“Sequential killer” o “serial killer”?: Mindhunter e le origini del crime drama

“Come si può anticipare un pazzo senza sapere come ragiona?”

Stati Uniti, 1977. Affiancato dal più maturo (e cauto) collega Bill Tench, il giovane special agent Holden Ford rivoluziona il reparto scienze comportamentali dell’FBI con una trovata rischiosa, quasi folle: una serie di incontri con alcuni famosi assassini rinchiusi in prigioni o ospedali psichiatrici al fine di perfezionare l’indagine sulla mente criminale, giungendo a comprendere, così, le motivazioni delle loro azioni per poterle anticipare.

Basata sul libro “Mindhunter: Inside the F.B.I.’s Elite Serial Crime Unit”, la nuova serie di Netflix racconta il progetto degli agenti John Douglas e Robert Ressler alla base della moderna criminologia.

A questa inedita premessa si intreccia un’altra storyline che vede Holden e Bill collaborare con agenti locali a casi particolarmente cruenti. Si riconoscono qui ingredienti tipici del crime drama tradizionale: la suspense, la ricerca del colpevole, il continuo complicarsi della vicenda con nuovi indizi e indiziati. Per il resto, la struttura della serie è originale: al centro di ognuno dei dieci episodi non c’è un singolo mistero da risolvere.

Mindhunter si distingue da Criminal Minds, American Crime e True Detective. Anzi, precede e rende possibili tutte queste storie. La serie tv rappresenta, infatti, il racconto della ricerca che, per prima, ha dato peso all’analisi svolta dalla psicologia riguardo alla storia personale dell’omicida. In un panorama affollato come quello del crime tv show, la riflessione sulla definizione di sequential o serial killer è inusuale.

Va riconosciuta anche la non banale e rassicurante caratterizzazione del protagonista. Holden instaura un dialogo con l’assassino, provocandolo se necessario e imitandone il linguaggio volgare e sessista. Tuttavia, non si riduce mai al cliché del detective con una passione morbosa per gli omicidi (come Sherlock) o che perde la testa in una relazione malsana con il carnefice, alla Hannibal. Si attiene al fine scientifico dei suoi incontri senza subire una ricaduta (non immediata, almeno) sulla sua stabilità mentale.

MINDHUNTER

Mindhunter è un serie cerebrale e sofisticata in cui rispetto al sangue e alla violenza prevalgono la parola e la riflessione. Riferimenti alla psicologia o alla sociologia impreziosiscono i discorsi sul rapporto problematico degli assassini con un genitore assente, evidenziando l’importanza ricoperta dai primi anni di vita nella formazione dell’identità. Anche i killer agiscono ormai poco e parlano molto: alcuni lamentano complotti, altri, invece, ricordano con sorprendente lucidità i fatti passati e riflettono sui possibili motivi delle loro azioni.

Risulta evidente e ben riconoscibile l’impronta, nel soggetto e nell’estetica, del produttore esecutivo David Fincher, che ha diretto quattro dei dieci episodi della serie: la fotografia grigiastra ma non troppo opprimente ricorda Millennium – Uomini che odiano le donne, il confine tra malattia e atto cosciente veniva esplorato anche in Gone Girl, mentre la discussione prevaleva sull’azione in Zodiac, con cui Mindhunter condivide anche l’ambientazione negli anni Settanta.


CREDITI

Copertina © Patrick Harbron

Immagine

 

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