PLOT OPERA: I PURITANI, UNA TRAGEDIA SFIORATA

L’ultima opera a cui lavorò Vincenzo Bellini fu “I puritani”, che ha avuto il suo debutto nel Théâtre Italien nel 1835, lo stesso anno in cui il compositore morì precocemente.

Dato il titolo, una persona ignara potrebbe immaginarsi una caccia alle streghe, roghi e rituali malefici in un villaggio sperduto nelle campagne. Niente di più remoto, sebbene in questa storia si sia davvero sfiorata la tragedia. Iniziamo!

Nell’Inghilterra del 1650 circa, sullo sfondo della guerra civile inglese guidata dal politico Oliver Cromwell contro la corona, sta per essere celebrato un matrimonio. Il felice evento vede l’unione di due giovani innamorati: il cavaliere Lord Arturo Talbo, ex sostenitore degli Stuart ed Elvira, la figlia del governatore Lord Valton. Non tutti però sono allegri: Sir Riccardo Forth, colonnello alle dipendenze del governatore, è (come temo sia scontato) innamorato di Elvira e compie ogni tipo di gesto per dimostrarsi degno di lei. Il padre della giovane gli aveva anche promesso la sua mano ma, persuaso dal fratello Giorgio Valton, ha ceduto al vero amore. Niente può consolare Riccardo, che è costretto a sopportare in silenzio. E come dargli torto?

Poco dopo si incontrano Elvira e lo zio Giorgio, il quale le racconta come abbia convinto ragionevolmente il severo governatore a cambiare idea sulle nozze. In pratica gli ha detto: “Caro fratello, se non sposi Elvira a Talbo la tua unica erede nonché preziosa e bella figlia… morirà di crepacuore. Tac! Per ciò vedi un po’ tu.” Una dialettica sconcertante, vero? Giunge finalmente Arturo con tutto il corteo, pimpante ed entusiasta per aver ottenuto l’amata. Ringrazia zio Giorgio, che probabilmente ha anche fornito ad Arturo un salvacondotto – in quanto ancora ufficialmente del partito monarchico –  come protezione. Dettaglio che avrà rilevanza più tardi. Il padre di Elvira però prende la parola: a causa di urgenti affari politici non potrà assistere al matrimonio e delega al fratello ogni incombenza. Fortuna che era già stato quasi tutto organizzato, altrimenti improvvisarsi wedding planner sarebbe stata dura! Lord Valton, poi, si rivolge a una dama del corteo; quest’ultima deve essere guidata sotto scorta fino al Parlamento. Giorgio allora spiega ad Arturo che la donna in questione è loro prigioniera da diversi mesi ed è una messaggera per conto degli Stuart. Il giovane è dispiaciuto per la sua sorte che non si prospetta molto rosea.

Tutti escono per ultimare i preparativi all’imminente cerimonia ed è qui che la misteriosa dama chiama il nostro “eroe” – essendo tenore, non per altri meriti – per un colloquio privato. Lui si offre di servirla o salvarla ma lei gli confessa che non ci sono speranze per lei, Enrichetta di Francia e moglie del giustiziato re Carlo! Essendo stata regina d’Inghilterra, è condannata alla morte. Il sangue partigiano ribolle nelle vene di Arturo il quale, senza pensarci due volte, decide di gettarsi in una missione suicida per strapparla al suo destino. Pur sapendo che così comprometterebbe le tanto desiderate nozze, che si coprirebbe di vergogna davanti a Elvira e famiglia puritana al completo, apparendo un traditore. Un piano perfetto! E mi raccomando: non forniamo alcuna spiegazione, non lasciamo un biglietto per la sposa all’altare… sia mai! Arturo decide di nascondere Enrichetta sotto un velo e di uscire dal castello col salvacondotto, facendo finta che sia Elvira. Il “brillante” progetto viene apparentemente interrotto dall’ingresso di Riccardo, fuori di sé: vuole sfidare il rivale a duello per la mano di Elvira: se deve perdere, dev’essere con onore. Quando scopre che Arturo vuole far fuggire la prigioniera decide stranamente di deporre le armi e lasciarli andare senza gridare l’allarme. Così avviene e i due si allontanano. La corte entra in scena con Elvira chiamando Talbo per la celebrazione del rito, ma Riccardo li informa che se n’è andato. Vedendo partire il promesso sposo con un’altra donna Elvira perde la testa. Letteralmente, visto che comincia a delirare e impazzisce per il dolore mentre vengono sguinzagliate le guardie per catturare i due traditori. Bravo Arturo, veramente.

