Ipocondria, cybercondria e preoccupazione indotta

Alcuni la definiscono “la malattia che non c’è”, un’idea che si sviluppa in modo ossessivo nella mente e da sospetto diventa minaccia. Un chiodo fisso meramente mentale che nel tempo si concretizza fino a diventare l’origine di malattie che prima si immaginavano solo per ipotesi. L’ipocondria – dal greco hypokhóndria (ipocondrio), ossia la “regione nella quale si presumeva avesse sede la malinconia” – si identifica oggi, in ambito medico, con “la preoccupazione eccessiva e infondata riguardo la propria salute, tanto che qualsiasi sintomo fisico, anche lieve, viene interpretato come segno di patologia“.

Da molti ridotta a semplice “fissazione”, in realtà l’ipocondria arriva a toccare fino al 10% della popolazione ed è ugualmente diffusa tra uomini e donne, il che non la rende affatto una malattia di genere. I sintomi di questa malattia propriamente mentale sono le evidenti manifestazioni ansiose a riguardo della propria salute, come un’attenzione esagerata nei confronti del proprio corpo, con i falsi allarmi che ne possono derivare, e l’eccessiva prevenzione che il soggetto decide di adottare al fine di evitare il rischio di incorrere in alcuni temibili disturbi. Non è raro infatti che gli individui soggetti si rifiutino di farsi visitare da un medico o decidano di non mettere piede in un ospedale (assoluto diniego di assistenza medica), così com’è vero il suo contrario, cioè che altrettanto spesso i soggetti si dedichino a un’assidua frequentazione delle sale d’attesa di ambulatori in cerca di quel malessere che si sente ma non c’è (esagerata richiesta di controllo medico). Sebbene ad oggi si siano stabiliti certi collegamenti tra l’ipocondria e altri disturbi come quelli d’ansia e depressivi, è appurato che l’ipocondria, a differenza degli altri, presenti una sintomatologia minima: l’unica manifestazione fisica è proprio l’ansia.

Se fino a pochi anni fa questa forma di preoccupazione estrema si riconduceva a cause come traumi in età infantile o eventi dolorosi accaduti in età adulta che imprimevano nel soggetto un’immagine della malattia assai più minacciosa del normale, di recente si è ipotizzato che questo fenomeno si sia diffuso maggiormente in epoca contemporanea a causa della dilagante e radicata convinzione dell’uomo di poter affrontare, e talvolta sconfiggere vittoriosamente, qualsiasi tipo di ostacolo che la natura gli presenti. Non solo l’uomo in questi secoli si è liberato, o quasi, dei resti di quella “medicina magica” di pietre ed erbe, ma si è armato di scienza: quella scienza che tutto può e tutto deve fare, quell’arma che è fatta dall’uomo per l’uomo e contro la morte, e quindi, se vogliamo, proprio contro la natura che a quello stesso uomo ha dato vita. E quindi cosa c’entra con l’ipocondria di oggi? Ebbene, tutto. Non esiste niente di peggio della convinzione di non fallire: non considerare la possibilità di un no come risposta è, da un lato, quello che sprona tanti a scoprire soluzioni da Nobel, ma è anche quello che illude la maggior parte delle persone di poter controllare tutto. La vera malattia è il controllo:  quale miglior mezzo di Internet per dominare il mondo dal palmo della propria mano?

È proprio così che nasce la versione 2.0 dell’ipocondria, una malattia che soltanto il mondo di oggi può permettersi di avere: la cybercondria, ovvero l’ansia creatasi per la salute come specifico frutto di ricerche condotte sul web dagli stessi individui soggetti e correlate per la maggior parte dei casi a una semplice sintomatologia generale e sprovveduta che il paziente non è in grado di discernere. Che avvenga per cercare conforto e rassicurazione o nel tentativo di escludere ogni dubbio attraverso una diagnosi fai da te, la ricerca porta paradossalmente ad aumentare la preoccupazione angosciante o al contrario a minimizzare per paura di incorrere in ciò che fondamentalmente nessuno vorrebbe mai sentirsi dire. Il nemico immaginario, tuttavia, è sempre in agguato, e per chi ne soffre la vita è tutt’altro che semplice: questa “epidemia psicologica (…) crea somatizzazioni reali, abbassa le difese immunitarie e alla fine fa ammalare veramente”, secondo quanto riportato nell’intervista di Ambrosi a Nardone.

Ci si chiede come mai, allora, questa malattia sia diventata autentica solo ora, con peso e specificità mai avute prima e con una “formalizzazione tecnica e insieme operativa” sviluppatasi a velocità accelerata: ebbene, il “quarto potere” ha fatto la sua parte. Complottisti o no, le persone che si affidano con buone intenzioni ai mezzi di comunicazione, cartacei e non, sono bersagliate con precisione e ripetutamente da notizie scelte – che possono pur sempre essere vere – ma che, se del tutto non immesse nel giusto contesto, rischiano di stravolgere la verità dei fatti. Le cause di una malattia e di conseguenza le sue soluzioni vengono appositamente filtrate da chi sa meglio amministrare i giochi e tra questi “sobillatori del terrore” spicca l’abbinata colossi farmaceutici-mezzi di comunicazione. L’obiettivo? Per i primi, alzare i livelli di minaccia sottolineando solamente i casi estremi di una malattia e facendoli diventare la linea standard della stessa, che in questo modo viene demonizzata agli occhi dell’individuo che vuole difendersi; per i secondi le ipotesi sono numerose, ma la fondamentale è sicuramente il potere di manovrare l’attenzione del pubblico verso gli argomenti che si preferisce evidenziare così da nascondere quelli più scomodi.

Purtroppo, ciò che sarà dato sapere al pubblico è e sarà sempre solamente l’estrazione finale di una vastissima rete di fatti che, per motivi politici, economici e sociali, vengono taciuti a chi legge, a chi ascolta e a chi vorrebbe davvero capirci qualcosa. Che la verità sia data per intero o solo parzialmente, non bisogna dimenticare di prenderla sempre con le pinze, soprattutto in periodi critici in cui l’informazione, o meglio la disinformazione, si fa dilagante. Tenendo presenti queste premesse, va però ricordato a tutti coloro che cercano la verità il compito e il privilegio che essi possiedono, ovvero poter scegliere a quali fonti attenersi per orientare la loro decisione: sta a chi legge e a chi ascolta trovare le fonti attendibili realizzate o condivise da coloro che lavorano per rendere il web un posto più “ecologico” e distinguere tra queste e le fake news.

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