L’Irlanda del Nord alla presa coi fantasmi del suo passato violento

Dall’inizio dell’anno in Irlanda del Nord ci sono stati diversi incidenti violenti, soprattutto a Belfast, che hanno causato ottantotto poliziotti feriti e più di diciotto arresti, in quello che sembra un lento ritorno del passato sanguinoso che, forse, non tutti vogliono davvero abbandonare. Negli anni le divisioni tra unionisti e repubblicani non sono mai scomparse, pure andando a diminuire sensibilmente, ma le conseguenze della Brexit rischiano di riaccendere gli scontri, dopo più di vent’anni di pace e riavvicinamenti.

Londra volta le spalle

Le violenze a colpi di mattoni e bombe molotov che stanno allarmando Belfast hanno cause profonde e diversificate, alcune più contingenti di altre. Se da una parte è innegabile, infatti, che dietro la mobilitazione di giovanissimi vandali e neo-combattenti – alcuni arrestati hanno tredici anni – troviamo leader paramilitari locali ormai per nulla dissimili a gangster comuni, dall’altra il dissenso, soprattutto nella frangia unionista, è in crescita costante.

Questo perché, dopo la firma del Northern Ireland protocol, cioè la parte del trattato tra Unione Europea e Regno Unito per regolare la situazione Irlandese post Brexit, gli unionisti nordirlandesi si sentono abbandonati da Londra, poiché il nuovo confine marittimo nel mare d’Irlanda, che comporta controlli doganali sui prodotti e sul transito delle persone tra le due maggiori isole britanniche, è considerato un affronto al senso d’identità protestante e leale al Regno Unito degli unionisti, che va a sommarsi all’aumento dei costi e delle problematiche commerciali. Con questo nuovo confine l’Irlanda del Nord è de facto in Unione Europea, mentre il resto della nazione no.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è stata la decisione di non perseguire alcuni esponenti, come la vice-primo ministro nordirlandese Michelle O’Neill, del Sinn Féin, il partito storicamente repubblicano e cattolico, che, violando le norme anti-Covid, nel giugno 2020 hanno partecipato ai funerali di Bobby Storey, un ex-leader del partito. Tutti condannano le violenze ma il Partito unionista democratico, o DUP, ha dichiarato di ritenere legittimi i motivi dello scontento, una posizione che molti giudicano inopportuna vista la possibile escalation degli scontri.

L’origine degli scontri

La pace in Irlanda del Nord, pur con alcuni episodi di violenza nel corso degli anni, dura dalla firma dell’Accordo di pace del Venerdì Santo nel 1998. Qulla firma pose fine a più di trent’anni di guerriglia, i cosiddetti troubles, che causarono più di 3.600 morti, di cui 2.000 civili, e innumerevoli feriti nella sola Irlanda del Nord.

Il conflitto, risalente sino agli anni della guerra d’indipendenza Irlandese, terminata con il Trattato Anglo-Irlandese del 1921 e che creò la Repubblica d’Irlanda, indipendente, e l’Irlanda del Nord, facente parte del Regno Unito, riprese forza negli anni Sessanta e vide contrapporsi gli unionisti, favorevoli alla permanenza nel Regno Unito e perlopiù protestanti, che rappresentavano la maggioranza della popolazione nordirlandese, e i repubblicani, generalmente cattolici e favorevoli all’unificazione dell’isola sotto la bandiera della Repubblica d’Irlanda.

Entrambi gli schieramenti avevano diversi gruppi paramilitari operanti in stretto contatto con i principali partiti ufficiali delle fazioni, rispettivamente l’Ulster Defence Association legata all’Ulster Unionist Party e l’Irish Republican Army, o IRA, legata allo Sinn Féin. Con il trattato di pace, alla fine degli anni Novanta l’isola cercava di chiudere una sanguinosa fase della propria storia, in quanto, da entrambi gli schieramenti, i cittadini volevano superare la violenza e abbattere le frontiere “dure” che dividevano l’isola.

