Segregazione interiorizzata e bambole colorate: un esperimento sociale

Negli Stati Uniti, la segregazione razziale ha generato per lungo tempo una netta separazione della società tra coloro che detenevano il potere e coloro che venivano considerati “inferiori”. Questo divario era particolarmente sentito nel Sud del Paese, dove anche dopo la fine di tale segregazione è stato necessario molto tempo prima di poter garantire una convivenza pacifica tra bianchi e neri.

Per la verità, il razzismo sistemico insito nella società statunitense (ma non solo) sopravvive ancora oggi, come testimoniato recentemente dal tragico omicidio di George Floyd. Il movimento Black lives matter ha ribadito la necessità di porre fine alle discriminazioni di origine razziale, soprattutto da parte dei rappresentanti delle forze di polizia, che agiscono con violenza, colpendo con maggiore brutalità le persone sulla base del colore della loro pelle.

Tutto ciò è un lascito della storia americana, costellata dal razzismo fin dalla sua nascita. Purtroppo, a pagarne le conseguenze non sono solamente gli adulti, ma anche i bambini, che talvolta sono oggetto diretto di tali discriminazioni (come è accaduto alla piccola Ruby Bridges, una delle prime bambine di colore a frequentare una scuola che fino ad allora era riservata ai bianchi). Le conseguenze della segregazione affiorano anche sul piano psicologico, come emerge da un esperimento sociale definito “the doll test”.

Ma che cos’è la segregazione razziale statunitense?

Prima di parlare dell’esperimento delle bambole, tuttavia, è necessario fare un piccolo ripasso di storia americana. Nel 1776 prende piede la rivoluzione americana, dalla quale deriverà poi la guerra di indipendenza: gli americani non vogliono più essere una colonia dell’Inghilterra, bensì autogovernarsi, secondo il principio “tutti gli uomini sono stati creati uguali”. Tuttavia, tale uguaglianza non contempla gli individui di colore, che sono ancora dei veri e propri schiavi.

La schiavitù viene abolita dalla Costituzione americana solo al termine della guerra civile (1865) che aveva spaccato il Paese. Gli stati del Sud, sconfitti, sono obbligati a ratificare una serie di emendamenti che estendono la cittadinanza agli schiavi liberati e concedono loro il diritto di voto. Purtroppo, questi provvedimenti non portano affatto alla fine delle discriminazioni. Anzi, è proprio in questo momento storico che si sviluppa il concetto di segregazione, intesa come la separazione dei bianchi dai neri in ogni parte della società.

Innanzitutto, i diritti conquistati dagli ex-schiavi neri non sono sempre garantiti: molte volte, l’accesso al voto è limitato da una serie di clausole, in vigore solo per i cittadini di colore. Per intimidire gli afroamericani, nascono società segrete come il Ku Klux Klan, che incrementano il razzismo già esistente. Dal punto di vista legislativo, vengono emanati i “Black Codes”, leggi che limitano le libertà degli afroamericani, criminalizzando molte azioni quotidiane. Queste misure restrittive sono forti soprattutto negli stati del Sud, e portano a un graduale rafforzamento della supremazia dei bianchi.

Tuttavia, la responsabilità della segregazione sistematica nel Sud va imputata soprattutto alle cosiddette leggi Jim Crow. Con questo termine ci si riferisce a quelle leggi, locali e dei singoli stati, emanate negli USA tra il 1877 e il 1964 per mantenere la separazione di bianchi e neri, specialmente nei luoghi pubblici. È così che sorgono scuole differenziate, servizi igienici separati e un diverso accesso ai mezzi pubblici, sulla base del colore della pelle. Il principio è molto semplice: separati ma uguali. Peccato che la qualità dei servizi offerti ai neri fosse infinitamente peggiore rispetto a quella dei bianchi “uguali” a loro.

