Davos, seicento ragazzi in marcia per l’ambiente

Tre giorni di marcia tra le Alpi svizzere, per un totale di cinquanta chilometri (poi allungatisi fino a sfiorare i sessanta), una colonna di circa seicento ragazzi, sacchi a pelo e zaini immensi. Ma anche musiche cantate in tutte le lingue e tanta solidarietà. Se Donald Trump ha deciso di raggiungere Davos, località alpina svizzera dove ogni anno si tiene il World Economic Forum, non con uno ma con ben sette elicotteri (ironico, considerando che il filo conduttore del Forum fosse la sostenibilità), ragazzi provenienti da ogni parte del mondo hanno invece optato per un corteo che avrebbe dovuto raggiungere Rathausplatz nel giro di trentasei ore.

L’obiettivo di questa marcia? Far sentire la propria voce ai potenti del globo, ricordare l’urgenza del cambiamento climatico. Perché se il 2019 è stato l’anno degli incendi in Siberia, Amazzonia e Australia, esso verrà ricordato anche per il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul Clima. Ecco quindi che centinaia di millennials – ma non solo –  scendono in piazza preoccupati per il proprio futuro, dimostrando di saper osservare il mondo che li circonda con occhio critico.

Gran parte del gruppo si è ritrovata venerdì 18 gennaio a Zurigo, e ha pernottato in una Chiesa ortodossa sconsacrata. La marcia vera e propria è iniziata il giorno successivo, e ha visto i ragazzi percorrere undici chilometri a piedi, da Landquart a Schiers. Il secondo giorno è stato più duro: il corteo ha raggiunto Klosters dopo ventidue chilometri di marcia. Martedì 21 gennaio, data di inizio del Forum, terza e ultima tappa: Davos, quattordici chilometri più avanti.

Alice Franchi e Greta Sternai

Ma chi sono questi ragazzi che hanno marciato per far sentire la voce del pianeta? Gruppi molto diversi tra loro hanno collaborato all’iniziativa. Primo tra tutti Fridays for future, i cui membri sono arrivati prevalentemente da Italia, Svizzera e Germania. Ma anche Extinction Rebellion, che ha portato rappresentanti provenienti dalla Spagna; nonché gruppi di anarchici e socialisti. Durante la prima giornata anche alcune famiglie svizzere si sono aggiunte alla marcia, mentre diversi giornalisti li hanno accompagnati per tutti e tre i giorni di cammino. C’erano anche Greta Sternai, classe 2002, e Alice Franchi, diciannove anni, entrambe esponenti di Fridays for Future Pistoia, che abbiamo intervistato per farci raccontare la loro esperienza.

Che cosa ha spinto due ragazze della vostra età a diventare attiviste per il clima?

Scendo in piazza perché è importante che i giovani si rendano conto del mondo che li circonda.

Risponde Alice, aggiungendo che il primo anno di studi universitari, facoltà di Economia dello Sviluppo, l’ha spronata molto in questo senso. Sicuramente anche la preoccupazione per il futuro che la attende gioca però un ruolo importante. Greta frequenta invece ancora il liceo, classico per l’esattezza, ma ha le idee chiare: avere un gruppo in cui identificarsi è importante, aiuta a far passare un messaggio diretto, riconoscibile, che si imponga alle orecchie degli adulti.

Che cosa vi ha maggiormente colpito dell’esperienza?

“La solidarietà rispondono le due, quasi in coro. Alla marcia erano presenti giovani di tutte le nazionalità: svizzeri, tedeschi, francesi, spagnoli… Dalla toscana sono arrivati in sette, di cui cinque dalla sola Pistoia, ma l’Italia è stata rappresentata anche da sardi, milanesi, torinesi, umbri e romani. Eppure, racconta Greta, in quell’occasione ogni differenza linguistica e culturale è scomparsa, e neppure le divisioni politiche hanno avuto voce di fronte all’obiettivo comune. I pranzi e le cene sono stati i momenti di maggior comunione: i volontari distribuivano il cibo e a turno si lavavano i piatti, non solo i propri ma anche quelli di chi ti stava di fianco. “La seconda sera ci siamo accorti che a noi italiani mancavano dei sacchi a pelo, e alcuni tedeschi non hanno esitato a prestarci le loro coperte” spiegano. Inoltre i ragazzi hanno realizzato svariate interviste ai loro compagni di viaggio, esponendosi in prima persona e confrontandosi sulle proprie esperienze. A Klosters poi, sono state realizzate addirittura delle conferenze, per metà in tedesco e per metà inglese.

E’ emerso un estremo bisogno di condivisione.

Svela Alice. Senza limiti di lingua, a prescindere dalle relative fazioni politiche.

E’ andato tutto come previsto o sono emerse delle difficoltà?

“Non appena siamo arrivate a Zurigo gli organizzatori ci hanno informate che il terzo e ultimo giorno di marcia, quello che ci avrebbe dovuti portare a Davos, non era stato autorizzato” risponde Greta. Difatti, se durante le prime due giornate di camminata la strada Cantonale svizzera, utilizzata dai manifestanti, era affiancata da un’altra strada più frequentata su cui era stato dirottato il traffico, lo stesso non valeva per l’ultimo tratto di strada. La Cantonale è l’unica via di accesso a Davos, impossibile da chiudere per le autorità svizzere, in modo da permettere al corteo di passare. I giovani hanno così deciso di raggiungere il Forum sfruttando sentieri di montagna, e hanno marciato nella neve per oltre dieci chilometri in più rispetto a quelli quelli previsti. Le difficoltà non sono però finite qui: i sentieri, infatti, attraversavano un parco naturale protetto, che ha costretto i manifestanti a continue deviazioni. Alla neve e alla stanchezza va aggiunta infine un’altra difficoltà: il dislivello.

