Siamo a Seveso (MB) e, tra le pareti dei Phaser Recording Studios, abbiamo intervistato i Frogg. La loro formazione attuale risale al 2018, con la voce di Letizia Merlo, le chitarre di Davide Silva e Luca Bisio, il basso di Federico Medana e la batteria di Mattia Santobuono. Ed è quest’ultima che accompagna lo sfondo dell’intervista, mentre Mattia viene ripreso per un video promozionale. Intanto, noi lo aspettiamo nell’altra stanza e parliamo con Davide, Luca e Federico. Letizia, purtroppo, non è potuta essere presente.
Davanti a noi dei ragazzi giovani, talentuosi e con tanta voglia di fare. Lo dimostra il loro ambizioso album d’esordio, The Golden Path, uscito su Spotify il 19 giugno. Si tratta di un concept album, tratteggiato sulle note del genere musicale progressive metal e improntato alla narrazione musicale del Fregio di Beethoven (1902) di Gustav Klimt. Quest’ultimo conservato lungo tre pareti al Palazzo della Secessione di Vienna.
Proprio lì, il giorno dell’inaugurazione, l’opera fu accompagnata dalla Nona Sinfonia di Beethoven. Così la sua tripartizione tematica ne L’anelito della felicità, Le forze ostili e L’inno alla gioia, non può che abbracciare un’interpretazione musicale. Ed è quello che hanno fatto i Frogg, con bravura, dedizione, ma senza mai prendersi troppo sul serio! Lasciamo quindi che siano loro a parlarcene.
Partiamo da voi. Qual è l’origine del nome Frogg e come vi siete conosciuti?
DAVIDE: In realtà è la prima cosa che ci chiedono tutti, però è forse la risposta che delude più di tutti quante.
FEDERICO: Sì perché una sera ci è venuto in mente un gioco di parole un po’ stupido, di Frogg, simile a Prog, ma con una G in più, che è sbagliata. E, dal momento che molte delle cose che suoniamo sembrano sbagliate, ma non lo sono… Frogg. Di fatto è solo questo. Era perfettamente coerente con tutto, ed è rimasto così.
DAVIDE: Dà anche un po’ un’idea di un lato, se vuoi, della band, anche abbastanza importante. Noi non ci prendiamo mai troppo sul serio. Sai com’è, se un lavoro del genere diventa troppo serio, poi rischia anche di diventare frustante. E poi sta di fatto che il nome un po’ stupido ha anche attirato l’attenzione, perché Luca di recente ha partecipato a un podcast australiano assieme alla nostra cantante, e ci hanno notati proprio per il nome.
FEDERICO: Inizialmente la band era molto diversa da adesso. Abbiamo avuto alti membri, sono andati via e siamo rimasti solo io e Santo. Poi abbiam tirato dentro Luca e Davide e io sono passato al basso. Il gruppo esiste dall’inizio 2018 con questa formazione. In realtà c’è da due anni prima, ma eravamo un gruppo che faceva le cover progressive rock. Non c’era proprio l’ambizione, il progetto che c’è adesso realmente. E niente, ora siamo inaspettatamente qua, così.
Avete citato il termine progressive. Ci dite di che genere si tratta e perché si presta così bene a parlare di arte e letteratura?
LUCA: Il progressive, che sia rock, che sia metal, è un genere di musica che si diverte a spaziare. È eclettico, ha tante sfumature, tante influenze. Ci piace ascoltarlo e siamo grandi fan e la musica che vogliamo suonare è questa. Quindi non vogliamo darci un genere specifico e stare nei canoni, ma ci piace fare canzoni lunghe, che sperimentino, che abbiano tante emozioni, no? Salgono e scendono, eccetera, ed è per questo che poi è giusto che raffigurino opere d’arte. Sono dei racconti, ci vuole dinamica.
DAVIDE: La cosa bella è che secondo me il termine progressive esprime al meglio quella che è l’attitudine del genere, che è un po’ l’estensione di quella di chi scrive musica classica. Alla fine è far progredire un tema in un altro tema, che si risolve in un altro. Sono composizioni lunghe, ma sono giustificate, molto spesso, anche da un sottotesto narrativo. Quindi il fatto di mettere in scena un’opera d’arte, piuttosto che una storia, è perfettamente connaturata al genere musicale, così come la musica è perfettamente connaturata a quello che si va a raccontare.
