Ferite invisibili: le conseguenze psicologiche della violenza sessuale

La violenza sessuale è un’esperienza traumatica che arriva inaspettatamente e travolge la vita della vittima come un terremoto emotivo e neurologico che non cessa mai. Non colpisce solo il corpo, ma lacera la psiche e l’identità, lasciando ferite visibili e invisibili che, nella maggior parte dei casi, non si rimarginano mai. La violenza sessuale invade e distrugge l’integrità fisica e morale della vittima, diritti della personalità inviolabili ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione italiana.

In tanti casi, a queste ferite si aggiunge il peso indiscutibile dell’ingiustizia: processi che si trascinano per anni, pene irrisorie, colpevoli che escono quasi indenni, mentre la vittima resta intrappolata in un dolore perenne.

Perché le conseguenze dell’abuso sessuale si protraggono nel tempo e rendono l’atto di violenza solo l’inizio di un incubo con cui la vittima deve convivere? 

Iniziamo mettendo in chiaro il concetto di cui stiamo parlando. 

Che cos’è la violenza sessuale?

Secondo la definizione contenuta nell’articolo 609-bis del Codice penale italiano, si configura come violenza sessuale qualsiasi atto compiuto senza il consenso libero e informato della persona coinvolta, attraverso forza, minaccia o abuso di autorità. 

Il consenso è un elemento chiave: senza di esso, ogni tipo di contatto a sfondo sessuale è una violazione della libertà e dell’integrità dell’altra persona, anche all’interno di relazioni intime o matrimoniali.

Essa può manifestarsi attraverso forme diverse, ossia fisica, psicologica e simbolica. La violenza sessuale fisica è quella più immediatamente riconoscibile.

  • Violenza sessuale fisica

Essa si manifesta con l’imposizione attraverso la forza o con l’uso di sostanze che riducono la capacità di reagire. Molti stupri avvengono tra persone che si conoscono, circostanza che amplifica il senso di tradimento e diminuisce la probabilità che la vittima denunci il reato in tempi brevi.

  • Violenza sessuale psicologica

La violenza psicologica agisce invece come una goccia che scava la roccia: il terrore costante di perdere un lavoro, una relazione o la propria reputazione può spingere a diventare condiscendente ad atti sessuali non desiderati. Il reo usa le armi del ricatto emotivo, della manipolazione e della coercizione sottile, creando uno stato di paura onnipresente nella vita della vittima che spesso si isola senza sapere a chi rivolgersi o di chi fidarsi.

  • Violenza sessuale simbolica

Infine, la violenza simbolica viene generata attraverso pubblicità sessiste, battute degradanti e normalizzazione dell’abuso anche per mezzo delle classiche “chiacchiere da spogliatoio”. Tutti questi elementi creano un terreno fertile in cui la responsabilità sembra spostarsi dalla parte sbagliata, alimentando lo stereotipo della “vittima che ha provocato o se l’è cercata”, ma anche banalizzando lo stupro.

Tuttavia, lo stupro non riguarda il bisogno o la ricerca del piacere. La violenza sessuale è compresa nell’aggressività maligna, fenomeno spiegato da Erich Fromm, psicologo tedesco-americano che ha incentrato la sua analisi sull’aggressività umana. Secondo Fromm, l’aggressività maligna è espressa tipicamente dal desiderio sadico, la cui essenza consiste nella “passione di esercitare un controllo assoluto e illimitato su un essere vivente”, orientato quindi a trasformare la persona sottomessa in oggetto di possesso su cui sfogare la propria volontà dispotica, fino al suo annichilimento. (Criminologia, Luigi Cornacchia e Gemma Marotta, Quarta edizione)

Si tratta del bisogno di esternalizzare un’insicurezza interiore emersa da un senso di impotenza e urgenza di riaffermare la propria autorità, posizione predominante o un concetto ideale di sé. Oggigiorno, possiamo affermare che il reo non viene “provocato” da una minigonna o da un decolté. Il problema non sono mai stati gli indumenti della vittima, il posto in cui si trovava o cosa facesse. Lo stupro ha segnato e segna ancora profondamente l’esistenza di donne, uomini, bambini, anziani, neonati e persino animali. 

Cosa accade nel cervello della vittima durante lo stupro?

