Le sfide dell’ambientalismo glocale

Nel 2021 il sentimento ambientalista è finalmente un fatto comune. Dopo le manifestazioni guidate dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, infatti, una nuova generazione ha raccolto, almeno apparentemente, il testimone nella lotta contro i cambiamenti ambientali, guidando quella che sembra essere una vera rivoluzione. Dopo decenni di studi, di allarmi inascoltati e di politiche miopi, oggi anche la classe dirigente, spronata ulteriormente dagli attivisti green, non può fare a meno di occuparsi della questione ambientale. Il passaggio dalle battaglie globali, come il riscaldamento terrestre o lo scioglimento dei ghiacciai, alle situazioni più meramente locali, però, spesso risulta difficoltoso e non sempre si riscontra nel piccolo lo stesso ardore che spinge le masse nelle piazze. Come molti altri aspetti della nostra società, infatti, anche l’ambientalismo del nuovo millennio sconta i pregi e i difetti portati dalla globalizzazione: è possibile sentirsi parte di un cambiamento che interessa ogni parte del mondo, ma ancora è difficoltoso sposare con convinzione le lotte più quotidiane nelle nostre vicinanze. Parliamo dunque di ambientalismo glocale.

Con il termine glocalismo, introdotto dagli studiosi Roland Robertson e Zygmunt Bauman, si indica la relazione reciproca tra fenomeni globali e locali, osservando quanto i primi impattino sui secondi e viceversa, in un rapporto di continuo scambio. La società odierna, dopo due decenni in cui la globalizzazione di merci e idee ha raggiunto quasi ogni angolo del pianeta, è profondamente interconnessa e le nuove generazioni sono facilmente accomunate tra loro, tanto che un adolescente italiano di oggi può sentirsi più simile a un suo coetaneo statunitense di quanto non sia mai successo in precedenza. L’immediatezza delle immagini e dei video condivisi sui social network ha permesso una trasmissione istantanea di gusti e idee, così che anche il movimento ambientalista ha coinvolto migliaia di manifestanti votati alla stessa missione, cioè fermare i cambiamenti climatici e lo sviluppo non sostenibile. Obiettivi certamente giusti e fondamentali che, interessando tutto il globo, necessitano di una mobilitazione e di un impegno planetari. I cambiamenti richiesti per una vita più ecosostenibile sono diversi, a partire dalla produzione di energia pulita, riduzione delle fonti fossili e investimenti statali più oculati che possano incentivare il settore del rinnovabile.

La sfida lanciata dalla Thunberg si prospetta epocale e totalizzante: una vera rivoluzione ambientale non può che essere tale. Spesso, però, risulta difficile concretizzare in situazioni e fatti quotidiani gli slogan ambientalisti dipinti su cartelli e magliette nelle manifestazioni. Se da una parte, infatti, è innegabile che anche le lotte locali e meno conosciute abbiano beneficiato dei riflettori della stampa post-thunberg, dall’altra non sempre lotte locali riescono a raccogliere consensi proporzionati. Manifestare in difesa di ideali generici e meno tangibili, seppure evidentemente sia corretto e auspicabile, è più facile che farlo per situazioni concrete. Se nessuno dotato di media intelligenza, infatti, può dichiararsi a favore del riscaldamento globale o del disboscamento totale, le resistenze nei casi quotidiani aumentano di molto e ragioni e torti dei contendenti non appaiono più così chiaramente. Un conto è difendere l’ambiente, inteso come totalità della natura che ci circonda, un altro è schierarsi contro l’abbattimento di un singolo bosco o di un lago ben preciso, magari sconosciuto ai più.

