Siamo come inadatti all’amore
quando strappiamo le pagine
dai quaderni appena appena
sussurriamo l’orpello crociato
di una fiammata recente;
siamo adesi all’essere
quando corriamo per l’egida di Minerva
e ci pare di notte la vita morirci addosso,
come del resto non c’è alcuna necessità alla vita.
In questo la via, il modo, che ne cerchiamo la linfa,
la lingua, nella modalità: ho intrapreso con ali storte
una strada cariata, dovere di cronaca
era il mio un tempo divino,
in questo stava il desiderio fondo di morte,
in questo l’ara distribuiva trita e francesini,
in questo l’ora striava di notte l’assile delle panchine.
Stando così le cose presi il viale appena alle spalle,
inchiodando le mani alla resina di un fogliame qualunque
e, scorti i maneggi della massa, ebbi ben compreso
quel che mi spettava: mi voltai
e presi tra le mani una spianata di terra,
mi ci cosparsi il mento, il viso, e giù, a terra,
senz’altro se non la pietà del freddo.