Gli accordi, confermati anche da due referendum nazionali in Eire e in Irlanda del Nord, funzionarono perché, oltre a stabilire la cessazione delle rivendicazioni territoriali tanto del Regno Unito che dell’Irlanda, stabilivano l’obbligo di collaborazione dei principali partiti rivali nella formazione del governo, abolivano le frontiere e stabilivano la possibilità per i cattolici del nord di richiedere la cittadinanza della Repubblica d’Irlanda.

Uno sguardo all’attualità

Oggi la situazione sta lentamente cambiando. Se, infatti, molti giovani non si riconoscono nelle divisioni dei genitori, pur subendone ancora le conseguenze sulla propria pelle, gli accordi post Brexit e l’alto tasso di natalità cattolico, di molto maggiore rispetto a quello protestante, potrebbero cambiare le cose.

A Belfast, anche dopo la pace, sono rimasti in piedi i “muri della pace”, che dividendo i quartieri protestanti da quelli cattolici della città garantiscono in modo brutale che non scoppino scontri. La divisione in Irlanda del Nord, purtroppo, persiste, tanto da creare una società affetta da una particolare forma di segregazione.

Più del 90% degli studenti nordirlandesi frequenta scuole della propria comunità, quindi senza che ci siano scambi e contatti con l’altra “fazione”, e diversi sono i quartieri segregati, abitati quasi solamente dalla classe operaia. Particolare attenzione merita il fatto che, in questa situazione molto polarizzata, le poche scuole a composizione “mista” e pluralista ricevono ogni anno più richieste di quelle che possono soddisfare, indice del fatto che la volontà di una larga parte delle nuove generazioni è di superare definitivamente le incomprensioni reciproche.

Una transizione pacifica ancora lunga

Anche lo Sinn Féin, in passato fortemente legato ai terroristi dell’IRA, oggi cerca di smarcarsi dalla figura di braccio politico di un gruppo armato. Il partito attivo in Irlanda e in Irlanda del Nord, grazie alla leadership di Mary Lou McDonald, a capo della forza politica dal 2018, ha raggiunto uno storico risultato alla ultime elezioni irlandesi, con ben il 24% delle preferenze, proprio grazie al suo cambio di prospettiva e all’allontanamento dal passato violento, che ne ha sempre limitato l’importanza politica in Eire.

Gerry Adam, alla guida del partito dal 1983 al 2018, infatti, è sempre stato una figura molto controversa e non adatta a traghettare il partito verso posizioni più concilianti: pur avendo favorito gli accordi di pace del 1998, infatti, Adams è stato accusato di aver fatto parte dell’IRA e di aver partecipato a diverse azioni violente. Al contrario la McDonald è entrata nella forza politica solo dopo la fine della guerriglia ed è profondamente convita della condanna della violenza. Il 18 aprile 2021, infatti, commentando il funerale del Principe Filippo di Edimburgo, la leader dello Sinn Féin si è scusata per l’assassinio di Lord Louis Mounbatten, avvenuto nel 1979 a Sligo per mano dell’IRA. Il nobile inglese, figura importante della politica inglese in quei decenni, era lo zio del consorte della regina Elisabetta, e il suo omicidio destò aspri scontri e peggiorò i rapporti anglo-irlandesi.

Nel 2021 pensare di rivedere le strade di Belfast insanguinate da scontri e attentati sembra qualcosa di tanto ingiusto quanto anacronistico, così come lo scoppio di bombe nei pub inglesi o irlandesi. La violenza dei troubles deve essere sepolta nei libri di storia ma questi ultimi scontri e l’aumento delle tensioni devono far capire che per quanto sia difficile ricomporre delle frazioni storiche, ci vuole poco per riaccendere la fiamma dell’incomprensione e del conflitto.

Politiche poco attente e sconsiderate rischiano di riaccendere bombe e scontri, tracciando solchi poi difficilmente superabili. In Irlanda del Nord, come pure in Scozia, la Brexit ha perso chiaramente, ma se nella terra di William Wallace questo non ha comportato divisioni intestine che ricordano dolorose lotte civili, la situazione a Belfast è molto precaria e pericolosa. La pace, infatti, non è mai qualcosa di scontato su cui si può cinicamente scommettere per il proprio tornaconto politico, ma una promessa che deve essere ribadita ogni giorno della quotidianità di Derry, Dublino o Belfast.

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