Un quindicenne di origine siriana, erede dei grandi sacerdoti di Emesa, più attento alla religione che all’amministrazione statale, viene acclamato alla guida dell’Impero romano nel 218 d.C.. Famoso col nome di Elagabalo, ottiene l’imperium grazie alle macchinazioni delle ambiziose donne della propria famiglia, le stesse che quattro anni dopo ne sanciranno la rovina.
Matriarca di queste astute principesse è Giulia Mesa, che si avvicina al potere quando la sorella maggiore, Giulia Domna, viene concessa in sposa a Settimio Severo. Il legato africano approfitta dell’unione con la prestigiosa casa degli officianti del culto del dio Sole per avere il sostegno di una provincia ricca e popolosa e farsi acclamare imperatore in anni di forte instabilità del trono. Tuttavia l’accurata pianificazione di Severo per garantirsi una successione si frantuma contro le aspirazioni del primogenito Caracalla, che uccide il fratello Geta per non dover dividere con questi il potere. Ma il nuovo imperatore viene a sua volta assassinato dal prefetto del pretorio Macrino, che assume il titolo augusteo.
A questo punto però, se Giulia Domna si lascia morire di fame ad Antiochia, a non rinunciare alle ambizioni imperiali è la sorella, il cui nipote Vario Avito Bassiano, spacciato per figlio di Caracalla per legittimarne le rivendicazioni, ha già ereditato l’autorevole titolo di gran sacerdote di Emesa. Proprio da questo suo ruolo deriva il soprannome con il quale è più noto il vincitore di Macrino: Elagabalo, da El-Gabal, “dio-montagna” il cui culto siriaco ha uno spiccato carattere solare. E tale è la devozione del nuovo Augusto che questi protrae per un intero anno la processione che da Antiochia lo conduce a Roma assieme al suo idolo, un meteorite nero conoidale davanti al quale il sovrano danza nelle cerimonie religiose. Proprio per dare al dio una degna collocazione e trapiantarne il culto a Roma, viene eretto sul Palatino un tempio nel quale sono raccolte anche le icone delle divinità tradizionali, ma col chiaro intento di subordinarle alla devozione per Sol Elagabalus.
Tuttavia l’eccentricità dell’imperatore fa gridare allo scandalo i cittadini della capitale: non solo egli sconvolge il pantheon romano, ma, nel tentativo di replicare l’androginia del proprio dio, ambigui e infamanti sono anche i suoi comportamenti sessuali. Egli sposa cinque donne, tra le quali, in virtù del proprio pontificato, una vergine Vestale; inoltre celebra pubblicamente l’unione con due uomini e si prostituisce come travestito nelle taverne della città. Simili notizie ci sono tramandate da storiografi come Cassio Dione ed Erodiano, quindi dal punto di vista della casta senatoria che la dinastia dei Severi ha duramente svalutato e che è detentrice di quel conservatorismo che non può tollerare gli stravolgimenti che Elagabalo cerca di introdurre nella società romana, pena la corruzione del mos maiorum.
D’altro canto gli diventa ostile la stessa famiglia reale, che non vuole perdere potere assecondando le sue impopolari scelte: dopo aver convinto Elagabalo ad adottare il cugino Severo Alessandro, proprio la madre di questi, Giulia Mamea, commissiona l’assassinio del nipote. La congiura trova compimento nel marzo 222 per mano dei pretoriani e le modalità della morte dell’odiato imperatore costituiscono, secondo le fonti, la riprova della sua viltà: viene ucciso tra le braccia della madre mentre cerca di nascondersi in una latrina. Quindi, decapitato e gettato nel Tevere, viene destinato alla damnatio memoriae, mentre al suo posto viene acclamato il ben più rassicurante Alessandro.