“La poesia è il mio orgasmo su carta” – INTERVISTA A FABRIZIO STRADA

Lo Sbuffo ha recentemente intervistato il giovane poeta Fabrizio Strada per parlare della sua opera prima intitolata In Male Aperto (Formebrevi, 2016). Fortunatamente l’intervista si è trasformata in un’intensa chiacchierata che ci ha permesso di capire il punto di vista di una personalità profonda e acuta, di guardare il mondo con gli occhi taglienti di chi scrive poesie per domare il mare (e il male) che gli scorre dentro. È stato un piacere ed un onore dare voce a un artista carismatico e originale come Fabrizio Strada ed entrare in contatto con il suo personalissimo stile di scrittura e con la sua disarmante autenticità.

A seguire l’intervista:

Come sei arrivato alla pubblicazione della tua raccolta di poesia intitolata In Male Aperto?

In Male Aperto è stata pubblicata nel 2016 e contiene poesie – anche se non mi piace chiamarle poesie – che ho scritto nei tre, quattro anni precedenti. Ho sempre scritto solo e soltanto per me, ma a un certo punto ho pensato che mi scocciava tenerle lì e farle leggere solo ad amici, parenti. Ho iniziato a contattare diverse case editrici indipendenti, fin quando non sono approdato alla Formebrevi, una casa editrice di Caltanissetta, che mi ha risposto in tempi brevissimi e mi ha permesso di pubblicare questa raccolta. C’è un trait d’union tra le opere che vengono pubblicate dalla Formebrevi: c’è sempre una visione un po’ oscura dell’universo, della natura umana, c’è sempre un po’ di spleen.  

In Male Aperto è il verso di una delle poesie contenuta nella tua silloge, perché lo hai poi scelto come titolo?

In Male Aperto è chiaramente un gioco di parole tra i termini male e mare. Mi piace giocare con le parole e lo trovo estremamente azzeccato come titolo per la raccolta, perché evoca il lasciarsi andare nel mare. Qui il mare è inteso come burrasca interiore di ognuno di noi. La poesia in cui è contenuta l’espressione “in male aperto” è L’incredibile poema letale di Julian Malebranche e il protagonista è un ragazzo che compie un atto di abbandono di se stesso, gettandosi da una scogliera, immaginando di essere inseguito da qualcuno. In realtà non è inseguito da nessuno, fugge da se stesso o dal suo passato, forse. L’immagine è molto evocativa anche del mito classico, da cui sono estremamente affascinato.

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Leggendo la tua raccolta mi viene da paragonare il tuo sguardo ad una cinepresa. È palese ci sia una grande attenzione alle immagini. Sembrano, quindi, esserci forti influenze cinematografiche. Mi sbaglio?

I riferimenti cinematografici ci sono e sono predominanti. Prima di essere un lettore, sono un amante e un consumatore seriale di cinema. I miei genitori avevano una piccola cineteca e c’è stato un periodo della mia vita in cui, per problemi personali e famigliari, mi rifugiavo nel cinema. Passavo le giornate a guardare film, ne guardavo anche due o tre al giorno e non mi rendevo conto che i film che stavo guardando fossero capolavori del cinema. Guardavo Pasolini, tutti i film di Fellini, Jodorowsky, il cinema polacco. Sono un grandissimo estimatore di Bertolucci, che considero uno dei più grandi poeti viventi. Uno dei miei desideri è poterlo conoscere per dirgli quanto sia stato importante il suo cinema per me. Mi piacciono moltissimo i film lenti, per questo trovo che il cinema contemporaneo italiano sia in una situazione tragica. Proprio l’altra sera sono andato alla prima dell’ultimo film con Favino e l’ho trovato di scarsa qualità. Dei registi contemporanei italiani apprezzo molto Paolo Virzì e credo che uno dei suoi migliori lavori sia Il capitale umano. In quel film è riuscito a rendere con estremo realismo la situazione e la mentalità della Brianza contemporanea, nonostante lui sia di Livorno. Quindi sì, tutte queste influenze cinematografiche rientrano inevitabilmente nella mia poesia.

