Si chiude in questi giorni una mostra veramente notevole, sia sul piano curatoriale che contenutistico, nell’attuale panorama milanese di mostre accademiche, misere troppo spesso in entrambi i sensi.
Questa mostra riesce invece a essere istruttiva senza però cadere nell’accademismo, grazie al magnifico lavoro compiuto dalla curatrice Beatrice Bentivoglio-Ravasio del Segretariato regionale del Ministero per i beni e le attività culturali per la Lombardia.
L’esposizione colpisce tutti i sensi del visitatore, portandolo a vivere un’esperienza estetica intensa attraverso una disposizione delle opere che cerca un dialogo sia tra di esse, che con il luogo stesso che le ospita. La mostra è stata allestita al piano nobile di Palazzo Litta, che con i suoi affreschi settecenteschi, gli stucchi d’oro, le antiche specchiere e tutto lo sfarzo di una nobile residenza milanese, al tempo stesso fa da contraltare e da elegante cornice alle opere d’arte contemporanea della cosiddetta collezione Arte Liberata.
La collezione Arte Liberata è un insieme di sessantanove opere d’arte assemblate all’incirca intorno agli anni Novanta, di un valore pari a tre milioni e mezzo di euro, appartenute a Pietro Paolo Arona, il quale nel 2008 fu coinvolto in un’inchiesta con l’accusa di «associazione a delinquere diretta a svolgere attività di riciclaggio e abusivismo finanziario». In quell’occasione gli venne sequestrato il nucleo d’opere d’arte in questione, che venne affidato all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la quale si rivolse poi al sopracitato Segretariato regionale. Solitamente i beni mobili confiscati dallo Stato vengono venduti e i proventi vengono raccolti nel Fondo Unico di Giustizia o, se si tratta di opere d’arte, possono essere affidate a istituzioni culturali statali. La qualità, l’unità e il pregio di questa collezione hanno però richiesto questa volta di condurre una nuova riflessione riguardo al riutilizzo dei beni sequestrati. L’obiettivo era quello di mantenere unita la collezione e farla diventare un esempio tangibile della vittoria dello Stato sulla criminalità organizzata, attraverso la restituzione ai cittadini di un bene collettivo.
Questo è però solo il racconto di alcune delle opere d’arte acquistate grazie ai proventi del malaffare. Come ha osservato il segretario regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Lombardia, Marco Edoardo Minioja,
«è noto infatti come il mercato dell’arte contemporanea sia alimentato oltre che da istituzioni, appassionati e collezionisti anche da grandi investitori di capitali nazionali ed esteri per i quali l’opera d’arte del XX secolo rappresenta un bene rifugio di grande appeal e prestigio sociale».
La questione oggi dunque è: una volta recuperate – o meglio – liberate queste opere d’arte, dove collocarle per far in modo che tutta la collettività ne possa godere e che esse propaghino per l’Italia un messaggio istruttivo in favore della legalità e del senso civico? È così nata l’idea di creare un Polo o Padiglione per l’Arte Liberata, un luogo d’esposizione e al tempo stesso un centro studi rivolto al complesso tema del rapporto fra arte e criminalità. Si spera che il centro possa nascere a breve a Milano, in un edificio anch’esso sequestrato alla criminalità organizzata; fino ad allora la collezione Arte Liberata sarà comunque visibile alla Civica Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, che ha dato la sua disponibilità per ospitare e valorizzare le opere sequestrate.
Visita alla mostra
Catalogo della mostra: Arte Liberata. Dal sequestro al museo. Storia di una collezione confiscata in Lombardia, a cura di Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Scalpendi Editore, Milano, 2018
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