Le parole del neuropsicologo Jim Hopper spiegano il modo in cui il cervello reagisce durante un’aggressione sessuale e perché le risposte delle vittime possono sembrare “innaturali” a chi non conosce la neurobiologia del trauma.

In situazioni di terrore, all’interno del sistema nervoso si passa alla modalità sopravvivenza. Questo passaggio causa una riduzione nell’attività delle aree razionali (corteccia prefrontale), mentre subentrano meccanismi automatici regolati dall’amigdala e dal tronco encefalico. La modalità sopravvivenza innesca alcune risposte automatiche tra cui: reazione di fuga o attacco (fight or flight), blocco totale (freeze) e paralisi temporanea (tonic immobility).

La prima entra in gioco se il corpo percepisce una via di scampo. Il corpo rilascia ormoni come l’adrenalina e il cortisolo, i quali aumentano il battito cardiaco e amplificano i sensi. Questa risposta porta la vittima ad agire con più prontezza per proteggersi quando è possibile. La seconda (freeze) implica l’immobilità totale del corpo che avviene non come scelta volontaria ma come un riflesso biologico. Questo si collega anche alla paralisi temporanea che rallenta i riflessi e riduce i sensi della vittima sottomettendola, a volte, anche ad uno stato di sonnolenza. Di solito, ciò avviene perché i muscoli si irrigidiscono e il corpo sembra “spegnersi” per il bisogno di distaccarsi dall’atto e sentire la violenza percepita il meno possibile. 

Queste risposte avvengono nella parte primitiva del cervello, senza passare dalla corteccia prefrontale, la quale è la parte deputata al ragionamento. 

In più, per quanto riguarda la memoria, secondo Jim Hopper, dal momento che l’ippocampo funziona in modo irregolare sotto stress estremo, i ricordi possono risultare frammentati e disordinati, senza una sequenza temporale chiara. Per questo motivo, tante vittime, subito dopo l’evento, non sanno raccontare in modo lineare ciò che è successo. 

Le conseguenze psicologiche

Le reazioni immediate allo stupro sono configurate nella sindrome da trauma da stupro (rape trauma syndrome) descritta da Burgess e Holstrom (1974) nel loro lavoro con le vittime di stupro che ebbe luogo al Boston City Hospital. Questa sindrome si articola in due fasi principali, con manifestazioni emozionali, comportamentali e somatiche diverse fra loro.

       1.Fase di disorganizzazione acuta (durata: settimane)

Questa fase si manifesta nelle settimane immediatamente successive all’episodio di aggressione con un uragano emotivo e fisico: incredulità paralizzante, sintomi acuti di shock e dissociazione, paura intensa, vergogna e senso di colpa si alternano a esplosioni di rabbia, umiliazione e isolamento volontario. Ciò che spinge all’auto-isolamento è spesso il senso di sporco generato dalla vergogna e di autocolpevolizzazione che porta la vittima a cambiare domicilio o stile di vita nella vana speranza di sfuggire al ricordo e al giudizio altrui. Per quanto riguarda la dissociazione, le vittime sperimentano una dissociazione protettiva, un meccanismo di “freezing” già menzionato nel suddetto paragrafo. Questa risposta automatica blocca ogni reazione fisica all’abuso, alimentando il sentimento di fallimento personale.

Sul piano somatico, la tensione muscolo-scheletrica diventa cronica ed è accompagnata da irritabilità gastro-intestinale e disturbi genito-urinari, mentre l’ansia per la possibilità che famiglia e amici scoprano l’accaduto incrementa ulteriormente il disagio. Questo miscuglio di emozioni estreme e sintomi corporei spesso spinge le vittime di stupro a mascherare il proprio stato con una calma ostentata o a manifestare pianto incontrollato, lamenti e persino risate incongrue, segnali di un profondo smarrimento dell’identità e del controllo di sé.

        2.Fase di riorganizzazione (durata: da settimane ad un numero indefinito di anni)

La fase di riorganizzazione si apre quando il terremoto emotivo iniziale cede il passo a un vissuto di vulnerabilità e disperazione che può protrarsi per tanti anni. Nel lungo termine il trauma evolve in un disturbo post-traumatico da stress, con flashbacks, incubi e ipervigilanza che minacciano ogni relazione di fiducia, aggravando ansia generalizzata, attacchi di panico, depressione e ideazione suicidaria nel (circa) 33% dei sopravvissuti. Il bisogno di mettere distanza dall’ambiente del trauma si traduce in trasferimenti frequenti e nel “rituale del lavaggio” come tentativo ossessivo di cancellare le tracce dell’esperienza. Si crea lo spazio ideale per fobie specifiche ‒ claustrofobia o agorafobia a seconda del luogo in cui è avvenuto lo stupro ‒ e a disfunzioni sessuali durature.

