Il Pacta Salone Milano completa la sua ricca stagione con la messa in scena di uno spettacolo riflessivo e aggressivo. La commedia della vanità è la nuova produzione della compagnia, una commedia di Elias Canetti, scrittore, Premio Nobel per la Letteratura nel 1981. La regia, di Annig Raimondi, presenta la collaborazione con il progetto “Ri-Costruzione”. L’obiettivo è coinvolgere in progetti artistici pazienti con disabilità che, in questo caso, hanno contribuito alla realizzazione di parte della scenografia. Lo spettacolo va in scena 25 anni dopo la morte di Elias Canetti perciò, oltre a toccare salienti tematiche contemporanee, commemora uno dei letterati più importanti del 1900.
Elias Canetti nacque in una famiglia di ebrei nel 1905 in Bulgaria e viaggiò molto per l’Europa. Visse negli anni della dominazione nazista e della seconda guerra mondiale. Per questo motivo, tematiche civili e sociali inerenti al contesto storico affiorano abbondantemente nelle sue opere. In particolare, rilevante è Autodafè, un romanzo che intavola una riflessione sul totalitarismo. L’argomento venne successivamente ripreso dallo scrittore e portato avanti grazie a opere teatrali o saggistiche, come Massa e potere o La commedia della vanità.
La commedia della vanità appartiene agli esordi dello scrittore. Le tematiche trattate, a distanza di quasi un secolo, sono oggi vivi argomenti di dibattito. L’opera fu scritta nel 1934, pubblicata nel 1950 e messa in scena per la prima volta nel 1965. In una realtà distopica un governo totalitario/ dittatoriale vieta il culto della vanità. Una legge ordina l’eliminazione di qualunque strumento debito a mantenerla in vita. Così specchi, fotografie, devono essere raccolti e gettati in un rogo: l’obiettivo è rendere le persone impossibilitate all’osservazione di sé stessi. Tuttavia, il progetto che avrebbe dovuto migliorare le condizioni di vita della popolazione, si trasforma in un incubo catastrofico. L’eliminazione dell’assidua ricerca di apparenza, la mercificazione dell’estetismo, ha condotto alla degenerazione di usi e costumi della società. Annig Raimondi, a questo proposito afferma:
[Questo] è un tema di grande attualità in un’epoca di inflazione di immagini. Tuttavia, la proibizione otterrà l’effetto opposto per il fascino del proibito.
In effetti, la proibizione del vizio non ha che incrementato il desiderio del vizio stesso. Le azioni criminali e illecite, infatti, sono cresciute a dismisura: ladri vagano nelle strade, truffatori offrono l’utilizzo di specchi previo pagamento di un’ingente somma di denaro. Sono sorte le case di tolleranza dell’immagine, un chiaro rimando alle case di tolleranza, meglio conosciute come case chiuse. In questa fantastica visione, le donne sono sostituite da specchi e gli uomini sono disposti a pagare alte cifre per avere la possibilità di contemplarsi per pochi minuti. Più in generale lo spettacolo, tramite spaccati della società, rappresenta frammenti di ambienti e situazioni che dimostrano la crisi “esistenziale” provocata dalla proibizione. Le scene si sovrappongono una dopo l’altra: sono molto brevi e il ritmo è concitato, producono un disorientamento nello spettatore, che si trova immerso in un elevato numero di vicende, ma in un lasso di tempo ristretto.
Molte scene si ripetono durante lo spettacolo, come una sorta di ritornello. Più di una volta, ad esempio, corpi indefiniti si gettano sul palco, cadendo a terra: sembrano degli spiriti, dei fantasmi vaganti. Rappresentano chiaramente il popolo degradato a causa della proibizione. Le ambientazioni sono, invece, parecchio variabili: quadretti famigliari e comici si alternano a spaccati rappresentanti il potere o, più generalmente, la società. Rispetto ai personaggi di Canetti, gli attori sono ridotti. Per questo, ciascuno è spesso coinvolto in più dinamiche interpretative, scelta che aumenta l’aleatorietà della rappresentazione e il senso di confusione. Il rifiuto di una trama lineare e di personaggi fissi incrementa la sensazione di caos, in modo mimetico all’ideologia espressa dalla commedia: il deterioramento dell’immagine si riflette, infatti, nella distruzione dell’impianto tradizionale dello spettacolo teatrale.
La scenografia è parecchio colorata, come i costumi. Questo provoca un effetto stridente rispetto alla trama dell’opera che, nostante presenti un finale comico, è cupa. L’effetto è quello di uno spettacolo grottesco, satirico. Rilevante a questo proposito è la scena del rogo: Canetti, ispirandosi a quello dei libri del 1933 operato dai nazisti a Berlino, immagina un rogo di immagini e fotografie. L’operazione in cui è coinvolto l’intero popolo provoca un piacere condiviso, al punto da essere celebrata una festa. Per questo La commedia della vanità assume una connotazione anche politica, illustrando la corruttibilità dell’uomo di fronte a un potere dittatoriale e la facile influenzabilità di un popolo. La lingua è ridotta ai minimi termini: ogni personaggio è caratterizzato da espressioni tipiche e ripetitive. Caratteristica di Canetti è, infatti, la “maschera acustica”. Lo scrittore mima sulla carta le attitudini linguistiche dei personaggi, senza abbellimenti letterari o mediazioni.
La commedia della vanità mette in scena l’estremismo della società dei consumi. Non è una novità affermare che l’uomo si sia da sempre presentato al mondo attraverso l’immagine di sé stesso, proiettando sull’altro il riflesso della stessa immagine. Tuttavia nella società corrente, ciò è condotto alle estreme conseguenze: la diffusione della pubblicità, dei media e il culto dell’estetica hanno inevitabilmente posizionato l’uomo sotto continui e perpetui riflettori. Ciascuno, ogni giorno, è chiamato alla messa in scena di sé stesso e la vita si è trasformata in un’eterna rappresentazione. La privazione, quindi, di ciò che ormai si è saldamente affermato come “fondamento sociale” non può che condurre al caos più assoluto, a quello spaccato di vita distopico ben rappresentato dalla commedia. Claudio Magris, nella prefazione dell’opera sostiene:
Il grande tema che ricorre in tutta l’opera di Canetti è l’abnorme difesa dell’io contro tutto ciò che minaccia la sua precaria e fittizia consistenza. […] L’opera di Canetti è una parabola, visionaria e lucidissima, del delirio autodistruttivo cui si è votata, nel nostro secolo, la ratio occidentale, sotto l’incalzare della sua crisi.
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