Un Baobab Toccò il Cielo dell’Africa, è il romanzo di esordio di Giacomo Pozzi, pubblicato a maggio 2022. Questo romanzo è un po’ come la vita: non si sa mai cosa aspettarsi. E lo si capisce fin da subito. La trama avvincente, è raccontata con un tono a tratti informale, a tratti molto ricercato. Colpisce la capacità dell’autore di descrivere le immagini e le sensazioni in modo molto puntuale, consentendo al lettore di immergersi nelle scene e di immedesimarsi nei personaggi.
Nel sito internet della casa editrice, Tempo al Libro, a proposito di Giacomo si legge un’insolita nota biografica che per certi versi sembra potersi rispecchiare in alcuni degli ingredienti del romanzo:
Giacomo Pozzi è stato concepito nell’isola di Creta, ma è nato nel 1998 a Lugo di Romagna e vive a Imola, in provincia di Bologna. Nell’ultimo periodo si è avvicinato alla permacultura, trasformando completamente la sua concezione di vita. Appassionato di musica e di tè, skater da anni, ha viaggiato molto e, come ammette, continuerà a farlo cercando di vivere come ha sempre voluto: da uomo libero quale è nato.
La redazione de Lo Sbuffo ha deciso di intervistare Giacomo Pozzi per conoscerlo meglio, approfondire il suo rapporto con la scrittura e porre qualche domanda sul suo romanzo.
1) Ciao Giacomo, innanzi tutto grazie per questa intervista. Il sito internet della tua casa editrice riporta una tua biografia abbastanza insolita: si parla tra l’altro di dove sei stato concepito, della permacultura, della bevanda del tè e di cercare di vivere come hai sempre voluto, cioè da uomo libero. Sembra di poter intuire alcuni legami con i personaggi del tuo romanzo. Ci racconti qualcosa di te? Quanto c’è di biografico in quello che scrivi? E come trovi ispirazione?
Ciao e grazie a voi per questa opportunità!
Credo che in ognuno di noi sia riposto un potenziale enorme, magnifico. Dovremmo semplicemente concederci la libertà di essere noi stessi, ogni giorno e in ogni occasione. È l’unica via per crescere in equilibrio con quello e chi ci circonda. La Permacultura in questo senso mi ha insegnato molto. ‘’Permanente’’ significa qualcosa di stabile e duraturo. Quindi quando parliamo di sistemi e strutture che riguardano il cibo, l’acqua e l’energia ci riferiamo a qualcosa progettato per durare e non per degradare. L’agricoltura permanente ha la capacità di sostenersi senza limiti temporali, anzi è in grado di creare più energia di quella che ha preso per produrre. È un processo rigenerativo. Con la Permacultura creiamo questo tipo progettazione: rigeneriamo il suolo, depuriamo l’acqua, produciamo cibo sano, costruiamo con materiali ecologici, creiamo biodiversità. Si tratta di prendersi cura dell’ambiente in cui si coltiva e da cui si ricava cibo. Non parliamo quindi di una semplice pratica agricola, ma di qualcosa di infinitamente più vasto e complesso: un approccio alla progettazione, che racchiude tutti gli ambiti del vivere dell’uomo, i suoi rapporti sociali e quelli dell’ambiente naturale che lo circonda.. Possiamo affermare che la Permacultura è un sistema di progettazione per realizzare e gestire una società sostenibile e allo stesso tempo un sistema di riferimento etico-filosofico e un approccio pratico alla vita quotidiana. In essenza: la Permacultura è ecologia applicata.
Per quanto riguarda invece il mio modo di scrivere, mi soffermo molto sui dettagli delle cose, assaporandoli con i sensi e la mente. Nella scrittura credo che non ci si debba porre dei limiti e dei confini entro i quali sostare e camminare, ma anzi ci si debba lasciare andare il più possibile entrando in contatto con la parte più intima e profonda di se stessi. Ovviamente, quando scrivo, scrivo sempre di me, di come percepisco il mondo e quello che mi circonda, il mio modo di vedere le cose e quindi velatamente scrivo sempre in maniera autobiografica. La chiave di tutto è ascoltarsi, per davvero, e fidarsi di quella forza che ci spinge e sostiene nel nostro percorso. È qui che trovo la fonte della mia ispirazione: è come se qualcuno mi dettasse le parole e io gli concedessi di fare da canale.
