Zucchero: un dolce veleno?

Alzi la mano chi non ama lo zucchero. Forse sarà difficile ammetterlo, ma tra voi lettori c’è sicuramente qualcuno che non riesce a privarsi di quelle due bustine nel cappuccino, o chi non può fare a meno di un dolcetto dopo pranzo. Lo zucchero può presentarsi in mille forme diverse: per questo è molto facile assumerne quantità maggiori rispetto a quelle che il nostro organismo richiede.

Generalmente, infatti, la dieta di un occidentale medio prevede un consumo di zuccheri raffinati decisamente elevato. Le conseguenze sul nostro organismo si fanno sentire: basti pensare al fatto che negli Stati Uniti e in buona parte dei Paesi europei, le malattie croniche legate all’alimentazione corrispondono alla maggiore causa di malattia e mortalità.

Non solo dolciumi: lo zucchero è ovunque!

Ormai è noto che le bevande zuccherate sono indirettamente responsabili di alti tassi di obesità tra i bambini. Questo perché, quando si bevono bibite dolci, si ingeriscono grandi quantità di zuccheri senza sentirsi adeguatamente sazi. Per contrastare le conseguenze del consumo smodato di zucchero, in diversi Paesi, tra cui l’Irlanda, è stata approvata una tassa sulle bibite zuccherate. Una proposta di questo tipo è stata avanzata anche in Italia nel 2018.

Preferite il salato? Non sarete felici di sapere che spesso anche gli alimenti salati contengono elevate concentrazioni di zucchero, soprattutto se si tratta di cibi pronti. Si può facilmente trovare lo zucchero in minestroni scatola, sughi pronti, hamburger vegetariani, pizze surgelate e salse di vario tipo. Per avere più consapevolezza quando si acquista, sarebbe meglio leggere attentamente l’etichetta.

Una squisita dipendenza

Non sono pochi gli studi che testimoniano l’impatto negativo di un eccesso di zuccheri raffinati sul nostro sistema immunitario. Allora perché continuiamo ad assumere queste sostanze? Semplicemente, perché creano una graduale (ma progressiva) dipendenza. Addirittura, stando a un articolo pubblicato dal British Journal of Sports Medicine, il consumo di zucchero raffinato indurrebbe effetti psicoattivi, paragonabili a quelli delle sostanze stupefacenti!

Secondo il ricercatore James DiNicolantonio, sostenitore di questa tesi, gli zuccheri raffinati generano negli individui le tipiche conseguenze che si verificano in caso di abuso di droghe. Tra queste vi è il “craving”, cioè il desiderio impulsivo e incontrollabile di qualcosa, che può essere una sostanza stupefacente (la cosiddetta “fame da droga”), un oggetto gratificante o, come nel nostro caso, un cibo.

Si discute ancora per quanto riguarda le differenti risposte dei singoli individui, molto variabili sulla base di fattori genetici. Per tale ragione, alcuni ritengono inadeguato il termine “dipendenza”. Ciononostante, è noto che tendenzialmente chi assume regolarmente dolci è portato a desiderarne ancora. Ciò si spiega con un “sistema di ricompensa” che si attiva nel nostro cervello dopo aver mangiato un cibo ad alto contenuti di zucchero. Il cervello, esposto a uno stimolo gratificante, risponde infatti rilasciando dopamina.

Per questo motivo, si parla sempre più spesso di “dipendenza emozionale” dagli zuccheri, che si verifica quando questo alimento viene assunto in seguito a precisi stati d’animo, come l’ansia o la tristezza, per alleviarli. Le industrie alimentari sono ben consapevoli di tale dipendenza: per questo sono presenti ingenti quantità di zucchero nei prodotti confezionati (come dicevamo prima, non solo dolci!). L’obiettivo è attirare il potenziale cliente e spingerlo a comprarne (e consumarne) sempre di più.

Ma lo zucchero fa bene al cervello…

…o forse è solo un falso mito. Lo stimolo di energia dato dall’assunzione del saccarosio è solo momentaneo. Spesso corrisponde a un picco di glicemia, che poi discende bruscamente, dopo che il pancreas (come risposta naturale) ha immesso insulina nel sangue. A questo punto, per far risalire nuovamente la glicemia, intervengono gli ormoni, tra i quali l’adrenalina, che suscita aggressività.

Non è un caso che negli Stati Uniti diversi studi abbiano dimostrato un legame tra il livello di irritabilità e violenza nei bambini e la loro dieta ricca di zuccheri raffinati. Inoltre, questi sbalzi glicemici impediscono al nostro corpo di mantenere un equilibrio e di conseguenza ci si sente più stanchi.