La struttura dell’album riflette la tripartizione dell’opera. Com’è avvenuto il processo creativo, in modo da evolvere in un progetto così coeso e unitario?
FEDERICO: Provando. È nato tutto qua, registrando con il telefonino le due ore di prove che facevamo settimanali. I pezzi migliori che ci venivano fuori molto spesso erano proprio così, di getto. Particolarmente la seconda parte (Hostile Forces), che è stata quella più impegnativa, di sicuro.
MATTIA: Eh sì decisamente.
LUCA: Eh, l’ha appena finita di suonare (ride). La cosa che ci è sempre andata di fortuna è che musicalmente ci siamo sempre seguiti naturalmente. Non abbiamo mai avuto problemi a incastrarci e a intenderci.
FEDERICO: Forse anche un po’ ignari di quello che sarebbe uscito alla fine. Perché prima ci guardavamo e dicevamo: ma che cazzo stiamo facendo? Bello, eh, però chi è che va a sentire questa roba?
DAVIDE: E infatti una cosa secondo me particolare, che a me colpisce sempre tanto, è vedere quanto sta piacendo questo lavoro, pensando a quanto poco sul serio abbiamo preso questa cosa.
MATTIA: Soprattutto quanto sta facendo Parte II, che dura quindici minuti. Su Spotify è quella che ha più salvataggi.
DAVIDE: Questa è proprio una cosa che non ci aspettavamo minimamente, perché abbiamo composto tutto in maniera molto sincera, improvvisando. È stato tutto molto libero.
La libertà interpretativa è legata a un tema specifico, che connota The Golden Path come un concept album. Da dove viene l’idea del Fregio e chi è il vostro Cavaliere che intraprende un viaggio tra le forze ostili?
MATTIA: È stato molto simpatico com’è venuta l’idea, perché io studio Beni Culturali in Statale e stavo facendo la prima lezione di arte contemporanea quando la professoressa ha messo sul video la parte centrale del Fregio di Beethoven. Erano comunque i primi tempi in cui avevamo deciso di fare qualcosa di nostro. L’ho seguita, mi sono messo a fare un po’ di ricerche ed è venuta l’idea, su cui abbiamo iniziato a lavorare e lavorare.
DAVIDE: Diciamo che avere il riferimento dei temi è stata forse l’unica cosa che ci siamo tenuti come modello mentre stavamo scrivendo la musica. Quando veniva fuori un riff ci chiedevamo sempre dove ci trovavamo all’interno del Fregio, cosa stava succedendo.
LUCA: Perché poi in special modo questo lavoro l’abbiamo fatto doppiamente per scrivere i testi. Li abbiamo scritti guardando il punto del Fregio e chiedendoci: qua cosa sta facendo il protagonista? E scrivevamo in prima persona.
DAVIDE: Il Cavaliere invece può essere un po’ chiunque. Una cosa che mi piace pensare è che un album del genere, così come un’opera del genere, si può rivolgere un po’ a tutti. Chiunque può rivedersi in questa persona, no? Poi c’è il contesto storico. L’opera di Klimt è stata scritta di fatto anche per fare una critica, perché comunque la Secessione Viennese si muoveva contro l’Accademia, ma anche contro il contesto politico, che era sempre opprimente. Di fatto Tifeo (ndr: il mostro che regna sulle Gorgoni nella parte centrale del Fregio) incarna un po’ questa figura perché rappresenta la società che vuole opporsi al cammino spirituale dell’artista o di una persona qualunque che vuole cercare sé stessa. Diciamo che al giorno d’oggi è molto attuale un discorso del genere, andando avanti con il consumismo e l’industrializzazione.
FEDERICO: Anche nel mercato della musica stesso, dove adesso tutti possono fare le cose. Non è più che ti selezionano tra mille e dicono “tu vai a registrare”.
DAVIDE: Poi sta anche alla base del concept L’inno alla gioia. Si parla sempre di quella prospettiva lì, di opera di arte, di esercizio dell’arte che eleva spiritualmente ed è una cosa secondo me che si collega alla scelta del genere. Noi suoniamo questo genere perché è quello che più ci corrisponde e ci fa sentire liberi nell’esercizio. Quella è la nostra passione e un po’ si completano a vicenda. Sentirla finita, soprattutto sentire il finale che è un po’ il coronamento del viaggio che fa questo Cavaliere, è stato appagante, anche quanto può essere stato per lui.
