L’intervento psicologico a distanza durante una pandemia: counseling, coaching, psicoterapia

L’intervento psicologico online non è una novità determinata dalla pandemia provocata dalla Covid-19. Tuttavia, la pandemia ha trasformato l’intervento a distanza in necessità laddove prima era un’opzione. Facciamo il punto quindi su cosa sappiamo a proposito di counseling, coaching, terapia erogate a distanza e durante una situazione di emergenza.

Nella recensione al testo di Algeri, Gabri, Mazzucchelli Consulenza psicologica online che ho scritto alcuni mesi fa, sottolineavo alcune possibilità che pare delineare la ricerca riguardo al counseling psicologico a distanza. Esso sembra particolarmente adatto alla gestione di difficoltà emotive transitorie, dovute a circostanze particolari e di forte cambiamento. Sembra favorire l’ingaggio di persone che per motivi diversi (mancanza di tempo, paura dello stigma, disabilità motorie) difficilmente andrebbero a studio da uno psicologo. Pare inoltre che permetta l’emersione in tempi brevi delle parti più autentiche della persona. Anche il problem-solving per risolvere difficoltà specifiche e la psico-educazione al funzionamento mentale possono certamente essere svolti a distanza con buoni risultati.

Il coaching psicologico

Quanto al coaching psicologico, per sua natura è già da anni erogato a distanza e senza particolari problemi legati al medium. Il presupposto di un percorso di coaching infatti è che si lavori con un cliente che ha già raggiunto un sufficiente livello di equilibrio emotivo. Un cliente che parta quindi da una buona base psicologica consolidata, per raggiungere risultati di alto livello. Tutto questo supportato da un coach che lo aiuti a definire creativamente gli obiettivi, le strategie e tattiche per raggiungerli e a individuare inoltre i propri valori e motivazioni più autentici affinché i traguardi desiderati siano allineati con essi, e quindi realmente benefici.

Ciò deve valere anche in tempi difficili. Si fa coaching solo partendo dalle premesse di cui sopra. Quindi l’unica differenza con gli interventi svolti prima della pandemia è che il goal setting (la costruzione di un piano d’azione finalizzato a raggiungere un obiettivo concreto, realistico e ambizioso al tempo stesso) dovrà necessariamente tenere conto di uno scenario nuovo e per certi versi molto più incerto. Ad esempio, il coaching può essere particolarmente adatto in questa fase a riorganizzare creativamente la propria sfera professionale. Tanto nella gestione di ciò che si faceva prima quanto nella progettazione di scenari alternativi, magari più desiderabili per qualcuno.

Come cambiano counseling e terapia a distanza in questa fase di emergenza? Sono emersi nuovi dati su cui riflettere?

A meno di due mesi dall’esplosione della pandemia in Europa, sono state prodotte molte linee guida per l’intervento di sostegno psicologico. Delle linee specifiche per i rischi che comporta la pandemia e le sue conseguenze, e molte considerazioni di esponenti nel campo della psicologia clinica. Le linee di indirizzo del Cnop (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) sull’intervento psicologico a distanza per la popolazione nell’emergenza Covid-19, sottolineano innanzitutto come durante le emergenze ci possano essere due livelli di azione, con obiettivi differenti.

  1. Un primo livello in cui si comprende la domanda espressa, si mitiga il livello di stress, si modulano le difficoltà emotive, si valorizzano le risorse personali, familiari, comunitarie che la persona può mettere in campo, si considera l’opportunità di un percorso di consulenza o l’invio ad altre professionalità.
  2. Un secondo livello di intervento il cui obiettivo è il ripristino delle capacità di funzionamento antecedenti alla crisi, senza voler risolvere compromissioni precedenti all’emergenza.

Del resto, come sottolinea un documento prodotto dalla IASC (Nazioni Unite), in linea con considerazioni simili dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è assolutamente comune durante una pandemia sperimentare forme di disagio psicologico transitorio legate alla stessa. Paura di ammalarsi e morire (incrementata nel caso Covid-19 dalla facilità con cui i sintomi più lievi possono essere confusi con quelli di altre patologie); evitamento delle strutture sanitarie, anche quando recarvisi è indispensabile, per paura di essere infettati durante le cure; sentimenti di impotenza nel proteggere i propri cari e di noia, solitudine e depressione dovuti all’isolamento, rabbia crescente verso rappresentanti del governo, preoccupazione per il futuro occupazionale. Per non parlare dello stress a cui sono esposti gli operatori sanitari esposti in prima linea.