La storia continua qualche tempo dopo, al castello. Le condizioni di salute di Elvira sono ancora legate alla sua ostinata follia malinconica e mentre lei si cimenta in raffinati gorgheggi belcantistici, tutti la compiangono. Riccardo avvisa che le ricerche continuano e il Parlamento ha condannato a morte Arturo. Rimasti soli, Giorgio e Forth discutono di questa triste faccenda; lo zio nuovamente utilizza la sua grande dialettica cerca di convincerlo a salvare Arturo, altrimenti oltre al cavaliere morirà… chi? Elvira, ovvio. Alla fine tanto dice e tanto fa che Riccardo si commuove e cede, promettendo di fare il possibile.

Nell’ultima parte del dramma, troviamo il nostro eroe che si rifugia poco lontano dal castello, riuscendo ancora una volta a sfuggire ai suoi nemici che lo stanno braccando da tempo. Speriamo quanto meno che il suo piano abbia funzionato. Però ciò non viene detto. D’improvviso egli ode Elvira cantare la loro canzone e ne segue il suono. I due si incontrano e viene tutto chiarito, e si ricongiungono felicemente. Arturo però, il quale non spicca per perspicacia, non s’accorge della follia dell’amata finché non la vede palesemente delirare quando delle guardie li circondano. Comprendendo in quel momento tutto il male arrecatole, lui si lascia catturare. Il coro dei soldati annuncia la condanna alla pena capitale per il giovane e in quel preciso istante Elvira riacquista il senno, colpita da quella nefasta notizia. Ogni cosa sembra perduta… ma colpo di scena. Giunge un araldo con un messaggio: i nemici sono stati definitivamente sconfitti e Cromwell, generosamente, si dimostra clemente e perdona tutti incondizionatamente. Alla fine Arturo ed Elvira si sposano davvero e “tutti i salmi finiscono in gloria”.

Opera raffinata e delicata anche nelle manifestazioni di passione, “I puritani” si presenta con un intreccio tradizionale per i melodrammi dell’epoca: un amore contrastato da una ragione maggiore (in questo caso la politica), un baritono che come ogni buon rivale tenta di prevalere con l’astuzia (sebbene qui alla fine ricapitoli), il tenore che combina sciocchezze eroiche, in aggiunta un pizzico di malinconica pazzia e un lieto fine inaspettato. A volte viene da pensare che sia un po’ forzato, eppure ogni spettatore in quei momenti spera in un deus ex machina che salvi la situazione, per soddisfare quel desiderio di un futuro sereno per i protagonisti, in cui ci si può abbastanza facilmente rispecchiare. Le azioni sono significative, come il sacrificio di Arturo, però rientrano in contesti plausibili e in parte giustificabili. Resta nelle opinioni personali ritenere che il piano di Arturo sia un po’ scellerato.

Grande protagonista è Elvira, fanciulla innocente, spontanea, tipico soprano delicato anche psicologicamente, tanto che si rifugia nella demenza pur di non accettare la realtà di un abbandono per lei inspiegabile, che le distrugge sogni e aspettative di un avvenire sereno. Ciò che ce la rende amabile però risultano le soavi melodie che le ha affidato Bellini, virtuosistiche ma non smaccate, eteree e dolci.

Oltre agli intrighi politici, i quali alla fine risultano più un espediente narrativo che il vero fulcro della vicenda, non si analizza nemmeno troppo nel profondo il tema della pazzia perché dipinta con un’aura malinconica, presagendo una possibile guarigione della bella puritana. La struttura è precisa, accurata e meccanicamente perfetta nelle dinamiche, eppure si ha sensazione che ogni aspetto alla fine converga in un solo punto: l’esaltazione dell’ideale che il vero amore non deve per forza finire in tragedia, che la vita può creare ostacoli apparentemente insormontabili, equivoci o comportamenti in apparenza senza senso… però alla fine c’è sempre la possibilità di un miracolo, un gesto di grazia che permette una lieta risoluzione per gli innamorati. Che vi sia un po’ di autobiografia in questo aspetto? Non se ne potrà mai essere sicuri.

E il titolo? Riguarda il fatto che sono tutti di religione puritana. Cosa vi aspettavate, profondi significati simbolici? Non in questo caso, però bisogna ammettere che resta impresso e rimanda a un contesto storico tumultuoso e ricco di emozioni. Come sempre, Bellini aveva fatto centro. Chissà quali altre opere meravigliose avrebbe composto se fosse vissuto più a lungo.

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