2) Giacomo, com’è nata l’idea di scrivere questo libro? Quanto è difficile per un esordiente pubblicare un libro e promuoverlo?
È nata da un foglio bianco con al centro un punto nero. Quel punto mi ha fatto pensare a un seme, e al fatto che un seme dentro se stesso racchiude tutta la potenzialità della vita, che però rimane inespressa finché non ci sono le condizioni perfette perché germogli. Credo che noi esseri umani in questo siamo molto, molto simili. Ma è spesso in situazioni di difficoltà, di sofferenza e di dolore che davvero riusciamo a entrare in contatto con la parte più profonda di noi stessi. A quel punto iniziamo a porci delle domande, a darci delle risposte e quindi a conoscerci, e poi riemergiamo per affrontare quella che è la vita, con tutte le sfide che ci lascia di fronte, per aiutarci a crescere, a realizzarci, a trascendere noi stessi.
Beh, il mondo dell’editoria è un mondo assai difficile e particolare. Le grandi case editrici sono le multinazionali del settore, e non si fanno scrupoli nel seguire puramente l’andamento economico. Mi sto impegnando davvero molto, partecipando con anima e cuore a fiere ed eventi con il mio banchetto, organizzando interviste, incontri, presentazioni o collaborazioni con giornali, radio e molto anche sui social. Scrivere un libro è una cosa. Pubblicarlo con una casa editrice è un’altra cosa. Venderlo un’altra ancora. Qui entra in gioco la propria volontà, come piace definirla a me, guerriera, e la propria determinazione. Ogni giorno, sul campo, per credere in quello che si può realizzare, per sé e per gli altri.
3) Dopo Un Baobab Toccò il Cielo dell’Africa hai iniziato a scrivere o scriverai un nuovo romanzo?
Ho già un paio di romanzi quasi pronti alla mano. Ma questo è il tempo dell’attesa per loro, e della conoscenza altrui per il romanzo attuale. Sento che devo concedergli ancora tempo, meritato, e voglio prima farmi conoscere; creare un primo pubblico attorno e grazie ad esso.
4) I tuoi personaggi fanno delle riflessioni attraverso cui mostrano una consapevolezza nei confronti di alcuni temi che vanno dalle condizioni di vita estreme delle popolazioni africane, all’economia circolare, all’inquinamento da idrogeno, alla forma della scaletta degli aerei che potrebbe rappresentare un ostacolo per le persone disabili. Sei consapevole del fatto che Un Baobab Toccò il Cielo dell’Africa oltre ad essere una storia piena magia è anche un romanzo che fa riflettere? È voluta questa denuncia o è solo il riflesso di una tua sensibilità personale?
Assolutamente sì. Ho volutamente inserito tutti questi temi, nati dalla mia sensibilità, sia per invogliare il lettore a riflettere e informarsi, sia per una critica rispetto alla nostra società e modo di vivere. Ci dimentichiamo che avere tutto, ogni forma di agio, distrae dalla nostra essenza e allontana dal conoscersi. Un luogo come l’Africa, per certi aspetti aspro ed estremo, così vuoto e silenzioso, è il campo perfetto del mettersi in gioco ed essere obbligati a entrare in contatto con se stessi: il proprio corpo e la propria mente, i propri pensieri da sfangare e nulla più.
5) Sei bravo a raccontare cosa provano e cosa vivono i tuoi personaggi anche se è chiaro che tanto per una questione di genere, quanto per una questione di età tu non hai potuto vivere in prima persona quelle sensazioni. Ci racconti come riesci a immedesimarti nei tuoi personaggi? Si tratta di vivida immaginazione, capacità di osservazione o fai un’indagine per documentarti? Qual è il tuo segreto?