Nelle tue poesie ricorre spesso Milano. Che rapporto hai con la tua città? E che rapporto pensi che abbia la tua città con chi scrive poesie e con la cultura in generale?

Sono attratto da questa città come potrei esserlo da una donna, è qualcosa di spettacolare. Agli albori ero molto abitudinario: uscivo sempre con le stesse persone e sempre negli stessi posti. Poi è avvenuta una sorta di evoluzione spirituale che mi ha portato a conoscere veramente Milano. In quel periodo salivo spesso sul tetto della Galleria del Corso di notte, in mezzo ai gatti, era meraviglioso. Ora non si può più fare; ci hanno costruito un albergo a sette stelle, un ristorante in onore di Luciano Pavarotti. In generale, comunque, subisco il fascino architettonico delle città. Quando sono a Parigi, mi perdo per ore. Mi sento un privilegiato a vivere a Milano, perché è una città unica nel suo genere, unica per la varietà di situazioni, di personaggi. È unica anche a livello storico e culturale. Storicamente Milano è stata importante nel contesto della Resistenza. Tutti i più importanti intellettuali sono passati da qui, pensa ai Fratelli Verri e poi più avanti anche i cantautori italiani. Io, però, non sono molto inserito nelle iniziative culturali milanesi. Per me la poesia è una cosa intima, non ho la smania della condivisione, per questo non tollero molto le competizioni poetiche, la slam poetry. Non ho nemmeno la necessità della recitazione del pensiero, altrimenti andrei ad Hyde Park e decanterei le mie poesie come un pazzo, come in un film di Woody Allen. Milano, poi, mi fa inevitabilmente pensare ad Alda Merini e ho un grande rimpianto a riguardo; quello di non averla incontrata. Avrei potuto farlo, ma ai tempi – non so perché- non ero interessato come ora, ero un po’ più pirla.

Ho l’impressione che i tuoi occhi siano lame con cui sezioni te stesso e il mondo che ti scorre intorno, tutto questo denota ovviamente un animo sensibile e molto profondo, il che implica a sua volta una buona dose di tormento e di dannazione che credo ti spingano a scrivere poesie. Rinunceresti alla tua capacità di scrivere poesie, in cambio di un cuore più leggero?

Ora come ora no. Questa mia condizione è diventata oramai un vanto. Lo scrittore è votato da sempre a una sensibilità maggiore. Nonostante questo credo che la poesia sia ovunque, fuori e dentro di noi. Ecco, soprattutto dentro di noi. Chiunque ha qualcosa da dire. Quello che distingue un poeta da qualcuno che non lo è, è la volontà di scavare in profondità. Io faccio un lavoro di psicanalisi: il paziente sono io, il dottore sono sempre io. La poesia, per me, è davvero ovunque. La pittura è poesia, ad esempio. Uno dei miei modelli principali è Kirchner e tutta la corrente del Die Brücke. Kirchner vedeva cose che gli altri non vedevano, era un poeta visionario, in seguito la sua arte venne considerata degenerata da Hitler e le sue opere furono anche sequestrate ed esposte al ludibrio.

La tua raccolta mi ha portato a riflettere sull’etimologia delle parole “introverso” e “estroverso”. La parola “introverso”, che solitamente viene utilizzata come sinonimo di timido, significa etimologicamente “rivolto verso se stesso, verso il proprio interno”. Estroverso, ovviamente, significa “rivolto verso l’esterno”. A me sembra che in te convivano entrambe queste nature apparentemente inconciliabili. Analizzi te stesso e il mare che hai dentro, per passare in rassegna l’intero genere umano, il mondo e gli anni in cui viviamo. Che valore ha per te la poesia in anni così violenti e precari? 