L’ambientalismo glocale può essere tanto una risorsa quanto un problema. Quando gli attivisti locali riescono a utilizzare un linguaggio comprensibile da tutti per raccontare anche la loro battaglia locale, inserendosi così all’interno di un mondo più grande del loro, potrebbero ricevere in cambio un appoggio enorme e una spinta, con donazioni, risonanza mediatica e volontari, che non potrebbero avere se rimanessero chiusi nella propria cerchia. D’altro canto, una riduzione poco accorta dei problemi contingenti di un territorio entro la più ampia sfera della lotta ai cambiamenti climatici e alla difesa dell’ambiente rischia di creare più difficoltà di quelle che intende risolvere, non tenendo in adeguata considerazione le particolarità locali che sono fondamentali per la comunità che vi risiede.

Un esempio recente di lotta ambientale locale, per il momento conclusasi con il successo degli attivisti alpini, riguarda la Val di Mello, un paradiso per gli amanti della montagna e del trekking incastonato nelle Alpi lombarde. La tensione era scoppiata dopo che l’Ersaf, l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste, aveva inviato sul luogo degli operai e una ruspa con il compito di realizzare un anello in cemento, nel progetto un sentiero accessibile dai disabili, nella riserva naturale. Subito il Cai e la Soscietà Escursionisti Milanesi si erano schierate al fianco di alpinisti e amanti della montagna insorti per difendere la valle. Il progetto, datato 2019, era già stato bocciato dalle guide alpine della Val di Mello e dagli enti interessati e, tramite la mediazione della Regione Lombardia, si era giunti all’accordo circa la realizzazione di un meno impattante sentiero percorribile dai disabili in joélette, come avviene generalmente nei percorsi alpini.

Dopo la pandemia, però, nella primavera 2021 i lavori per il vecchio progetto erano iniziati nell’incredulità di alpinisti e abitanti. In pochi giorni una nuova raccolta firme online, nel 2019 ne vennero raccolte più di 60.000, ha portato Ersaf a fare un passo indietro, rinunciando al progetto, riconoscendo la bellezza dei luoghi e lo sbaglio. Inoltre, davanti ai promotori della difesa della valle, il direttore di Ersaf si è impegnato a eliminare quegli interventi già effettuati che deturpano la vallata. Una vittoria per gli ambientalisti che sono riusciti a tutelare un piccolo paradiso per rocciatori e amanti della natura.

Quante di queste lotte esistono nel mondo? Dalla famosa Tav a situazioni più contingenti, l’Italia stessa conta moltissime situazioni in cui posizioni politiche e ideali si scontrano circa gli interventi sull’ambiente. Un approccio manicheo alle dispute ambientali non può essere la soluzione, perché ridurrebbe le diverse complessità locali, che meritano di essere di volta in volta esaminate, entro macroposizioni difficilmente riscontrabili nella realtà, che è infinitamente più complessa degli slogan. Eppure sentirsi parte di una generazione ambientalista, con i suoi striscioni, le sue piazze e le sue contraddizioni, gioca un ruolo fondamentale anche per la buona riuscita di iniziative locali, dando risalto alle ragioni degli attivisti e cambiando la percezione nell’opinione pubblica del tema ambiente.

É illogico e controproducente attribuire ai manifestanti dei Fridays for Future l’etichetta di intransigenti difensori dell’ambiente, per poterci così scandalizzare quando scopriamo che utilizzano anche loro delle auto a benzina, mangiano carne comprata in un supermercato o  detestano il campeggio all’aria aperta: il tentativo di farne dei santi ecologisti solo in attesa di un loro errore che possa giustificare le nostre mancanze. Al contrario, la forza delle piazze non sta nella coerenza di chi vi partecipa, come pure la storia insegna, bensì nella forza del messaggio, nella capacità di condensare in poche frasi anni e anni di lotte giuste. Quando osserviamo le manifestazioni internazionale che coinvolgono tutto il mondo e si adattano alle diverse situazioni nazionali, in vero spirito glocale, come quelle per l’ambiente o di Black Lives Matter, ciò che conta è la limpidezza del messaggio e dello slogan in grado di cambiare l’opinione pubblica.

