Sport e ruolo sociale: tre eventi che hanno cambiato la storia

Nel corso dei decenni lo sport ha ricoperto più volte un importante ruolo sociale. Simbolo di una fede, quella sportiva, che unisce persone diverse e mette tutti d’accordo. Chi di noi non si è trovato almeno una volta al bar, in mezzo a sconosciuti, a tifare all’unisono per la propria nazionale?

Indubbiamente, lo sport ha rappresentato in più occasioni il collante di una società divisa da fatti storici e opinioni contrastanti, lanciando messaggi di speranza e contribuendo a formare la realtà che oggi conosciamo. Ecco tre eventi sportivi che hanno cambiato la Storia.

Alcide De Gasperi telefona a Bartali e gli chiede di vincere il Tour de France, 1948

Su questa telefonata esistono opinioni contrastanti, alcuni dicono che ci sia davvero stata, altri la negano. Quello che è fuori da ogni dubbio è che il Tour de France di Gino Bartali del 1948 ha tenuto gli italiani incollati alla radio, unendoli in un momento di grande divisone.

Il 14 luglio del 1948 il Ginettaccio si trovava a Cannes. L’indomani ci sarebbe stata la prima tappa di montagna del Tour de France e Bartali, settimo in classifica, era dato per spacciato da tutti i giornali francesi. All’ora di pranzo arrivò la notizia, un anticomunista aveva sparato al segretario del PCI Palmiro Togliatti, riducendolo in fin di vita. A poche settimane dalla nascita della Repubblica, l’Italia precipitò nel caos, la Fiat venne occupata e ci si trovò sull’orlo di una nuova guerra civile. La sera, De Gasperi telefonò a Bartali e gli chiese di vincere il tour, “è importante che tu vinca”, gli disse. Il Ginettaccio promise di vincere la tappa successiva e fu di parola.

Si aggiudicò la tappa con diciotto minuti di vantaggio sul primo classificato. Due giorni dopo, il 16 luglio 1948, fece il suo ingresso a Parigi indossando la maglia gialla: aveva vinto il Tour. Al suo rientro in Italia non mancarono i festeggiamenti. Le rivolte erano sedate e tutti si trovarono per le strade a celebrare all’unanimità Gino Bartali, l’uomo che con la sua vittoria aveva reso tutti orgogliosi di essere italiani.

Gli Sprinboks vincono i Mondiali di Rugby in Sudafrica, 1995

Nel 1995, a soli tre anni dalla fine del regime di Apartheid in Sudafrica, il neopresidente Nelson Mandela decise di utilizzare il Rugby come strumento per unificare la popolazione. Dopo quarantadue anni di segregazione la società era fortemente divisa e i bianchi, detti anche afrikaner, venivano guardati con diffidenza dai neri che allora costituivano l’80% della popolazione.

Quella di Mandela fu una scelta coraggiosa. Il rugby era considerato principalmente uno sport per bianchi, i giocatori di colore erano pochissimi e durante le partite erano spesso vittime di insulti razzisti. Questo non solo portò la popolazione nera a disinteressarsi a questo sport, ma addirittura a tifare contro la nazionale sudafricana in occasione di diverse partite.

Nelson Mandela sfruttò i mondiali di rugby per creare una coscienza nazionale e per porre fine a un contrasto che da troppi anni opprimeva il Paese. Nei mesi precedenti all’inizio del torneo, il presidente, insieme al capitano della nazionale, organizzò una serie di iniziative per avvicinare i sudafricani neri al rugby. La squadra visitò la prigione di Robben Island, dove venivano tenuti i prigionieri politici durante l’apartheid. Tutti i giocatori impararono Nkosi Sikelele, l’inno nazionale della popolazione nera e gli allenamenti della squadra furono aperti al pubblico.

Il 25 maggio il mondiale iniziò. La tensione era altissima, nonostante l’impegno dei mesi precedenti, il rischio che si verificassero scontri tra bianchi e neri era reale. Gli Springboks, capitanati da Francois Pienaar sbaragliarono tutte le altre squadre e arrivarono in finale contro la Nuova Zelanda. La partita fu molto combattuta, alla fine del primo tempo il Sudafrica era in vantaggio, ma fu poi recuperato dalla Nuova Zelanda e la partita finì con un pareggio. Ai supplementari successe la magia, Joel Stransky fece un drop goal mandando la palla dritta in mezzo ai pali, al di sopra della traversa. Gli Springboks vinsero e bianchi e neri festeggiarono, per la prima volta tutti insieme, non solo la vittoria ma anche la nascita della Nazione Arcobaleno.

Corea del Nord e Corea del Sud fanno pace alle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, 2018

Nel 2018 a Pyeongchang si sono tenute le Olimpiadi invernali. L’evento sportivo ha fatto da cornice a quello che sembra essere un tentativo, riuscito, di pace tra due nazioni in conflitto da più di settant’anni. I rapporti tra Corea del Nord e del Sud non sono mai stati idilliaci. Le due nazioni non si sono mai riappacificate ufficialmente dopo la Guerra di Corea del 1953.

Finalmente, dopo tutti questi anni, le due Coree hanno deciso di riallacciare i rapporti e per farlo hanno scelto come sfondo proprio le Olimpiadi. La parte nordcoreana ha inviato una delegazione composta da atleti, giornalisti e tifosi in Sud Corea e le due nazioni hanno sfilato fianco a fianco alla cerimonia di apertura. Il riavvicinamento è stato poi sancito dalla stretta di mano tra la sorella di Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in.

È la prima volta che un membro della famiglia Kim si reca in Sud Corea, ma non è il primo tentativo di riavvicinamento tra i due Paesi. Già nel 1988, in occasione delle Olimpiadi di Seul, Corea del Nord e del Sud avevano provato a collaborare nell’organizzazione dell’evento. Tuttavia, il tentativo era miseramente fallito, la Corea del Nord si era tirata indietro e all’ultimo aveva posto in essere un vero e proprio boicottaggio coinvolgendo anche altri Stati.

Insomma, le Olimpiadi invernali del 2018 hanno posto le basi per la pace tra due Paesi che si combattono da troppo tempo. E malgrado la strada per la riappacificazione sia ancora lunga, anche questa volta lo sport è riuscito a mettere tutti d’accordo.

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