L’errore più grande che si possa fare è considerare l’essere introverso come un difetto. Se sono introverso, posso essere anche estroverso. Viceversa è più difficile. Adoro la dualità: mi piace essere un cretino e un’anima sensibile. Non mi piace chi si preclude qualcosa, non mi piacciono le persone a tutto tondo, non mi piace chi si ostina a voler vedere il mondo in bianco e nero, chi si chiude, chi vuole etichettare tutto. A me piacciono le sfumature e credo che non esistano generi. Non esistono generi nell’ambito musicale, non esistono generi in campo letterario. Viviamo in tempi duri, in qualsiasi ambito. Anche la letteratura, oggi, è in uno stato drammatico dal punto di vista delle vendite. Ma la cosa più drammatica è che questo calo delle vendite deriva direttamente dal fatto che non c’è più interesse. Viviamo in una società veloce e quindi le persone alla letteratura preferiscono corsie preferenziali, come il cinema. Infatti, il cinema contemporaneo è un cinema che scorre veloce. Se sei una persona nostalgica di altre epoche, non puoi farci nulla, devi rassegnarti e vivere il presente. Sai cosa si può fare al massimo? Si può provare ad ucciderlo il presente, ogni giorno. Non ho stima di chi vive senza appassionarsi, letto il mio libro, in pochi hanno mosso critiche costruttive. Io non riesco a non avere senso critico, non riesco a non essere sincero, se qualcosa non mi piace devo dirlo. Credo nell’autenticità e la cerco. La finzione è una maschera e le maschere sono destinate a cadere.

 Nelle tue poesie c’è un ritmo molto particolare, lontano da quello tradizionale, ma comunque musicale. La tua attività musicale influisce sulla scrittura?

Una costante quando scrivo è la musica, io scrivo sempre di notte e la musica mi condiziona moltissimo. Ascolto di tutto: ho un debole per la musica classica, adoro la corrente Dreampop/Shoegaze anni 80/90 e amo le voci femminili in gruppi come ad esempio Cocteau Twins, Morcheeba o Portishead. Ho sempre ascoltato musica sia italiana che straniera, spesso sulle melodie di artisti inglesi inventavo dei testi miei. Non credo però che la musica abbia influenzato il ritmo o la metrica delle mie poesie. Quello è proprio mio personale.

Sei un artista eclettico, attivo su diversi fronti e in diversi generi. Quali sono le tue influenze, i tuoi modelli?

A livello musicale sicuramente i gruppi rock storici come i Led Zeppelin, essendo io anche bassista. Poi tutto è cambiato quando ho scoperto i Doors. Jim Morrison non è stato solo una rock star ineguagliabile, ma è stato un poeta dotato di una sensibilità incredibile. Poi ho ascoltato tanto anche il cantautorato italiano: da Dalla a Battiato, passando per De Andrè. Dalla accostava immagini molto distanti tra loro, era un altro poeta visionario e aveva una tecnica musicale pazzesca. Battiato unisce continuamente stili musicali agli antipodi. Con album come La voce del Padrone o L’era del cinghiale bianco ha cambiato il corso della musica italiana. Sono artisti che non hanno mai smesso di sperimentare, neanche dopo essersi affermati. In generale tendo a non esagerare con i modelli a cui mi ispiro, non voglio diventare la brutta copia di nessuno. In letteratura ammiro moltissimo Bukowski, Borroughs, tutti gli autori della Beat Generation e poi i Parnassiani e ancora la tradizione francese. Mi piacciono molto anche Welsh e Moresco. L’ho incontrato delle volte in giro per Milano di notte. Soffriamo di insonnia entrambi. L’ho visto passeggiare per i vicoli, parlare con i barboni. Non posso, inoltre, dimenticare di citare Alda Merini: una personalità immensa, una profondità pazzesca, non diceva mai nulla di banale, ma riusciva allo stesso tempo a trovarsi a suo agio ovunque. Nel cinema, a parte i nomi che ti ho già citato prima, mi viene da nominare Lynch e i fratelli Cohen.

Hai inserito delle parentesi in prosa nella tua raccolta poetica. Come decidi di affrontare una tematica in prosa e non in poesia?

Mi piaceva l’idea di includere anche la prosa, se così la vogliamo chiamare. Non amo molto fare una distinzione netta tra prosa e poesia. Se quelle contenute nella mia raccolta sono poesie, le reputo tutte tali. È poesia anche quella che stiamo chiamando prosa. Non è pensata questa distinzione, avviene tutto in maniera naturalissima. Le ho scritte di getto, sono uscite così e così le ho tenute. Non c’è ragionamento, è impeto. È il mio orgasmo su carta. Non sapevo se includerle o meno, non sapevo se potesse apparire come qualcosa di disarmonico, non sapevo nulla, ma alla fine ho deciso di inserirle.

