Il romanzo antistorico: De Roberto, Pirandello, Lampedusa

Nella civiltà letteraria italiana il romanzo storico occupa un posto di primo piano. È infatti con I promessi sposi, “componimento misto di storia e invenzione”, che si dà avvio alla tradizione romanzesca in Italia. Al capolavoro manzoniano sono poi seguiti, per tutto l’Ottocento, moltissimi titoli ora dimenticati, fatta eccezione per le opere di Rovani e Nievo. Il patriottismo baldanzoso e declamatorio di un Guerrazzi difficilmente poteva avere una sua eco fino ai nostri giorni. Sul finire dell’Ottocento però, con I Viceré di De Roberto, si inaugura quello che può essere definito come romanzo antistorico.

Se, infatti, l’assunto teorico su cui si basava l’impianto del genere storico era la fiducia hegeliana nella Storia e nel progresso, I Viceré ribaltano l’orizzonte. Pensiamo alla Provvidenza manzoniana, o all’Unità in Nievo: si ripone cieca fiducia nel futuro che non può che essere migliore del passato. In romanzi come quello di De Roberto la Storia viene di fatto negata. La forza dirompente de I Viceré, anche sul versante stilistico, difficilmente poteva venire accettata dal pubblico di fine Ottocento e di fatto verrà a lungo ignorata.

Il modello derobertiano venne però ripreso da Pirandello, ne I vecchi e i giovani. In questo romanzo (anti)storico ambientato nella Sicilia di fine Ottocento, Pirandello è animato da una forte passione civile. Attraverso la tecnica dell’umorismo Pirandello intende denunciare il malcostume imperante nella classe dirigente italiana e soprattutto in quella borghesia a cui egli stesso apparteneva. Il romanzo storico, genere per eccellenza borghese, veniva usato come arma per colpire la borghesia. Anche la voce pirandelliana, seppur meno caustica di quella derobertiana,  restò in parte inascoltata. Il romanzo d’altronde pare contraddirsi: allo scetticismo nichilista di fondo si oppone una pur labile speranza, quasi utopica, che Pirandello stesso sapeva impossibile.

Nel 1958 fa la sua apparizione Il Gattopardo. Romanzo postumo di un aristocratico decaduto, stilisticamente rivolto al passato anche se con aperture verso le tecniche più moderniste, Il Gattopardo suscitò accese polemiche. Poco aveva da spartire con il panorama letterario contemporaneo. A differenza di De Roberto e Pirandello, però, il romanzo di Tomasi di Lampedusa ottenne un successo senza pari. Eppure anche nel Gattopardo domina una visione storica poco rassicurante. Il punto di forza del romanzo sta, però, nel suo protagonista, Don Fabrizio. L’acredine derobertiana e pirandelliana viene stemperata nell’elegia malinconica e nostalgica. I personaggi e gli eventi vengono descritti tramite don Fabrizio che dimostra una nobiltà che prima di tutto si manifesta a livello coscienziale. Manca, in Lampedusa, un narratore critico e politicamente indignato come poteva esserlo Pirandello. L’io narrante si limita a constatare una caduta ormai inarrestabile.

Spesso la critica e il pensiero comune si sono focalizzati sulla fatidica frase di Tancredi: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Ma non è questa la verità del romanzo, questa è solo l’illusione a cui nemmeno il protagonista può credere. E infatti sarà don Fabrizio  a decretare che “dopo sarà diverso, ma peggiore”. I Gattopardi scompariranno e lasceranno spazio a iene e sciacalli. Non è vero che tutto resterà immutato e basta leggere il romanzo per accorgersene.

A lungo si è voluto ridurre il discorso dei tre autori entro i confini regionali siciliani. Certamente sono romanzi in cui la Sicilia si fa personaggio vivo ed è difficile trovarne una rappresentazione più efficace di quella che ne dà don Fabrizio nel colloquio con Chevalley. Ma la crisi è universale, non solamente siciliana. L’epicentro è Roma, e non a caso Pirandello ambienta importanti capitoli proprio nella capitale. A essere messo in discussione, almeno in De Roberto e in Pirandello, è il nuovo governo liberale. Vengono inevitabilmente messi a confronto due periodi differenti, il passato narrato e il presente della scrittura. Il Gattopardo in questo senso è esemplare: in molti hanno ricondotto lo sbarco garibaldino a quello americano durante il secondo conflitto mondiale.

Forse, dopotutto, non è un caso che siano stati tre scrittori siciliani a denunciare le contraddizioni e la crisi dello Stato italiano. E non meno casuale è l’ambientazione in anni immediatamente posteriori all’unità nazionale. Non siamo, però, davanti a tre scrittori reazionari: nessuno rimpiange l’antico regime borbonico. E a ogni modo non bisogna mai dimenticare che l’amarezza della riflessione storica si coniuga sempre con lo scetticismo generale nei confronti dell’umanità. Le parole del don Cosmo pirandelliano sono esemplari: tutto consiste nell’“aver capito il gioco”, nella consapevolezza, cioè, che la realtà altro non è che una serie di illusioni. E quindi “bisogna vivere, cioè illudersi”.

 


FONTI
V. Spinazzola, Il romanzo antistorico 

 

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