squalo immerso nella formaldeide in teca bianca suddivisa in tre blocchi

Il postumano secondo Damien Hirst: l’eternità racchiusa nella formaldeide

Damien Hirst è un artista che si colloca su un altro livello per diversi motivi: perché pubblica Instagram stories per dire che i peti del suo cane fanno arricciare i capelli; perché una volta ha comprato su Ebay un dozzinale quadro da dieci sterline, l’ha firmato e l’ha reso l’inizio di una delle sue serie più celebri (Antibiotics); perché nel 2008, in piena crisi finanziaria e a una manciata di ore dalla disfatta mondiale della Lehman Brothers, le sue opere sono andate sold out in ventiquattro ore, registrando un incasso record complessivo di duecento milioni di sterline. Damien Hirst ride in faccia a chi pensa che con l’arte non si mangi e, semplicemente, se ne frega.

Quindi? Niente di nuovo?

Una breve premessa giusto per capire di chi si sta parlando: Damien Hirst è un membro degli Young British Artists, gruppo nato nella Londra di fine anni Ottanta e che comprende anche, un nome tra tutti, Marc Quinn. Si tratta dell’artista dei ritratti fatti con il suo stesso sangue, sì, ma anche dell’autore della statua Black Lives Matter di Bristol, e probabilmente in molti preferiscono ricordarselo per quest’ultima.

La YBA agisce in quel contesto cacofonico racchiuso dall’onnicomprensiva etichetta di postmodernità, in cui trovano una compiuta manifestazione le riflessioni tardo-novecentesche sul già detto, già scritto, già fatto, sull’ansia da prestazione di una generazione che crede di aver finito le cose da dire. La postmodernità è un calderone di manifestazioni culturali in cui le regole che valevano prima non valgono più: si reinventa, si mischia, si cita, perché ormai domina la convinzione che tutto sia già stato inventato, e che ciò che rimane da fare sia attingere dal passato per creare qualcosa che sia veramente nostro, veramente presente. Unico nel suo essere “già”.

Squali, teche e formaldeide

Damien Hirst si affaccia sulla scena internazionale poco più che ventenne e, all’inizio degli anni Novanta, compie un gesto che racchiude insieme follia e rivoluzione, arte e blasfemia: prende uno squalo, vero, morto, e lo chiude in un’algida teca di vetro, immerso nella formaldeide bluastra. E la teca la chiude in un museo.

Davanti a The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living anche ai meno prevenuti potrà scappare un sibilante “Ma questa non è arte!”. È umano, pensare che uno squalo immerso nella formaldeide sia tutto fuorché arte e umano. Hirst, però, è qui per spiegare che anche uno squalo immerso nella formaldeide può essere non solo arte, ma Arte.

Damien Hirst The Physical Impossibility of death in the Mind of Someone Living
Damien Hirst – L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo

Purtroppo lo squalo in questione è stato catturato appositamente per diventare quest’opera: bisogna essere sinceri fino in fondo. Quindi se il lettore volesse fermarsi qui, sarebbe comprensibile e giustificato. Se non volesse fermarsi qui, nonostante adesso stia leggendo con un certo sdegno e gli occhi torvi, andiamo avanti.

Hirst ci invita a immaginare di trovarci davanti a uno squalo enorme, con le fauci spalancate, che sembra puntare dritto verso la testa dello spettatore che lo osserva: un solo movimento della creatura potrebbe decretare la fine di ogni progetto, di ogni problema che sembrava così grande ed ora appare tanto piccolo. Eppure, c’è qualcosa che smorza il tono brutale, che riduce la violenza ad esposizione da museo: la teca. E la formaldeide.

Che nessuno si muova

Il gesto più maestoso, più spaventoso, più istintivo e ancestrale di un predatore è raffreddato di colpo, come quando nei film fermano un frame con il protagonista che sta ancora a mezz’aria dopo aver saltato. È qualcosa che manda in tilt la nostra percezione della realtà, è completamente innaturale. Un animale come lo squalo non è fatto per stare fermo, ma per dilaniare con un solo movimento ciò che fino a qualche secondo prima era un essere vivente. Lo squalo però è lì, nella sua teca da museo delle scienze naturali, asettica come i letti d’ospedale, e tutta la forza che sprigiona è bloccata per sempre in un attimo eterno, una violenza inespressa e resa brutalmente innocua.

È proprio qui che la genialità del giovane Hirst si dispiega in tutto il suo potenziale. L’artista prende la vita, che nel nostro mondo è considerata come una risorsa da dover prolungare il più possibile, anche a costo di sacrificare ciò che, in fondo, la rende tale; poi prende la morte, e la rende asettica, la spoglia, privandola di quel pizzico di gore che naturalmente la contraddistingue. Infine le unisce, come a dire: questa è la vita che volete.

Al di là dell’uomo

The Physical Impossibility è un manifesto del postumano, di quella condizione tipicamente postmoderna che toglie l’umanità all’uomo per darla alle macchine, alla plastica, alla bellezza ad ogni costo, e a una vita prolungata il più a lungo possibile: non a caso, un’altra opera famosa di Hirst è tutta improntata sulle pillole e i medicinali (Pharmacy).

hajime sorayama sexy robots
Illustrazione tratta dal ciclo Sexy Robots di Hajime Sorayama

È postumano Matthew Barney, che, con il suo ciclo Cremaster, porta alle estreme conseguenze la cultura della chirurgia estetica, della bellezza artificiale, della plastica e dell’ibridismo, in cui si fondono l’uomo e la macchina, l’uomo e la bestia, i colori e le forme. Postumano è anche il giapponese Hajime Sorayama, uno dei principali esponenti di quella cyborg art: un artista che si diverte a ritrarre robot e androidi in posizioni provocanti, al limite del pornografico, attribuendo loro caratteristiche e comportamenti umani.

Postumani siamo noi, nell’era della riproducibilità tecnica, del già detto e del già fatto, sempre meno consapevoli della nostra umanità e sempre più votati alla conservazione eterna del corpo, come fosse immerso nella formaldeide di Hirst.

Prendendo uno squalo e chiudendolo in un’algida teca, Damien Hirst ha fatto quello che doveva essere fatto: ha sbattuto in faccia a tutti l’Impossibilità fisica della morte, avvertendoci però che un’esistenza prolungata a ogni costo non è meno crudele della morte, per quanto violenta. (Damien Hirst, semplicemente, ci ha detto: andate subito ad usare quei punti fragola perché la vita, comunque la si guardi, è una. E dev’essere vissuta.)


FONTI 

 https://www.instagram.com/p/CHVfyBKsG2r/?hl=it

 https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-damien-hirsts-200-million-auction-symbol-pre-recession-decadence

 https://www.theguardian.com/artanddesign/2020/jul/15/marc-quinn-statue-colston-jen-reid-black-lives-matter-bristol

 https://www.tate.org.uk/art/artworks/hirst-pharmacy-t07187

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