Sono stato colpito da A.C.A (B) TORO, dove c’è un invito all’umanità a non lasciarsi condizionare dalla paura e a spingere le corna nel cuore. Cosa intendi con spingere le corna nel cuore?

Nel titolo A.C.A.(B) TORO è contenuto l’ennesimo gioco di parole. “Aca Toro” è un’espressione che viene pronunciata nello spettacolo disumano della corrida. Per un gioco di parole è diventato A.C.A.B che ricorda molto l’impeto di chi si scaglia contro le camionette della polizia. Il toro è un’immagine ricorrente nelle mie poesie, insieme alla guerra e alla campagna. Dietro al toro si cela naturalmente l’influenza di Picasso. La sua Guernica mi ha letteralmente folgorato. Sono sempre stato interessato alla tematica della guerra, sin da piccolo. Uno dei film che preferivo da ragazzino era Roma Città Aperta di Rossellini, l’ho guardato spessissimo, ma solo più tardi ho capito la portata di quel film. L’immagine delle corna nel cuore mi girava in testa da tempo, deriva forse da un sogno che ho fatto: ho una vita piuttosto sregolata, lavoro e scrivo di notte e a dormo di giorno, questo mi porta spesso a avere incubi, visioni inquietanti. Una volta ho sognato la presenza un toro nel corridoio di fronte a camera mia, forse da qui nasce questa immagine del toro. L’idea di spingerci reciprocamente le corna nel cuore mi sembra applicabile alla realtà di coppia, alla distruzione di una coppia, alla nostra incapacità di stare insieme senza continuamente farci del male.  Dobbiamo ancora capire, noi esseri umani, perché siamo su questo pianeta e dobbiamo ancora imparare come dovremmo trattare gli altri esseri umani.

In un’altra poesia dici che l’uomo ha paura di inoltrarsi nelle orbite mostruose del tempo e nel poemetto “Generazione Generica” parli della paura come condizione totalizzante. Ricorre evidentemente la tematica della paura. Cosa ti fa paura? La poesia è antidoto alla paura per te?

La paura è una condizione umana che ci unisce tutti, dovremmo iniziare a usare le realtà negative per avvicinarci, capire che soffriamo tutti per le stesse cause. Per molto tempo ho avuto paura degli altri, non mi sentivo mai particolarmente in sintonia. C’è sempre stato qualcosa che mi separava dagli altri, con cui avevo pochi interessi in comune: ai miei amici piaceva il calcio, a me interessava la musica. Avevo quindi la necessità di creare mondi paralleli, tutti miei. Ora, forse crescendo, questa paura è svanita. Ora ho paura solo di me stesso. Mi rendo conto di avere comportamenti che mettono a repentaglio la mia integrità morale. Quello che mi succede intorno, mi tange solo marginalmente. Non sono ossessionato da certe paure come quella, comune a molti, della morte. La morte è sempre stata molto presente nella mia vita, quindi è qualcosa di naturale per me. Oggigiorno mi spaventa l’ignoranza, la mancanza di curiosità, di passione nei confronti della vita. Ho paura di chi ha paura di ciò che non conosce. Chiaramente la poesia, per come la vivo io, è per me un antidoto alla paura, al male e vorrei tanto che la gente leggendola potesse percepirla come cura alle proprie personalissime paure.

Come è nata St(r)accionata?