MATTIA: Che poi il finale è la prima cosa che abbiamo scritto.
FEDERICO: C’è anche un po’ la differenza tra esercizio di stile e prendere un riferimento e farlo proprio, forse. La cosa bella è che ce la porteremo dietro comunque nei prossimi anni. Almeno questa è la cosa che io sento personalmente, ma penso anche gli altri.
Guardando invece dall’altra parte dell’album, chi è il vostro pubblico di riferimento e soprattutto, come vi immaginereste un live?
MATTIA: Inizialmente lo facevamo per la nicchia, perché sulla nicchia vai sul sicuro. Poi a quanto pare piace a un po’ più che alla nicchia, quindi ben venga. Tendenzialmente la nostra musica è per nerd della musica.
LUCA: Sì di solito se fai progressive al 99% ti rivolgi a chi fa progressive o comunque lo ascolta.
DAVIDE: I Dream Theatre, ad esempio, sono i padri del genere e sono quelli che hanno fatto anche gli album più canonici. Però tendenzialmente i Dream Theatre piacciono ai loro fan e basta. Perché a parte le robe un po’ più semplici secondo me è qualcosa che apprezzi se sei proprio dentro il genere.
FEDERICO: Sicuramente la componente che porta Letizia amplia un po’ anche il possibile pubblico. Per esempio molti recensori parlano anche di note gothic.
DAVIDE: Secondo me il fatto delle note gothic è perché la figura della cantante donna è molto stereotipata nel genere metal. Perché i suoi modelli sono Dolores O’Riordan, piuttosto che Alanis Morrisette. Di fatto lei ha la voce più improntata su quello stile anni Novanta, Duemila, che di fatto ha anche portato nella nostra musica. È senz’altro una cosa interessante da sentire in un genere come il nostro, che non ha cantanti donne.
FEDERICO: È interessante notare come l’album piaccia soprattutto all’estero. Da noi diciamo che il Prog era popolare negli anni Settanta, adesso non esiste una scena da noi, quindi all’estero è sicuramente più gettonata la proposta. Se lo mandiamo in giro comunque c’è un buon riscontro, quello sì. Abbiamo anche un sito, Bandcamp, dove i sostenitori possono acquistare l’album dando un prezzo a piacimento.
http://https://www.youtube.com/watch?v=raQqT05Pa2I
DAVIDE: Perché adesso penso si faccia l’errore di promuovere troppo la propria musica, senza una vera prospettiva. Siamo stati un po’ più bassi sul finanziare questa cosa, in maniera più graduale, più mirata, e di fatto ci sono persone che adesso ci commentano tutti i post. E…la maggior parte sono sudamericane! Piacciamo un sacco in Sudamerica, in Brasile soprattutto.
FEDERICO: Per il live secondo me le strade sono due. O ogni volta che c’è un cambio di parete compare un elemento in più che qualcuno porta, diciamo, sul palco, così tu guardi e capisci che sta progredendo tutto. O se no, ci vorrebbe una specie di video animato, che si può fare, ma diventa dispendioso. Mai dire mai. È una componente a cui sicuramente pensiamo. Poi adesso non potendo suonare l’abbiamo messa un po’ da parte.
DAVIDE: O trovi un gioco di luci. In realtà non ne abbiamo mai parlato troppo seriamente, se dovessimo pensare di farlo seriamente come abbiamo pensato diventerebbe molto dispendioso e anche faticoso.
Ultima domanda. Progetti per il futuro? C’è qualcosa in cantiere?
LUCIA: Siamo sicuramente a buon punto con il nuovo album, che sarà un altro concept. Quello sicuramente.
FEDERICO: Ufficialmente ci lavoriamo da un paio di mesi.
MATTIA: Rilasciamo l’esclusiva? Si tratterà di Macbeth!
Con quest’ultima succosa esclusiva, lasciamo i Frogg e attendiamo con trepidazione il nuovo album. Se potessero descriversi con un aggettivo questo sarebbe curiosi o anche coraggiosi, perché ci vogliono entrambe le qualità per sperimentare, imparare e raccontare l’arte in maniera assolutamente unica e innovativa.
FONTI
Intervista dell’autrice ai Frogg
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