Cerco l’incontro con l’opera nella Natura, al di fuori del contesto domestico
Biografia di una vita ritrovata
Fabrizio Spadini nasce nel 1975 a Casorate Primo, nel Pavese settentrionale. Conclusi gli studi classici, Spadini termina la sua formazione in grafica e illustrazione per poi iniziare a collaborare come freelance con agenzie di pubblicità. Nel 2006, Spadini inizia a dedicarsi allo sviluppo di progetti per le aziende che operano nel settore ludico, serie animate e video giochi. Nel 2015, con Giunti Editore, realizza la serie di coloring book Creatività Antistress, che gli permette di raggiungere il successo e il riconoscimento del grande pubblico.
La passione per la pittura accompagna Spadini da sempre. Nei primi anni Duemila, si trasferisce in Toscana, dove tutt’ora risiede e dove viene stimolato dalla luce e dal paesaggio. Inizia a dipinger en plein air per cercare incontri casuali con i dolci pendi appenninici e i loro casali abbandonati. La ricerca e lo studio di questi soggetti portano Spadini ad avvicinarsi alla pittura Verista e soprattutto ai Macchiaioli, che egli omaggia nella maggior parte delle sue opere.
Spadini presenta le sue sperimentazioni distopiche per la prima volta nel 2016, al Lucca Comics and Games, dove, in Areaperfomance i progetti Oilrobots e Futuro Anteriore hanno lanciato Spadini nel sistema dell’arte. Molte mostre si sono succedute da quel momento, fino all’ultima a Roma, che ha riscosso un grande richiamo di pubblico grazie anche alla finestra del Romics. La Galleria Medina, dal 7 al 21 aprile 2022, ha ospitato nei sui spazi la maggior parte delle pitture di Spadini nelle sue tre sale. Lame rotanti. La pittura contemporanea di Fabrizio Spadini ha offerto al pubblico la possibilità di esplorare i suoi mondi distopici, suscitando stupore e interesse sia negli adulti che nei più piccoli.
Lame rotanti. La pittura contemporanea di Fabrizio Spadini
Sono atterrati Jeeg Robot e Mazinger Z a Via Merulana? Forse, molto probabilmente ci sono sempre stati. È questa la sensazione che si ha mentre si osservano i dipinti di Spadini. Grandi paesaggi veristi e di macchia sono sede di incontri del terzo tipo con personaggi dei cartoni giapponesi degli anni Settanta e Ottanta. Ma non solo.
La ferrovia della storia dell’arte, che Spadini fa percorrere ai protagonisti giapponesi, si ferma anche nelle stazioni del Novecento. Vedute urbane di Sironi, rimandi metafisici di Carrà e De Chirico, senza dimenticare Gerard Richter, di cui Spadini segue l’atmosfera malinconica. E poi le Robomachie e le esplosioni ambientate a Venezia, Torino e Roma, dove grandi robot lottano tra di loro per la supremazia della terra.
Si tratta di citazioni d’autore, ma anche di una precisa costruzione di un immaginario calato nella realtà. I cartoni giapponesi, con i quali la maggior parte di noi sono cresciuti, arrivano in Italia proprio a cavallo degli anni Ottanta, grazie alla lungimiranza delle reti Mediaset. Bambini e adolescenti affascinati da quel mondo fatto di lotte per la giustizia, fiamme e fuochi, hanno passato interi pomeriggi davanti il tubo catodico, per poi uscire e imitarne le gesta. Tra di loro sicuramente c’era Spadini, ed ecco che adesso li propone calati nella sua realtà. Negli spazi di Medina, l’osservatore spesso si domanda dove sia il confine tra reale e irreale. Spadini rompe questo limite calando enormi robot nelle campagne toscane e nelle città italiane, riproducendo quella passione che ha stravolto le consuetudini dei giovani.
La sovrapposizione tra storia e fantasia in Spadini è evidente e voluta proprio per rappresentare la reazione e non per raffigurare lo spazio e il tempo. Sono dipinti che dialogano con la storia reale per poterne costruire una propria, per uscire dal sogno dei robot e spaesare la percezione della realtà. Spadini quindi come un precursore e costruttore di epifanie moderne e contemporanee.
Le opere in mostra: la storia dell’arte incontra la saga giapponese
I paesaggi di Spadini rimandano a un tempo lontano, ambiguo, e che si ripete in eterno. In questo modo si possono spiegare gli omaggi a Monet, De Chirico e Savinio che Spadini esegue con capacità di sintesi e di composizione. Un’esempio è Tentativo Metafisico, dove la composizione è ripresa dalle famose nature morte di Morandi, mentre la tavolozza chiara e lucente invece deve ringraziare il maestro dell’Impressionismo. Spadini non cita, ma rielabora e crea il suo mondo. Infatti, in quest’opera, appare un piccolo oggetto: l’astronave Enterprise.
Ed ecco che i paesaggi della storia dell’arte si popolano dei personaggi delle saghe giapponesi come in Citerna. Un piccolo paesino si staglia sulla campagna toscana dove, al tramonto, un pastore sta rientrando a casa. La vita scorre lenta sulla Terra, come in un dipinto di Albani, controllata dalle forze intergalattiche che garantiscono ormai la nostra sicurezza. Nel cielo plumbeo, infatti, una astronave vedetta controlla che l’ordine stabilito sia garantito e che gli uomini possano vivere in pace. Spadini ci porta in un momento dove ormai regnano i robot, ma anche in un mondo “gattopardesco”.
