con le miniere della Corea del Nord.

L’alleanza dei due schieramenti contrari all’estrazione di questi minerali, cioè di Comunità del Popolo e del terzo partito per voti Naleraq, ha rappresentato una rottura generazionale rispetto alle precedenti politiche groenlandesi, sposate nel voto del 2021 da Siumut, manifestando un netto rifiuto del modello economico estrattivo.

Il progetto presentato da Greenland Minerals, infatti, garantiva, a fronte dello sfruttamento dell’area per circa quarant’anni, un ricavo annuo per le casse della Groenlandia di circa 130 milioni di dollari annui tra tasse e diritti di concessione. I principali acquirenti sarebbero ancora una volta soggetti cinesi, in particolare la stessa Shenghe Minerals e la CNCC, azienda a partecipazione statale cinese per il settore nucleare. Seguendo questo sistema aveva convinto i principali partiti groenlandesi, tra cui anche Comunità del Popolo, a rilasciare concessioni estrattive ad altre società straniere, come l’australiana Tanbreez, per uno sfruttamento sistematico del ricco suolo della Terra dei Ghiacci.

Gli accordi sullo sfruttamento minerario

Il cambio di mentalità è visibile a partire dal 2015 quando, influenzati dallo sviluppo a livello globale delle tematiche ambientaliste, gli elettori dai diciotto ai trentacinque anni hanno iniziato a sposare le tesi green. Tra essi anche il neo leader di Comunità del Popolo, Muté Egede, che decise di schierare la propria formazione politica contro lo sfruttamento incontrollato, cercando, quindi, mezzi alternativi per garantire lo sviluppo economico della Groenlandia.

Nuuk, infatti, pur godendo di ampia autonomia, tranne che in materia di politica estera, moneta e difesa, dalla Danimarca, ne è ancora oggi strettamente dipendente economicamente, dato che annualmente riceve poco meno di 600 milioni di dollari da Copenaghen, cioè circa il 40% del proprio PIL. La forte subordinazione economica e i gravi problemi sociali da affrontare, come l’alto tasso di alcolismo o suicidi, dovuto sia alla depressione economica che alla carenza di posti di lavoro, ha sempre spinto i governi groenlandesi a vedere nel settore estrattivo di risorse rare una possibile via per risolvere le difficoltà economiche e rendere sempre più concreta la completa indipendenza.

Questi accordi sullo sfruttamento minerario, però, comportano un alto prezzo da pagare da parte della nazione dei ghiacci. Oltre agli enormi problemi ambientali come la radioattività e il difficile smaltimento di quanto estratto, o la distruzione di habitat incontaminati, infatti, i cittadini groenlandesi rischiano di perdere la sovranità sul proprio Paese, venduta lotto per lotto a multinazionali straniere poco interessate alla cultura e alla salubrità del territorio ma molto attente a ottenere il massimo introito possibile. La valutazione di impatto che la Greenland Minerals presentò al governo, ad esempio, fece scandalo perché, oltre a non essere scritta in lingua groenlandese, non presentava adeguati dati circa tanto i rischi ambientali che gli impegni fiscali della società.

Gli obiettivi di Comunità del Popolo

Oggi Comunità del Popolo vorrebbe bloccare le miniere più inquinanti e pericolose, mentre resterebbero in attività quelle che producono minerali più comuni, come zinco e rame, che, pure meno redditizie, risultano meno nocive di quelle di uranio e terre rare. Ulteriori progetti per incrementare l’economia sono più a lungo termine e non privi di impatto ambientale, anche se decisamente ridotto: dagli investimenti nel turismo sostenibile, all’acquacoltura e l’installazione di centri dati, vista l’abbondanza di energia a basso costo, ampi spazi e le basse temperature. Si tratta di soluzioni che, però, necessitano di tempo per avere impatto nella vita quotidiana del Paese che, intanto, deve affrontare crisi sociali come l’emigrazione e i cambiamenti climatici – di cui abbiamo parlato qui – che stanno modificando profondamente la società groenlandese.

Quale futuro per l’ambientalismo in Groenlandia?

Risulta difficile, ad oggi, stimare quale sarà il futuro economico e ambientale di una terra aspra e dura come quella dell’enorme Paese artico. Un enorme spazio coperto da ghiacci in via di, forse irrecuperabile, scioglimento, con una esigua popolazione a cavallo tra la difesa delle tradizioni più antiche e la scoperta delle modernità. Certo è che da luoghi come la Groenlandia, a lungo considerati poco interessanti o centrali nelle politiche mondiali, passerà in anticipo, invece, la rotta della storia.

Nel 2018, tra lo scherzo e il serioso, Donald Trump, allora Presidente degli Stati Uniti, proponeva di acquistare dalla Danimarca proprio la Groenlandia in ragione delle enormi risorse energetiche estraibili, consigliato casualmente dal presidente della società mineraria Tanbreez operante nella regione. Sono molti gli individui che dal deserto di Atacama ai ghiacci groenlandesi vorrebbero assicurarsi risorse energetiche per il futuro, mentre in ognuna di queste terre i popoli che vi abitano si chiedono quale sia il limite da non superare per sfruttare la ricchezza della propria terra senza, per questo, causare danni irreparabili. Un dilemma oggi più che mai aperto che porta a chiederci cosa sceglieremmo in quella situazione, perché, ormai, tocca già a noi.

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