La struttura delle particelle X è rimasta a lungo un mistero. Le recenti scoperte fanno luce sul Big Bang.
Cosa sono le particelle X?
Dopo lo scoppio, l’esplosione che creò il mondo, il cosmo era pieno di un plasma che poteva raggiungere trilioni di gradi espandendo nell’atmosfera quark e gluoni, particelle elementari che sono esistite solo per periodi relativamente brevi prima di raffreddarsi e trasformarsi in particelle più stabili. Ma, prima che si raffreddassero, una minuscola frazione di questi gluoni e quark si è scontrata casualmente. Un tocco, una collisione da cui hanno avuto origine le cosiddette particelle “X”. La loro struttura è rimasta un mistero per diverso tempo, finché gli scienziati del MIT che lavorano con il CERN hanno trovato tracce di queste particelle nel plasma di quark-gluoni generato dal Large Hadron Collider (LHC), secondo un recente studio pubblicato sulla rivista «Physical. Lettere di revisione».
Dedicandosi a un’analisi approfondita delle particelle X, per la prima volta gli scienziati potrebbero costruire un quadro più completo di ciò che è successo durante il Big Bang. Un momento importante per la scienza che, da sempre, si interroga sull’origine del mondo e dei suoi sviluppi. Chi siamo, da dove veniamo? Domande che hanno affollato le menti non solo di religiosi e filosofi ma anche degli scienziati, che hanno trovato nella natura le risposte che stavano cercando. A volte, però, queste tardano ad arrivare. Si devono aspettare anni se non addirittura secoli, si deve continuare a fare ricerca senza demordere: prima o poi si troverà ciò che si sta cercando.
Big Bang: l’inizio di tutto
Nel caos incandescente che era la forma dell’Universo prima dell’inizio del raffreddamento, la collisione randomica tra i quark e i gluoni del plasma primordiale generò la particella X, una particella dalla vita brevissima e dalla struttura misteriosa, oltre che estremamente rara. Gli scienziati la cercano da oltre vent’anni, e la possibilità di intercettarla per la prima volta nasce dalla riproduzione, all’interno del LHC del CERN di Ginevra, di quel plasma di quark e gluoni capace di generare – ora come nei primi istanti di vita dell’Universo – una particella X.
Una scoperta che entra nei momenti storici che hanno segnato la storia della ricerca, un altro tassello che permette una comprensione più approfondita del mondo che ci circonda.
“Questo è solo l’inizio della storia” afferma l’autore principale Yen-Jie Lee, professore associato di fisica al MIT. “Intanto abbiamo dimostrato di poter tracciare un segnale. Nei prossimi anni vogliamo utilizzare il plasma di quark e gluoni per sondare la struttura interna della particella X. Questo potrebbe cambiare la nostra visione del tipo di materiale che l’universo dovrebbe produrre”. Ogni traguardo diventa, quindi, una linea di partenza, il punto d’inizio della ricerca successiva. Per conoscere e capire si deve andare fino in fondo senza credere mai di essere arrivati. Dietro ogni scoperta è nascosta l’ombra di un’altra.
Fare ricerca in Italia
Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità, si diceva. Ma nella ricerca non esistono piccoli passi. Di certo non in Italia, dove questa non riceve i finanziamenti che possono vantare altri Paesi europei. Secondo i dati ISTAT la principale fonte di finanziamento di Ricerca e Sviluppo nel nostro Paese è il settore privato. Su quasi 23,8 miliardi di euro stimati come spesa per ricerca e sviluppo, imprese e no profit contribuiscono per il 55,2% come finanziamento. Per fare un confronto: nel 2017 le università hanno speso 5,6 miliardi di euro, le istituzioni pubbliche 2,9 miliardi.
Il Consiglio europeo della ricerca (Erc), in collaborazione con Horizon 2020, ha finanziato 600 milioni a 301 ricercatori europei, fra i quali ventitré italiani; di questi però solo sette hanno deciso di realizzare il progetto in Italia.
L’obiettivo dell’Erc è di incoraggiare la ricerca attraverso finanziamenti competitivi e sostenere la ricerca di frontiera sulla base dell’eccellenza scientifica, mentre lo Stato deve garantire finanziamenti per tutti a un primo livello. Il Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) eroga direttamente alle accademie e agli enti di ricerca un fondo annuale per le spese ordinarie e del personale. Il problema è che solo una piccola quota di questo fondo può essere impiegata per la ricerca. Siamo ad un vicolo cieco, quindi. Tra gli effetti negativi dei pochi fondi a disposizione della ricerca c’è il “Brain-drain”, la cosiddetta fuga dei cervelli. I dati ISTAT dicono che nel 2018 sono partiti 117mila italiani di cui 30mila laureati. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes riporta che il 40% di chi è partito nel 2018 ha fra i 18 e i 34 anni.
Il Consiglio nazionale della ricerca, nella Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, ha dichiarato che “nel mondo della Ricerca e Sviluppo l’Italia è un’anomalia“. Il sistema della ricerca italiana è sotto finanziato rispetto agli altri paesi perché c’è un basso finanziamento pubblico e perché il tessuto produttivo basato su piccole aziende rende difficile investire in ricerca. Nonostante questo, l’impatto della ricerca scientifica italiana risulta superiore alla media europea se si guarda alla qualità della produzione scientifica.
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