Se si pensa a come la Guerra Fredda abbia visto contrapporsi Russia e Stati Uniti sotto il profilo economico, ideologico, politico e militare per oltre 40 anni, si farebbe fatica a credere che una situazione dalle caratteristiche analoghe sia tutt’ora presente. Così, mentre in Occidente si discute sulla crisi economica e la sua presunta ripresa, in Asia i due Paesi più popolosi del mondo, India e Cina, si stanno calpestando i piedi dagli anni ’60 del secolo scorso. I Dragoni cinesi e gli Elefanti indiani sono alle prese con un rapporto conflittuale che li vede sfidarsi in una feroce corsa agli armamenti e in una competizione per le risorse energetiche. A complicare le cose ci pensano le temute relazioni cinesi – sia terrestri che marittime – con l’Asia Meridionale, le partnership scomode e il contenzioso sui confini.
In un contesto estremamente delicato come è quello sino-indiano, di notevole rilevanza risulta il summit tenuto nella città cinese di Wuhan il 27 e 28 aprile 2018 tra il Primo Ministro indiano Narendra Modi e il Presidente cinese Xi Jinping. Infatti, le relazioni tra le due potenze asiatiche non sono mai state semplici, come dimostrano le alleanze reciprocamente preoccupanti per i due Paesi – quella con Stati Uniti, Australia e Giappone per l’India e quella con Russia e Pakistan per la Cina; la preoccupazione per la rapida e crescente espansione cinese attraverso progetti infrastrutturali in Asia – in particolare in Nepal, Maldive, Bangladesh e Sri Lanka; la messa a punto della Belt and Road Initiative – la Nuova Via della Seta nella quale l’India non ha intenzione di farsi coinvolgere. O ancora le dispute territoriali che vedono Pechino e Nuova Delhi scontrarsi sulla provincia dell’Arunachal Pradesh e nella regione del Doklam, sul confine del Buthan, sempre rimasto fedele all’India nonostante la sua apertura economica alla Cina.
Il summit dei due leader asiatici, perciò, sarebbe più opportuno considerarlo come un primo passo verso il sotterramento dell’ascia di guerra tra i due Paesi. Nonostante le incoraggianti parole del ministro degli affari esteri cinese Wang Yi, secondo il quale il Dragone cinese e l’Elefante indiano non combatteranno più ma danzeranno, sarebbe più realistico condividere le posizioni del ricercatore cinese Liu Zongyi e dell’analista indiano Dhruva Jaishankar che concordano nell’affermare che il meeting del mese scorso sia da valutare più come una pausa dalle ostilità che un rappacificamento vero e proprio. Ciononostante, nell’agenda dell’incontro tra Dragone ed Elefante si sono discussi temi di massima importanza, quali la questione del confine con il Buthan, il blocco imposto dalla Cina contro la membership indiana al Nuclear Suppliers’ Group che autorizza il commercio tra potenze nucleari, il rifiuto cinese di considerare gli islamisti fuggitivi pakistani come terroristi internazionali, la questione dell’ospitalità a Dharamsala del leader spirituale tibetano il Dalai Lama, o ancora la questione delle resistenze indiane verso la Belt and Road Initiative cinese.
Dunque, nonostante le problematiche ancora presenti tra le due potenze e la loro assai delicata situazione, l’incontro tra Narendra Modi e Xi Jinping sembra aprire le porte ad una speranza per una relazione più distesa e rilassata tra India e Cina, in cui una prospettiva futura di pace e cooperazione vengano poste come basi che permettano al Dragone e all’Elefante di seguire in modo coordinato i passi di una danza che li porti ad una crescita reciproca, invece di calpestarsi i piedi a vicenda continuamente.