E’ trascorso poco più di un mese dal rilascio in sala datato 25 maggio, eppure Top Gun: Maverick ha già sfondato il muro del miliardo di dollari di incasso. Il film di Joseph Kosinski, uscito a quasi quarant’anni di distanza dal capostipite, ha di gran lunga superato ogni più rosea previsione, convincendo il pubblico ad accorrere in sala e raccogliendo il plauso della critica internazionale.
A chi si interroga sulle ragioni alla base del successo di un sequel considerato dai più come “fuori tempo massimo” proviamo a rispondere elencando i 3 semplici ingredienti che rendono la pellicola una visione irrinunciabile.
Mr. Impossible
Partiamo da lui, dall’uomo, dall’attore, dal divo, dal produttore, dal factotum; insomma partiamo da Tom Cruise. Dal sessantenne che possiede mente e fisico di un venticinquenne, dal Barney Stinson formato grande schermo:
Per tutta la vita ho sfidato i miei limiti per sorpassare il confine del possibile […] fino al punto in cui ciò che è possibile e l’impossibile si mescolano e si trasformano nel possimpibile
Tom Cruise è Mr. Impossible, è l’ultimo grande interprete di un cinema che non esiste (quasi) più. È la personalità capace di riunire in sé i più grandi registi della storia, da Kubrick a Paul Thomas Anderson, passando per Steven Spielberg e Rob Reiner; l’ingannevole trasformista in grado di ricoprire i ruoli più disparati servendosi dell’ “unica espressione che ha”. È il sorriso beffardo e arrogante di chi non si pone limiti o di chi li usa esclusivamente per mettersi ancora una volta alla prova.
Tom Cruise è un mito oggi come lo era oltre trent’anni fa, nel lontano 1986, quando il primo Top Gun esordiva nei cinema di tutto il mondo pronto a divenire parte del panorama cult moderno della settima arte.
Nostalgia canaglia
Proprio loro, i mitici anni ’80. Un’altra epoca, un altro cinema; un passato quasi inafferrabile che all’interno di Top Gun: Maverick trova tuttavia nuova linfa nelle atmosfere, nelle frasi e nelle dinamiche relazionali tra i personaggi . Un film che non vive di nostalgia, ma che della nostalgia canaglia fa un indiscutibile punto di riferimento, giocando su richiami al prequel più o meno espliciti e sulla riproposizione di elementi facenti parte dell’immaginario “topguniano” collettivo.
Spazio allora a una partita in spiaggia (stavolta football e non pallavolo), a una vecchia giacca e a un altrettanto vecchio compagno di volo (quel Val Kilmer/Iceman su cui i segni del tempo si abbattono particolarmente impietosi). Spazio a un preistorico F-14, a una colonna sonora che mescola passato e presente, alla più classica delle love story (Jennifer Connelly sostituisce Kelly McGillis) e al doloroso confronto con il figlio di un amico scomparso.
La pellicola di Kosinski vive anche di questo; di memorie, di conti in sospeso e, perché no, di antiche emozioni ri-osservabili in filigrana dietro cazzutissime punchline.
La tua razza è destinata all’estinzione.
Forse è così, signore. Ma non oggi.
Uomo e macchina
Non solo frasi ad effetto, non solo un pretesto volto all’epicizzazione del materiale narrativo. Top Gun: Maverick è, come accennato, ben più di un album di memorie e sbiadite figurine. Bruckheimer, Kosinski e Cruise sono i protagonisti di un’opera che non si limita a guardarsi alle spalle, bensì analizza presente e possibili sviluppi futuri con spaventosa lucidità.
È la razza umana, ben più di quella Top Gun, ad essere destinata all’estinzione. È la razza umana a subire la spietata meccanizzazione di cui essa stessa è responsabile e a fronte della quale l’irrazionalità forzata sembra palesarsi come unica via di fuga possibile (“non pensare” è un altro dei mantra del film). Spetta a noi, a tutti noi, dimostrare che possiamo ancora dire la nostra; dimostrare che è il pilota a fare la differenza. Prendere in mano il nostro destino e guidarlo, possibilmente a velocità supersonica, verso porti più sicuri.
E domani?
Domani chissà. Chissà se il domani avrà ancora la spinta propulsiva di un aereo di nuova generazione e il tenente Mitchell tornerà in sala per una nuova missione. (“Vediamo dove saremo tra 35 anni. Non voglio fare speculazioni. Questa è una corsa incredibile. Il cielo è il limite per questo film” ha dichiarato il CEO di Paramount Brian Robbins). La speranza, in un presente dominato da universi, multiversi, saghe infinite e rimasticate, è che, indipendentemente da un Top Gun 3, il futuro dei blockbuster appartenga ancora ai Jerry Bruckheimer e ai Tom Cruise dell’industria. Perché forse è vero; forse persino il cinema è destinato all’estinzione.
Ma non oggi.