È un po’ strano quando mi chiedono di spiegare le mie poesie. Le poesie non vanno spiegate, perché per metà sono mie, ma per l’altra metà sono di chi legge, perché il lettore può dare alla poesia la propria personale interpretazione. Questa poesia è nata in Liguria, vi trascorrevo moltissimo tempo da piccolo. E la Liguria, tra le altre cose, è famosa per una tradizione poetica infinita. La poesia parla di una ragazza che conoscevo che aveva degli occhi bellissimi. Aveva una caratteristica personale, ovvero lei si lasciava trascinare da ogni tipo di situazione, esagerando naturalmente. Mi piaceva l’idea che lei potesse guardarsi per una volta con i miei occhi, perché aveva un rapporto conflittuale con il proprio corpo, non si accettava. Un po’ come la Princesa di cui parla De André nel suo brano. Mi piace che alla fine questa situazione si purifichi nel mare, che vuol dire tutto e niente.

Nella poesia ImpAllinazione citi Dante: gli spari e tieni il suo cadavere accanto a te e alla tua amata. Che significato ha uccidere poeticamente Dante?

Uccidere Dante è una stroncatura con la tradizione. Io adoro Dante, ma alle volte mi piace trasformarmi e diventare cattivo. Dante, così come Manzoni, aveva una fede enorme che lo spingeva ad avere fiducia nell’umanità e in una risposta certa. Ecco, quindi, che scrive la sua Divina Commedia. Io questa fiducia non ce l’ho e cito nella poesia la  mia Dannata Commedia. Lui ha mandato tutti all’inferno, si era arroccato in una posizione un po’ elevata che lo portava a giudicare gli altri, ed è il giudizio che non mi piace in Dante. Forse all’inferno dovrebbe andarci anche lui. Se quello che scrive è vero, è chiaro fosse un po’ insoddisfatto. Il suo continuo giudicare deriva da questa insoddisfazione. Pare fosse anche inappagato sessualmente. L’incipit, quando scrivo di essere “Sulla bocca del cannone” è anche uno sfogo contro Dio, se un Dio esiste.  Nella poesia c’è anche il mio rapporto con la città, che è un rapporto d’amore e odio, qui la città ha un’accezione negativa, infatti la descrivo come un “insetto gonfio”, morto. Questa immagine nasce dalle mie riflessioni su Milano che in un certo periodo stava cambiando. Milano non è mai stata una capitale, una metropoli. Era un crocevia, ma non la grande città come la intendiamo oggi. Ora in seguito a un evidente exploit, Milano è cambiata, è diventata una capitale internazionale. Dal punto di vista economico ed imprenditoriale ci abbiamo giovato, senza dubbio. Ma molto di quell’antica e polverosa realtà è svanito per sempre e questo è innegabile. Milano sono i vicoli dei Navigli, Milano è la Brera più ambigua, dove passeggiavano le puttane. Piero Manzoni abitava lì, Fontana vendeva i propri quadri per risanare i suoi debiti di gioco. Questa è Milano, è triste associarla solo ai grattacieli e a Piazza Gae Aulenti.

Cosa ha nel cassetto Fabrizio Strada?

Un romanzo e poi recentemente ho visto un documentario bellissimo sulla Nouvelle Vague che mi ha invogliato a concretizzare un progetto similare. Ora io e una mia amica vogliamo girare qualcosa – non so ancora se un corto o un lungometraggio – sulla vita di un ragazzo, il cantante della mia band. Lui è molto stravagante, è sardo ed è arrivato a Milano tra sogni e aspettative. Si trova in una realtà che lo esalta e lo delude al contempo. Voglio raccontarlo perché ha una vita totalmente fuori dagli schemi. Il romanzo – romanzo per modo di dire nel senso che non voglio scrivere un best seller da ombrellone –  è la storia di questo personaggio che si trova in uno spazio indefinito, in una realtà non ben precisata, senza troppi riferimenti storici. Mi piace l’idea di concentrarmi solo su di lui e sulla bolla di vetro in cui vive. La caratteristica fondamentale è che ha difficoltà a svolgere le attività più semplici, come ordinare un caffè. Vive la vita punzecchiando le cose, senza mai afferrarle veramente. Un libro che mi ha sconvolto è la Nausea di Sartre e poi tutta la corrente esistenzialista che mi ha dato una linfa pazzesca. Il personaggio del romanzo è molto schiacciato dentro se stesso eppure prova a fare i conti con la realtà.

 

Fonti e immagini: In male aperto – Fabrizio Strada. Formebrevi edizioni

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