Qui, risiede la malinconia dei suoi dipinti, che nasce dalla consapevolezza che realtà e immaginazione non possono mai completamente fondersi. Spadini esegue molte di queste opere, come ad esempio Paesaggio urbano con labirinto o L’incontro, dove l’essere umano diventa centrale. L’enigma risiede in questi incontri che avvengono in grandi spazi illuminati artificialmente e naturalmente dove regna la serena immaginazione e dove esplodono le forme della decontestualizzazione e del crossover.
Gli effetti del Covid secondo Spadini
Distopia nella distopia, Spadini non poteva non immaginare il suo mondo colpito dalla pandemia. I grandi robot con le loro città iper-tecnologiche si sono trovati ad affrontare il virus e i suoi effetti. Didattica della distanza racconta proprio questo. Con il supporto della straniante metafisica di De Chirico, Spadini dipinge un robot di spalle che osserva uno schermo antico in una stanza dove non entra la luce. Tutto è il contrario di tutto, ci saremmo aspettati la migliore tecnologia, e invece siamo di fronte a una lavagna con i principi basilari della geometria e un simbolo colorato. Questo, per chi magari non ricorda, appariva al momento di un collegamento Rai negli anni Settanta e Ottanta, gli anni del boom dei cartoon giapponesi.
Storia dell’arte e storia personale in questo dipinto trovano il loro perfetto connubio. Il manichino e gli oggetti dei maestri della metafisica sono composti insieme agli oggetti della memoria personale per raccontare una storia contemporanea: la DaD (Didattica a Distanza). Straniante, malinconica e a tratti oppressiva, la DaD viene qui storicizzata e resa in senso ludico, ma consapevole. Una critica ironica ai nostri tempi, dipinta con il sussidio della storia e ambientata nel mondo che l’immaginazione di Spadini sta costruendo.
Le esplosioni e le robomachie
Grandi paesaggi sironiani si aprono dietro altrettanto monumentali robot che lottano per conquistare il pianeta. La Spiaggia di Minosse con l’eterna lotta tra passato e futuro, tra ciminiere fumanti e rovine archeologiche; Paesaggio urbano con gigantomachia dove Minerva cerca di difendersi da Venere meccanica mentre Firenze dorme in un cielo nero e fumoso e infine Paesaggio con robomachia, dove due robot giapponesi lottano sotto gli indifferenti occhi di un passante alla fermata del tram. Spadini, per immaginare il loro arrivo sulla terra, prende in prestito la mitologia greca. Se in quest’ultima abbiamo la lotta dei centauri e la simbiosi con il loro popolo, in Spadini tutto si svolge su piani diversi.
Una bolla di immaginazione nasconde la loro guerra, tutto ci sembra distante e impercettibile. Eppure ci sono, si muovono e distruggono l’apparente tranquillità. Le città dormono tranquille e i cittadini seguono la loro giornata, mente altro si muove. Un altro che è immaginato, sentito e vissuto ma è immobile e reso eterno.
Ma siamo alla resa dei conti, altri popoli robot sono interessati alla nostra Terra. Ecco che allora Spadini apre grandi macchie di colori terrosi ed esplosivi per sottolineare la fine della pace. Athanor, sopra il porticato della piazza di De Chirico, difende strenuamente il suo potere, mentre tutto brucia e si distrugge. L’immaginazione in questo caso supera la fantasia e Spadini mette in allerta l’osservatore: la realtà e l’irreale possono collidere. Tutto è raccontato con ampiezza e gusto per l’articolazione e la variazione, segni che fanno di lui un artista completo e consapevole sia tecnicamente che narrativamente. Spadini, infatti, varia le storie dei suoi dipinti e le gestisce lasciando sempre qualcosa in sospeso; lasciando allo spettatore la possibilità di continuare a immaginare i suoi mondi pop.
La storia dell’arte attraversata dalla storia dei cartoon giapponesi
Spadini, giocando con i suoi modelli onirici, apre le porte all’astratto allo storico con al centro l’immaginario pop. La sua è un’arte di tipo combinatorio, dove gli scenari si ripetono ma si incrociano in maniera sempre diversa per produrre nuove situazioni del suo mondo. La realtà a volte si fonde e a volte si sfiora con l’immaginario, mantenendo sempre un debita distanza. Questa esigenza è dettata dal fatto che Spadini vuole sempre lasciare spazio all’immaginazione di chi osserva i suoi quadri per non svelare come va a finire. Gioca con l’immaginario collettivo, e lo fa con una tavolozza esplosiva e luminosa che mettono in dubbio quale sia veramente il mondo reale. I paesaggi pacifici o le robomachie? La quotidianità dell’uomo o dei robot? Entrambi sono mondi malinconici e nostalgici, e entrambi hanno una propria storia novecentesca. Spadini ne è consapevole e continua a farli convivere e a mostrare le loro storie parallele.
Spadini realizza storie che il pubblico condivide e così i suoi dipinti si prestano a diventare un manifesto poetico e generazionale; svela l’incontro che l’uomo ha con la sua immaginazione e ne mostra le potenzialità futuribili. Quale è il suo futuro? Promettente e sospeso, come il risultato delle sue robomachie.
Fonti
Fabrizio Spadini “La forma della memoria”. La colonizzazione dell’immaginario a cura di Jacopo Nacci (catalogo della mostra, Galleria de Nisi, 5-19 dicembre 2020, Roma), Arte Atelier, Roma 2020.
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