Tratto dal romanzo di Dennis Lehane “La morte non dimentica”, Mystic River è una pellicola del 2003 diretta da Clint Eastwood, acclamata da pubblico e critica e vincitrice di 2 premi Oscar su un totale di 6 nomination. Un film maturo, angosciante, dai toni particolarmente cupi; un film che il The Sun definì all’epoca “la miglior regia di Eastwood fino ad oggi”. Un progetto di scavo antropologico che pone al suo centro tre differenti tipi umani, manifesti viventi di possibilità esistenziali alla Sliding Doors.
Punto di rottura
È il 1975. In quel di Boston Sean, Jimmy e Dave stanno giocando per strada. Quando il loro disco di hockey in-line scompare in un tombino, i tre ragazzini, animati da una giovanile tendenza alla trasgressione, iniziano a scrivere il proprio nome nel cemento fresco di un marciapiede. La loro tranquilla quotidianità viene però sconvolta all’improvviso, quando una macchina si accosta loro e due uomini, fingendosi poliziotti, portano via il piccolo Dave.
Clint Eastwood colpisce con violenza, alla sua maniera. La pace apparente dei primi minuti è semplice pretesto per un incipit che non vuole illudere, bensì inserire lo spettatore all’interno di un’angosciosa spirale di violenza e vendetta. Il regista sceglie tre bambini, tre giovani anime ingenue, tre vite ancora all’inizio. Il disco di hockey si fa immediata allegoria di un’infanzia cancellata, catturata dal buio della fogna umana, falciata senza pietà da una vita che non perdona, fatta di lupi voraci e bestie fameliche. Dave si allontana, aggrappato al sedile posteriore di una prigione senza sbarre, gli occhi inquieti fissi sugli amici impotenti, ignari della tragica svolta della propria esistenza.
A volte penso che ci siamo saliti tutti e tre su quella macchina
Jimmy: la vendetta
Da sempre boss del trio, sfrontato, ribelle, il classico duro del gruppo. Una descrizione che fa drasticamente a pugni con lo sguardo inerme che Jimmy rivolge all’amico rapito, consapevole di non poterlo aiutare. Lo stacco netto sull’età adulta ci racconta di un Jimmy trasformato, gestore di un piccolo negozio, ma personaggio dai contorni ambigui e dal passato burrascoso. La sua storia si delinea poco a poco, in bilico tra occasioni di vita quotidiana, amicizie losche e dolore lancinante. Una vita all’insegna della rabbia, di una falsa quiete che tradisce desiderio di violenza. Una vita di errori, coscienza sporca e rassegnazione al buio opprimente di una società malata.
Dave: la paura
Colpevole fino a prova contraria. Sembra potersi riassumere in questi termini l’esistenza di Dave, maltrattato da bambino, costretto all’incubo della sevizia, demolito pezzo per pezzo nel suo candore irreversibilmente sporcato. La paura e la vergogna sue fedeli compagne. Vergogna per le colpe di altri, paura per una vita che sembra dominarlo costantemente, senza tregua alcuna. La macchina dei suoi predatori lo trasporta lontano; lontano dalla possibilità di essere felice, lontano da amicizie sincere, perfino lontano da se stesso. Ad attenderlo fuori dal terrore è una città grigia quanto la moralità di quanti la abitano, un groviglio di vie che tanto assomiglia al labirinto. Angusto luogo di perdizione, privo di punti di riferimento, dove ogni svolta può apparire fatale.
Sean: la giustizia
Sarà lo stesso Eastwood, qualche anno dopo, a dividere il mondo tra lupi, pecore e cani pastore. Una descrizione all’apparenza semplicistica, quasi esopica, eppure così tragicamente efficace. Una descrizione che, nel marasma umano di Mystic River, trova concretezza nei suoi tre protagonisti o, per meglio dire, nella loro versione adulta. Divisi dagli anni e dalle vicissitudini, i tre ragazzini diventano uomini. Jimmy si unisce al branco, Dave si fa pecorella smarrita, Sean dedica la sua vita alla difesa del gregge. Ma in un mondo spazzatura anche la legge si piega all’ingiustizia e cercare la verità diviene una pratica compiuta più per inerzia che per reale convinzione. Sean è immagine dolorosa di una legalità fittizia, di una società sbranata dai più forti. Un uomo perennemente costretto a rincorrere, frustrato dalla necessità di fare la cosa giusta in un mondo dove il male trionfa facilmente e i morti restano morti.
I fantastici 4
Mystic River è una pellicola dolorosa, specchio di tristezza e solitudine interiore, caratterizzata da una rara profondità psicologica e una sceneggiatura solida, ben costruita. Ad innalzare considerevolmente il tasso qualitativo del film sono le commoventi interpretazioni dei tre protagonisti. Un convincente Kevin Bacon spalleggia il fenomenale duo da Oscar formato da Sean Penn e Tim Robbins, autori di una prova straordinaria e di grande alchimia. A impreziosire il tutto è naturalmente la magistrale regia di un colosso come Clint Eastwood, impegnato a tratteggiare una realtà fredda e buia, ferita da crimine e crudeltà. Un’opera avvolta dal cupo simbolismo dei suoi dettagli, bagnata dalle acque mistiche di un fiume di emozioni, favoloso quadro di un mondo che di favole non sembra conoscerne.