Si tratta di imparare a gestire queste difficoltà, e come farlo è l’oggetto della consulenza psicologica, che in questa fase avrà spesso tra le sue priorità il sostenere la popolazione nell’abituarsi a tollerare una situazione di grande incertezza.

L’intolleranza all’incertezza

Come scrive la ricercatrice in psicologia clinica Gioia Bottesi, infatti, la paura dell’ignoto (o intolleranza all’incertezza) è un grande fattore di vulnerabilità al malessere psicologico. Consiste nell’avere delle convinzioni di fondo negative relative all’incertezza, che provocano emozioni, pensieri, comportamenti disfunzionali. Le persone che non tollerano l’incertezza hanno convinzioni profonde come “non posso tollerare l’ambiguità nelle situazioni”. Oppure “sono sicuro che non sarei in grado di fronteggiare adeguatamente situazioni incerte e improvvise”.

In una situazione mondiale in cui anche medici e ricercatori esperti di virus navigano a vista, in cui si ha la percezione di avere meno certezze sul futuro rispetto a qualche mese fa e che la propria salute sia maggiormente minacciata, l’intolleranza all’incertezza può diventare un fardello troppo pesante da portare.

La ricerca incessante, ossessiva di informazioni online sul coronavirus può essere un esempio di comportamento disadattivo che segnala l’intolleranza all’incertezza. Ma ne è un esempio anche il comportamento opposto: ignorare completamente la situazione e comportarsi come se nulla di insolito stesse accadendo, arrivando così a condotte trasgressive e potenzialmente pericolose per la salute pubblica.

E la psicoterapia? Che fare quando il disagio emotivo provocato dalla pandemia fa venire a galla o esaspera difficoltà psicologiche antecedenti e che richiedono un lavoro più lungo e difficile?

Chi fa terapia si sta attrezzando. Bisogna considerare le conseguenze, per un lavoro così delicato come la terapia, del lavoro a distanza, per la relazione terapeutica, per le tecniche utilizzabili e per tante altre sottili sfumature.

Le ricerche antecedenti alla pandemia, per quanto non moltissime, danno risultati incoraggianti confermati dai feedback di queste prime settimane di cui parlano autorevoli esponenti del mondo della clinica. La ricezione da parte dei pazienti del nuovo modo di fare terapia è in parte soggettiva. Alcuni lo apprezzano più di altri come era prevedibile, ma lo stesso vale per i terapeuti. Una difficoltà, per molti pazienti, sembra essere quella, quando tutta la famiglia è in casa, di avere uno spazio di autentica riservatezza da ritagliarsi per l’ora di terapia. Per questo, alcuni psicoterapeuti stanno testando anche la modalità chat scritta.

Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, nel 1933, con l’economia in ginocchio e la povertà nelle strade, disse che l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa. Forse sarebbe più corretto, da una prospettiva psicologica, dire che è normale avere paura, a patto che di questa paura ci si possa servire in modo sano per proteggere se stessi e gli altri, ricercando comunque spazi per la fioritura personale.

Poco meno di 100 anni dopo la Grande Depressione, la psicologia può affiancare la politica nel lanciare messaggi sani alla popolazione in un altro momento di crisi, come in parte sta già facendo. Dobbiamo tutelare diritti psicologici che la scienza ha dimostrato essere importanti tanto quanto l’avere cibo, acqua e un tetto sopra la testa. L’intervento psicologico a distanza, realizzato capillarmente e valorizzato dai privati, dalle istituzioni locali, regionali, nazionali e internazionali, può dare un contributo significativo in questa direzione.


FONTI
Algeri D., Gabri S., Mazzucchelli L. (2018), Consulenza Psicologica Online, Firenze, Giunti

Edirippulige S., Levandovskaya M. & Prishutova A. (2013), A qualitative study of the use of Skype for psychotherapy consultations in the Ukraine. Journal of Telemedicine and Telecare. 19(7), 376– 378

Hawker D., & Hawker D. (2016), Skype therapy: More or less confidential than traditional therapy? Clinical Psychology Forum, 286, 39-43

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