A luce spenta
ho sparpagliato desideri per la stanza
e una volta finito mi hai detto
di non andare,
che c’erano ancora tuoni neri
e gialli sotto il letto.
Alla finestra, una luna appesa
da far cadere i monumenti.
I bisogni puzzano di cloro
e il cloro brilla di paura
e crema lunare
e c’è sempre un fenicottero in ammollo nel buio
di qualcun altro.
Sono rimasto
ai piedi del letto
facendo il morto
e vedevo la tua mano scendere
a cascata sul mio piccolo essere
uomo.
Poi qualcosa è rotolato verso il bordo.
Ho capito che era la tua testa
o forse la luna,
e che la tempesta dei letti
è una cosa seria,
perché sta sotto e non sopra
il pelo del buio.
Non c’è desiderio che tenga.
Mi hai supplicato parole d’amore,
parole da annegare i tuoni,
e mi son sentito rispondere che
amore è il nome che diamo
ai lenti corridoi delle statue infrante,
all’elastico della mutanda esausta
dietro il calorifero,
alla solitudine degli assassini
e a quella della notte
che senza di essi sarebbe più
sola.
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