I coniugi Clark

Kenneth Clark

È in questo contesto che gli psicologi afroamericani Kenneth e Mamie Clark, marito e moglie, decidono di agire. Il loro obiettivo è mostrare la fallacia del principio di uguaglianza espresso poche righe fa ed evidenziare le conseguenze sul piano psicologico della segregazione. I coniugi hanno entrambi un dottorato in psicologia ottenuto alla Columbia University; Kenneth Clark vanta inoltre numerosi primati: tra questi, è il primo docente di ruolo afroamericano al City College di New York e il primo afroamericano Presidente della American Psychological Association.

Mamie Clark, nata Phipps, lavora attivamente sul tema dell’autocoscienza dei bambini afroamericani in età prescolare. I due si conoscono in ambiente accademico e iniziano a collaborare attivamente anche in ambito lavorativo. Nel 1946 fondano insieme un centro no profit per lo sviluppo infantile, il Northside Centre, che tratta bambini con disordini di personalità. Il centro di trova ad Harlem, città dove i bambini afroamericani sono oggetto di forte discriminazione.

I due psicologi sono profondamente convinti che quando i bambini vengono fatti sentire inferiori, danno risultati scolastici inferiori. Dunque, si interessano sempre più del tema della segregazione interiorizzata nei bambini e delle drammatiche conseguenze che essa porta con sé.

Il doll test: segregazione razziale e bambole

Come cambiare la società? Secondo i Clark, partendo dal mondo accademico. Per tale ragione, i coniugi delineano una serie di esperimenti che saranno importantissimi per la successiva abolizione delle leggi Jim Crow. Il più famoso è certamente il cosiddetto “test delle bambole”, che prende in esame 253 bambini neri di età compresa tra i tre e i sette anni, alcuni dei quali hanno frequentato le scuole materne segregate in Arkansas, altri le scuole integrate nel Massachusetts, e che dimostra la segregazione interiorizzata.

A ogni bambino vengono poste di fronte quattro bambole, tra loro identiche, tranne per il colore: due sono infatti rosate, le altre due sono marroni. Inizialmente, ci si accerta della capacità dei bambini di riconoscere e distinguere le bambole, chiedendo loro quale siano quelle bianche e quali quelle nere. L’esperimento vuole studiare le percezioni razziali in bambini ancora molto piccoli. Per questo, a ognuno vengono poste una serie di domande: quale bambola è più bella? Quale più cattiva? Con quale bambola preferiresti giocare?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi posti dai Clark nel loro esperimento. Ciò che salta all’occhio, tuttavia, sono le risposte ricevute: la maggior parte dei bambini tende ad attribuire caratteristiche positive alla bambola bianca e bionda; al contrario, ben pochi affermano che la bambola di colore scuro è bella o buona. I risultati di questo test sono inquietanti: i bambini tendono a rigettare le bambole nere, e alla domanda finale che viene talvolta posta, cioè quale bambola gli assomiglia di più, alcuni si rifiutano di rispondere.

Kenneth Clark, in un’intervista successiva, dichiara che quest’ultima reazione è ciò che lo ha turbato maggiormente. Molti bambini, infatti, sono emotivamente sconvolti all’idea di doversi identificare con la bambola che fino ad allora hanno rifiutato, identificandola come brutta e cattiva.


Un altro test condotto dai due psicologi consiste nel fornire ai bambini afroamericani tredici sagome di cartone e chiedere loro di colorarle con la loro carnagione. Il risultato? I piccoli scelgono spesso di colorare le sagome con pastelli di colore chiaro, molto più chiaro del colore della propria pelle. Il rigetto della propria immagine, secondo i Clark, è un’evidente conseguenza del razzismo interiorizzato, fin dalla giovanissima età. Ricordiamo infatti che i più piccoli partecipanti all’esperimento hanno solo tre anni!

D’altra parte, già in uno studio del 1939 condotto dalla coppia, intitolato Lo sviluppo della coscienza del sé e l’emergere dell’identificazione razziale nei bambini in età prescolare, emerge il fatto che la formazione della “coscienza di razza” si aggira fra i tre e i quattro anni di età. Pertanto, le esperienze vissute in questo lasso di tempo sono determinanti per il futuro. L’esperimento delle bambole fornisce un’ulteriore conferma di questa tesi.