In una traccia del 2016 la rock band italiana The Zen Circus cantava, con malinconia, “qui le piazze sono affollate ma innocue, ormai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuote” ma forse, nel corso di soli cinque anni la situazione è cambiata. L’ambientalismo glocale è una delle facce di questo nuovo cambiamento generazionale che, anche tramite le manifestazioni, ha la possibilità di modificare la società in cui viviamo.

La politica di multinazionali e soggetti internazionali come Netflix, McDonald’s o X-Factor è quella di proporre prodotti globali più facilmente apprezzabili tramite l’inserimento di alcuni aspetti tradizionali. Un format televisivo che funziona in tutto il mondo con le stesse regole riempito dalla musica nazionale, un panino di volta in volta fatto con la materia prima locale o una serie comica che ripropone lo stesso copione con attori diversi.

Nell’ambientalismo glocale si assiste alla traduzione in diversi contesti locali delle esigenze di cambiamento che muovono il movimento a livello globale, anche se se spesso il passaggio dall’idealismo al concreto non è immediato. Sentirsi ambientalista in un piccolo paese della provincia italiana è lo stesso dell’esserlo in una metropoli come New York? Eppure, con le dovute differenze, in entrambe le situazioni si appartiene a una generazione nuova, unita nel suo scopo più generale, la difesa dell’ambiente, pur con diverse declinazioni dello stesso concetto. La sfida del glocalismo è proprio quella di sintetizzare i pregi della globalizzazione e del mantenimento delle proprie origini e tradizioni. Fondamentale, a questo proposito, risulta la prevenzione dell’omologazione e la valorizzazione delle differenze di ogni territorio e comunità in un contesto comunque aperto al mondo esterno.

Occorre sentirsi parte tanto dell’ambientalismo globale della generazione Thunberg quanto delle lotte locali specifiche del proprio territorio, in un’ottica di ambientalismo glocale. Solo unendo la concretezza delle situazioni contingenti con l’ampiezza della visione globale del problema è possibile effettivamente cambiare la società e l’approccio alla natura circostante.

Ogni comunità nazionale, infatti, ha un proprio approccio storico e culturale all’ambiente, più umanista nella società occidentale o più totalizzante come nella cultura sudamericana. Proprio dalla commistione di posizioni diverse, entrate in contatto tra loro grazie alla globalizzazione, si può originare una nuova concezione dell’uomo e della natura.

Nel diritto ambientale di matrice europea la tutela dell’ecosistema nasce da una prospettiva che vede al centro la protezione dell’uomo e il suo diritto a vivere in un ambiente salubre: la ragione delle norme in questione, quindi, risiede nell’intento di protezione dell’uomo che vive nella natura. Nelle Costituzioni di Ecuador e Bolivia, invece, la difesa della natura, chiamata Pachamama, non rispecchia solamente la volontà di garantire un ambiente salubre, bensì vengono riconosciuti alla natura stessa dei diritti soggettivi, così che meriti tutela di per sé. Posizioni giuridiche e ideali diverse che evidenziano storie e culture differenti ma che possono, integrate in una concezione globale della protezione ambientale, aiutarsi vicendevolmente.

L’approccio di un glocale, inteso come valorizzazione delle tradizioni locali pur all’interno di un mondo globalizzato, è, quindi, indispensabile per un efficace ambientalismo glocale che sappia unire le comunità nazionali più diverse tra loro nella lotta ai cambiamenti climatici senza, però, dimenticare le sfide quotidiane e la preservazione del territorio. Thomas Mann nel suo capolavoro La Montagna Incantata scrive che “le opinioni non possono sopravvivere se uno non ha occasione di combattere per esse“. Allo stesso modo gli slogan e gli striscioni delle piazze ecologiste rischiano di avvizzire se non supportate da azioni sul proprio territorio in difesa di quegli ideali giusti dipinti su volti, magliette e cartelloni, in un’ottica di ambientalismo glocale.

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