I punti di sospensione

Di Roberta Giuili

Vedere solo si vede quello che si vuole
una foto sbiadisce poco a poco
e un volto, poi la figura intera scompaiono.
Dov’erano tracce di felicità, attimi
ora un
grigio sbiadisce e se resiste
qualcosa, un sorriso molto tirato,
stupisce chi lo osserva
e la
memoria rifiuta di saltare l’ostacolo.
Ma per capire fino in fondo che cosa
significa una cancellazione occorre
sentirsi cancellati, quando un’ombra
non è più un’ombra, un fiato, un vapore,
nel trionfo dei punti di sospensione…

 

Antonio Porta, pseudonimo di Leo Paolazzi (Vicenza 1935- Roma 1989) fu un poeta italiano che viene legato al Gruppo del ’63, centro unificatore delle esperienze di neoavanguardia italiana. Il suo stile originale e innovatore, in linea con la tradizione de “I novissimi”, gli ha valso nel ’89 l’Ambrogino d’oro alla memoria, celebrato così dal Comune di Milano, città nella quale visse la maggior parte della sua esistenza:

“Il suo vero nome è quello di Leo Paolazzi, ma con quello d’arte di Antonio Porta aveva raggiunto statura internazionale di poeta. La sua origine lombarda si è presto rivelata nella forte tensione espressionistica dello stile e nell’apertura a interessi che ne hanno fatto un fautore tenace del coinvolgimento politico e civile. Appartato e schivo, ha instancabilmente operato per dare lustro alla cultura della sua città e immetterla sempre di più in un flusso internazionale di cultura”.

Dopo essersi laureato in lettere moderne con una tesi su D’Annunzio, si destreggiò tra una varietà di campi artistici e creativi: dal lavoro nelle case editrici, alla professione di insegnante, a quella di tennista, all’attività nelle riviste letterarie o nei giornali sportivi, fino a, in età più tarda, solcare la scena teatrale.

Questa poesia, scritta nel Dicembre del ’86 prende spunto da un espediente grafico, un segno di interpunzione: i punti di sospensione. L’elemento scarno, legato a una normalizzazione grammaticale e sintattica vuole dare l’idea della sparizione: infatti i tre puntini sono un velo che copre qualcosa che viene cancellato dal concetto, dal pensiero e dalla scrittura, lasciandolo alla possibile interpretazione e immaginazione del lettore. “Si vede quello che si vuole”, in una foto sbiadita come nei punti di sospensione, ma spesso l’ostacolo più grande alla comprensione è proprio la pigrizia dell’osservatore che dovrebbe essere interattivo e rimane invece passivo, osservando solo il grigio sulla foto e passando velocemente sopra ai tre puntini dello scritto. Per comprendere, “Occorre sentirsi cancellati”, essere omessi da una foto rovinata o a favore dei punti di sospensione, arrivando a perdere anche l’inconsistente e fugace concretezza di un’ombra, un fiato, un vapore.

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