La scrittura è anche documentazione. Non nego che in certe parti mi sono dovuto informare, e più volte. Ma questa è una decisione totalmente libera, nel senso che si potrebbe davvero scrivere puramente a fantasia. A me piaceva l’idea di creare attorno a qualcosa di reale, tangibile e coerente. Per il resto, in ognuno di noi è custodita una parte maschile e femminile. Esse, unite, rappresentano la vita, l’interezza e l’equilibrio. Per tutto il romanzo, io sono stato i miei personaggi e loro sono stati me. Ho camminato con loro, con la parte più sensibile e femminile di me stesso. L’immedesimazione alla fine è sentire, dare forma ai pensieri e alle sensazioni che si provano. Il resto, come dicevo all’inizio, è stato il frutto di un qualcosa di più alto e sottile, come una forza che guidava le mie mani e le mie parole, dove esse dovevano andare e ritrovarsi, al fine di giungere pure agli occhi degli altri. Mi è capitato più volte di percepire questa cosa, e di fidarmi trovando persone o oggetti, situazioni nelle quali la mia presenza e la mia conoscenza fossero fondamentali per me e in quel periodo. Allo stesso modo si è strutturato questo romanzo, come se avessi avuto un ruolo, un ruolo serio e responsabile per il mondo di oggi.
6) È stridente il contrasto tra le persone che abitano nella missione a Jalang per esempio gli alunni della scuola che…avevano ben poco, ma certamente sapevano come divertirsi ed erano felici – e lo erano per davvero. Rispetto alle persone “occidentali” che sembrano invece intente solo a spendere i propri soldi e a vivere una vita misera, priva di significato e di valore in ogni momento. Credi realmente vi sia un contrasto nei modi di essere o è una visione particolare del mondo che ha Hélène?
Il contrasto ahimè esiste, ed è tangibile. Dovremmo portare rispetto, totale e profondo rispetto. Siamo tutti sulla stessa barca, tutti qui con i piedi sulla crosta della terra. Perché odiarsi, perché tutta questa sofferenza, questo divario, questa competizione egoista? Noi ‘’fortunati’’ possiamo permetterci di vivere in questo modo perché dall’altra parte della faccia della Terra c’è qualcuno che soffre e muore. Se non sentiamo l’esigenza di cambiare, di fare qualcosa, quantomeno dovremmo cercare di portare rispetto.
7) Concludiamo questa intervista raccomandando caldamente ai lettori di scoprire il personaggio di Magnus e tutti gli altri, leggendo Un Baobab Toccò il Cielo dell’Africa. Giacomo, hai pubblicato il tuo primo romanzo, ti sei posto alcune domande importanti sul senso della vita e probabilmente, nonostante la giovane età, hai anche ipotizzato alcune risposte. Se adesso incontrassi per caso Magnus, credi che direbbe anche a te che la tua felpa ha odore di compiuto?
Mi direbbe che forse è arrivato il momento di lavarla, ma io non lo farei. La indosserei fieramente.
Mi piacerebbe che tutte le persone che vogliono cambiare, che hanno un sogno, indossassero una felpa fino a farla odorare di compiuto. Vorrei essere un esempio per tutti coloro che hanno la spinta ma non il coraggio di arrivare dove vogliono. Io ce l’ho fatta, ho portato qualcosa di eterico plasmandolo in materia. E non è tanto il libro – poiché ognuno ha il suo modo di esprimersi e di creare, anche attraverso un abbraccio o un piatto di cucina – ma è il mantenere salda la motivazione che sta alla base delle nostre scelte; credere per vivere ciò che si percepisce e che si pensa, la propria visione, effettiva e reale, con tutta la volontà e la determinazione che sto tirando fuori dalle viscere. È una forza dirompente, che nessuno al mondo può arrestare. È in ognuno di noi. La cosa più importante che abbiamo siamo noi stessi, ed è l’unica cosa che davvero abbiamo perso.
Ringraziamo Giacomo Pozzi per l’intervista, non vediamo l’ora di leggere il suo prossimo romanzo e gli auguriamo – prendendo in prestito ancora una volta le parole di Magnus – di non trascurare mai la sua felicità!
Tutte le foto contenute nell’articolo sono state gentilmente fornite da Giacomo Pozzi