A questo punto ci era chiaro che non avremmo mai raggiunto Davos entro mezzogiorno, come da programma, e capimmo che non avremmo fatto in tempo a partecipare alla manifestazione organizzata in città da altre centinaia di ragazzi.

Sapendo che sarebbero arrivati a Rathausplatz a manifestazione terminata, un timore si è fatto strada nel corteo: che la loro marcia restasse inascoltata. Settanta chilometri in tre giorni, nella neve, destinati a essere dimenticati. Alcuni ragazzi hanno quindi deciso di reagire, di fare qualcosa per avere più impatto. In circa centocinquanta hanno deciso di istituire un blocco stradale sulla Cantonale, impedendo agli automobilisti di raggiungere Davos. Il resto del gruppo è rimasto in attesa per più di un’ora, prima di poter riprendere il cammino.

Rallentati dalle numerose deviazioni e dal blocco stradale, invece che a mezzogiorno i ragazzi hanno raggiunto Davos alle cinque di pomeriggio. Come prevedibile, la manifestazione era già finita, il Forum iniziato. Non c’era nessuno ad attenderli in città. Non è rimasto loro che raggiugere la stazione ferroviaria (o quella degli autobus) per tornare alle rispettive case.

Ad affiancare i giovani nel loro cammino c’è stato anche un team di legali, che ha stabilito misure preventive per tutelare i manifestanti, e ha risposto ad ogni loro dubbio o domande. Lo racconta Greta:

Ci hanno detto di mettere il blocco schermo al telefono, e di non registrare interviste per timore che ce le sequestrassero. Di non preoccuparci, perché anche se ci avessero arrestati non ci avrebbero potuto trattenere troppo a lungo. Fino a pochi giorni fa ho avuto il numero di un avvocato scritto su un braccio, quasi fosse tatuato.

Come siete stati accolti dalla popolazione locale?

In generale si può dire che l’atteggiamento degli svizzeri fosse tanto più amichevole, quanto più i ragazzi lontani da Davos. A Zurigo, nello stupore generale, in moltissimi non sapevano nulla della marcia. Durante il primo giorno invece alcune famiglie si sono unite alla loro camminata, in tanti si sporgevano dalle finestre di casa per salutarli, e i manifestanti hanno ricevuto molto supporto. Ma, più si avvicinavano a Davos, più l’atteggiamento diventava invece ostile. Ovviamente, l’episodio più spiacevole è stato quello del blocco, gli automobilisti non sono stati molto felici di essere rimasti fermi per più di un’ora, arrivando ad insultare i partecipanti.

La vostra iniziativa ha riscosso il successo sperato?

Siamo rimaste deluse dal silenzio mediatico con cui la marcia è stata accolta in Italia.

Esclama Alice. Se da un lato non solo in Svizzera, ma anche in altri Paesi europei, il corteo ha avuto una certa rilevanza sui giornali e sui social media, lo stesso non si può dire per il nostro Paese. Non è certo un caso che i giornalisti accompagnatori dei ragazzi fossero tutti stranieri. L’interpretazione che dà Alice del fenomeno è chiara: tutta la questione ambientale è circondata dal silenzio mediatico. Si parla di clima solo in casi eccezionali, come gli incendi in Amazzonia, spesso per creare allarmismo inutile. Inoltre, il movimento di Fridays for Future non è contaminato da interessi economici, al contrario della politica e dei giornali. Greta aggiunge che la questione ambientale non è piacevole, perché ognuno è colpevole, e per un lettore sentirsi responsabile non è certo bello. Per questo la preoccupazione per l’ambiente emerge solo in caso di manifestazioni o altri eventi notevoli.

In generale però, quello che traspare dalle due ragazze è la soddisfazione di aver partecipato a qualcosa di grande, anche se hanno dovuto ingoiare qualche delusione. L’incontro con giovani provenienti da tutto il globo, il superamento dei confini linguistici, culturali e politici in vista di un obiettivo comune non ha prezzo. La loro esperienza testimonia che Fridays for Future, il cui simbolo internazionale è diventata Greta Thunberg, è formato da migliaia di millennials che guardano al futuro che presto sarà nelle loro mani con una consapevolezza rinnovata. La voce di questi ragazzi costringe tutto il mondo a mettersi di fronte alla realtà, a porsi domande, a cercare soluzioni. Donald Trump ha definito gli attivisti “profeti di sventura”, ma la polemica è inutile. Non si può che stimare questi ragazzi, spesso giovanissimi, che si mettono in discussione in prima persona, sottoponendosi a critiche spesso infondate, per il bene del nostro pianeta.

 

FONTI:

Intervista a Greta Sternai e Alice Franchi

www.ansa.it

www.swissinfo.ch

CREDITS:

Copertina by Greta Sternai

Immagine 1 by Greta Sternai

Immagine 2 by Greta Sternai

Immagine 3 by Greta Sternai

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