Altre conseguenze della cosiddetta dipendenza da zucchero sono le malattie cardiovascolari, la mancanza di sonno (soprattutto se si consumano alimenti dolci la sera), l’aumento di peso, la ben nota carie, un calo della libido (un eccessivo consumo è correlato alla disfunzione erettile) e, quel che è peggio, un sistema immunitario sempre più debole. Quest’ultimo fattore è dovuto al calo di energia, che minimizza la capacità di risposta alle aggressioni esterne, come virus e batteri.

Eppure, abbiamo sempre mangiato zucchero!

Non è esattamente così. O quantomeno, non in misura così sostanziosa, e non in forma così raffinata. In particolare, la barbabietola da zucchero, dalla quale traiamo il comune saccarosio da cucina, è un’acquisizione relativamente recente. Le prime sperimentazioni per ricavare zucchero dalla pianta vennero effettuate alla fine del XVIII secolo dal chimico Andreas Sigismund Marggraf; fu però un suo allievo, Franz Karl Achard, a mettere a punto un procedimento di estrazione industriale.

Ben presto, il processo attrasse l’attenzione di nientepopodimeno che Napoleone Bonaparte! Questo perché le Indie occidentali avevano imposto un blocco dei rifornimenti di zucchero di canna, pertanto era necessario trovare un sostituto dal dolce sapore. Napoleone investì dunque sulla produzione di barbabietole da zucchero, favorendone la diffusione in Francia e in seguito in tutta Europa.

E prima dell’Ottocento? Originariamente, la canna da zucchero era coltivata nella Nuova Guinea. Da qui giunse poi nella zona delle attuali Filippine, Cina e India. I mercanti indiani e persiani, intorno al III secolo, lo importarono in Arabia e in Egitto: furono appunto gli Arabi a portare in Europa la canna da zucchero, che veniva utilizzata soprattutto come una medicina, o una spezia pregiata. Per questo motivo, lo zucchero era molto costoso: solo i più ricchi potevano permetterselo.

Dal 1492, lo zucchero venne importato nelle Americhe, per essere coltivato dagli schiavi provenienti dall’Africa in grandi piantagioni. Intorno alla metà del XVII secolo, gli inglesi integrano lo zucchero come parte della propria dieta, e questo alimento diventa uno dei generi coloniali più ricercati, tanto che il suo mercato cresce progressivamente fino ad oggi.

Anche prima c’erano cibi dolci! O forse no?

In precedenza, il sapore dolce era legato principalmente alla frutta e al miele. Ancora nel XX secolo, l’assunzione di alimenti ricchi di zucchero era limitata a particolari occasioni, come feste o ricorrenze; non faceva parte dell’alimentazione quotidiana. Il sapore dello zucchero raffinato come lo conosciamo oggi è dunque un’abitudine del nostro cervello, non una necessità fisiologica.

Le papille gustative vengono sollecitate dal gusto dolce. Ingerire elevate quantità di zuccheri quotidianamente fa sì che queste familiarizzino con il sapore, fino a percepirlo sempre meno. In parole povere: ci abituiamo allo zucchero a tal punto da sentirlo sempre meno, quindi a desiderarlo sempre di più!

L’eccessivo consumo di questa sostanza porta poi allo sviluppo di varie malattie dei denti, tra le quali la temutissima carie. È stato inoltre dimostrato che le popolazioni indigene come i Maori neozelandesi e gli aborigeni australiani non avevano mai sofferto di queste malattie prima dell’arrivo dell’alimentazione raffinata occidentale.

Non possiamo più mangiare zucchero?

Fortunatamente, non è così. Una modesta quantità di questa delizia per il palato non ha effetti negativi: il problema, come spesso accade, sta nell’eccesso. Un eccesso inconsapevole, nella maggioranza dei casi, complici le abitudini di una vita intera. Tuttavia, i benefici che si traggono dalla riduzione della quantità giornaliera di zucchero sono innumerevoli.

Prendere consapevolezza di tale quantità è il primo passo per procedere a una graduale diminuzione delle dosi. Ricordiamo infine che l’OMS raccomanda di non superare la percentuale del 10% di zuccheri sulle calorie giornaliere totali (ovvero circa 50 g in una dieta di 2.000 calorie). Insomma, è giunto il momento di ridurre il numero di cucchiaini nel caffè: una decisione dolorosa, ma un vantaggio in termini di salute.

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