Evidentemente, la rottura della fiducia nel mondo circostante ha delle conseguenze importanti sulle relazioni interpersonali influenzando famiglia, amicizie e vita di coppia. Nella vita di coppia, la sessualità assume spesso connotati di minaccia: molte vittime evitano qualsiasi forma di intimità per la paura di rivivere il trauma, fino a rifiutare il contatto fisico con il coniuge o il partner futuro. 

Cosa significa vivere con questo trauma?

Il trauma dello stupro non è un atto isolato ad un certo arco temporale che inizia e finisce con l’aggressione sessuale. I sintomi post stupro non si esauriscono con un’eventuale condanna del reo, spesso lontana dalla gravità effettiva di ciò che ha commesso. Anche dopo la chiusura del procedimento giudiziario, la vittima rimane con un peso invisibile dovuto alla perdita di controllo sul proprio corpo e sulla propria identità. In udienza, le domande tese a mettere in discussione la sua credibilità, la sua reazione al momento dell’aggressione e persino il suo abbigliamento possono riattivare il trauma, generando dissociazione, vergogna e la sensazione incontrollabile di essere oggetto di indagine più che una persona in cerca di giustizia.

Perché non ha urlato?

Ma se aveva le gambe piegate, come ha fatto a toglierle i pantaloni?

Perché non ha reagito con i denti durante il rapporto orale?

Aveva bevuto?

Cosa stava indossando?

Alice Schembri

Il caso di Alice Schembri è uno degli innumerevoli esempi drammatici delle conseguenze che lo stupro ha a lungo termine. Due anni dopo la violenza di gruppo ripresa in un video diffuso in rete, Alice cadde in una depressione profonda e si tolse la vita a 17 anni, non riuscendo a trovare un senso di “giustizia” né dentro né fuori l’aula di tribunale. 

Francesca Svanera

Vicino ad Alice e a tutte le vittime che non sono riuscite a trovare la loro voce e la luce alla fine del tunnel, ci sono anche vittime sopravvissute come Francesca Svanera. In  seguito ad abusi sessuali reiterati dai 4 ai 10 anni d’età da un gruppo di uomini che registravano gli abusi per poi diffonderli a scopo di lucro, Francesca racconta il suo percorso da sopravvissuta: “Survivor, nel mio caso, significa essere sopravvissuta e aver ricominciato a vivere dopo la mia storia di abusi sessuali subiti durante l’infanzia“.

Per ben 29 anni, il suo cervello ebbe un “cortocircuito” che causò un’amnesia dissociativa, siccome capire di chi fossero le responsabilità e dare un senso a ciò che succedeva e ciò che era successo, non era possibile in quel momento. Francesca ha intrapreso un percorso di terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, una terapia funzionale per rielaborare e ricordare fatti traumatici) grazie alla quale iniziò a capire il perché di tantissimi aspetti irregolari della vita quotidiana da adulta.

Oggi la sua voce potente e chiara racconta ogni passo che ha fatto per arrivare a convivere con il trauma e riguadagnare tutto il suo potere. La sua esperienza insegna che i traumi provenienti da abusi sessuali non lasciano cicatrici che si possono eliminare, ma con il supporto dovuto è possibile conviverci.

Così come la storia di Francesca aggiunge uno spiraglio di luce in mezzo a tutto l’uragano, l’epilogo tragico di Alice ricorda che senza un forte sostegno psicologico costante e un efficiente sistema di protezione, il percorso della sopravvivenza può trasformarsi in un cammino senza ritorno.

Lo stupro è un omicidio lento, silenzioso, invisibile.

 

 

Fonti

psicologa-chieri.it

Video Youtube Jim Hopper

ihavetherightto.org

serenis.it

ilgiornale.it

senato.it

stateofmind.it

brocardi.it

Francesca Svanera

Credits

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