La conclusione alla quale giungono i coniugi è tanto drammatica quando realistica, perché in fondo si tratta di uno specchio della società del tempo: la discriminazione quotidiana con la quale i bambini devono confrontarsi li ha portati a sviluppare, inconsciamente, un senso di inferiorità rispetto ai coetanei bianchi. Il tutto, ovviamente, con conseguenti danni per l’autostima dei piccoli. Afferma Kenneth Clark:

Il colore, in una società razzista, è una componente molto disturbante e traumatica rispetto al proprio senso di autostima e di valore individuale.

Le conseguenze dell’esperimento

Molti sono i test condotti da Kenneth e Mamie Clark negli anni successivi. È nel 1954, tuttavia, che il loro contributo diventa essenziale per una causa sollevata da Oliver Brown per conto di sua figlia minorenne, Linda. La bimba, afroamericana, deve impiegare più di un’ora per raggiungere la scuola riservata esclusivamente ai neri che le è stata assegnata; benché la famiglia abiti non lontano dalla scuola elementare di Topeka, in Kansas. La domanda d’iscrizione a quest’ultima è stata però respinta a causa del colore della pelle della bambina.

Il processo, noto come “Brown vs Board in Education of Topeka”, è passato alla storia. Kenneth Clark viene chiamato a testimoniare, sostenuto da un gruppo di esperti in scienze sociali, per sostenere la causa di Brown, il cui avvocato, Thurgood Marshall, vuole costringere il giudice ad ammettere che la segregazione scolastica genera nei bambini afroamericani un senso di inferiorità. In sostanza, vuole ufficializzare i risultati degli esperimenti dei Clark, evidenziando il fatto che la segregazione non rispetta affatto il principio “separati ma uguali”.

Il 17 maggio 1965 il caso si chiude con una grande vittoria: la Corte Suprema, infatti, afferma che il mantenimento di strutture educative separate per bianchi e neri rappresenta, di fatto, una discriminazione. L’istruzione pubblica, almeno ufficialmente, non deve più contemplare una così netta separazione; la segregazione scolastica diventa così incostituzionale.

È l’inizio del processo di desegregazione: le leggi Jim Crow, che in alcuni stati sono già state in parte abolite, vengono progressivamente smantellate. Il processo non è semplice e sono necessari molti anni affinché le scuole vengano adeguatamente riorganizzate; inoltre, i pregiudizi da parte di molti funzionari dei paesi del Sud rallentano il cambiamento. Tuttavia, si tratta indubbiamente di un grande successo per il movimento dei diritti civili e di un balzo in avanti verso l’integrazione.

La situazione attuale: si può ancora migliorare

Il test delle bambole risale agli anni Quaranta. Tuttavia, non pochi psicologi hanno provato in seguito a ripeterlo in circostanze e luoghi diversi (tra questi, in Italia, Fanpage lo ha fatto nel 2016, con la collaborazione di bambini italiani di origine straniera). Purtroppo, spesso i risultati non sono rassicuranti: i bambini neri vogliono ancora giocare con la bambola bianca.

In particolare, nel 2017, una giovane studentessa di nome Kiri Davis ripete l’esperimento con risultati non particolarmente lontani da quelli dei Clark. Non solo la bambola più bella è sempre quella di colore chiaro, ma quando la studentessa ne chiede la ragione, una bambina risponde semplicemente: “Perché è bianca”.

In conclusione, possiamo affermare che, purtroppo, siamo ben lontani da una società paritaria. Ciononostante, il contributo del mondo accademico, in questo caso relativo alla psicologia sociale, ha portato a un cambiamento reale, anche se non immediato. Il razzismo interiorizzato è difficile da combattere, ma è possibile farlo, anche tramite strumenti come lo studio e la cultura.

Noi de Lo Sbuffo ne siamo convinti, ed è per questo che, nel mese di marzo, abbiamo dedicato al tema della segregazione diversi articoli che potete trovare nelle nostre sezioni. Perché informarsi e studiare può fare davvero la differenza.

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